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Dove va il PNRR. Piano Scuola 4.0 passi nel nulla

Dove va il PNRR. Piano Scuola 4.0 passi nel nulla

Pioggia di milioni sulla scuola. Il PNRR – Piano Nazionale ripresa e resilienza – individua, tra i vari interventi, anche azioni specifiche rivolte agli istituti scolastici destinando risorse da capogiro, tali almeno appaiono in un settore che è abituato solo ai tagli.

Nessuna illusione però, queste risorse non andranno a sanare i ben noti guasti della scuola italiana: nemmeno un centesimo sarà destinato all’edilizia strutturale o alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, nemmeno un centesimo sarà investito per abbassare il numero degli alunni per classe e incrementare il personale. Le classi continueranno ad essere pollai spesso fatiscenti. Le risorse milionarie del PNRR serviranno ad altro: il Piano Scuola 4.0 prevede infatti uno stanziamento complessivo di oltre 5 miliardi strettamente vincolati a sostenere la transizione digitale del sistema scolastico nazionale.

Due sono le principali azioni a cui vengono destinate risorse: la prima, denominata “Next Generation Classrooms”, è rivolta a tutte le scuole del primo e secondo ciclo con un finanziamento di un miliardo e 720 milioni per trasformare almeno metà delle classi tradizionali in spazi digitali di apprendimento innovativo dotate di arredi e attrezzature digitali versatili. La seconda azione, denominata “Next Generation Labs spazi per le professioni digitali del futuro”, prevede un finanziamento di 424 milioni ed è rivolta alle scuole secondarie di secondo grado per la realizzazione di laboratori che sviluppino competenze digitali specifiche in ambiti tecnologici avanzati quali: robotica, intelligenza artificiale, cybersicurezza, comunicazione digitale, simulazione di luoghi, strumenti e processi legati alle nuove professioni e al mondo delle imprese; il tutto integrandosi con i percorsi PCTO, ossia con l’alternanza scuola lavoro.

A queste cifre vanno aggiunte 800 milioni per la formazione e 2 miliardi 443 milioni per cablaggio aule e introduzione del sistema banda larga a scuola, installazione di schermi interattivi, creazione di ambienti STEM, creazione di ambienti digitali innovativi per la scuola dell’infanzia, digitalizzazione del sistema amministrativo gestionale degli istituti scolastici.

Tutte le scuole del territorio nazionale hanno ricevuto notifica dell’assegnazione delle risorse, che sono state ripartite secondo il numero di classi di ogni istituto. Giusto per avere un’idea delle cifre assegnate, si va da un minimo di 80.000 euro riservato alle scuole più piccole, fino a 350.000 per le più grandi. Non si tratta però né di risorse realmente disponibili, né di libertà di utilizzo secondo reali esigenze.

Partiamo da quest’ultimo elemento: le assegnazioni sono finalizzate in modo rigidissimo, deciso dalle linee del Piano Scuola 4.0. che definiscono come questi soldi devono essere spesi.

Un minimo del 60 % è destinato all’acquisto di strumentazioni e dotazioni digitali; un massimo del 20% per acquisto di arredi, ma solo di carattere innovativo e tecnico legato agli ambienti digitali; un massimo del 10% per interventi di carattere edilizio ma solo funzionali all’adeguamento degli ambienti digitali. Infine, un massimo del 10% per le spese di progettazione e tecnico operative, compresi collaudi.

Salta immediatamente all’occhio come la percentuale dedicata agli acquisti di dotazioni digitali sia sforabile in eccesso: i fondi PNRR rendono di fatto la scuola un enorme mercato per il grande business del commercio informatico, operazione del resto già iniziata da qualche anno con i vari progetti PON e finanziamenti Covid, tutti riversati sulle dotazioni digitali. In molte scuole si è assistito, negli ultimi due anni, ad un continuo arrivo di forniture e di strumentazioni, sostituite nel giro di pochi mesi da altre senza che ce ne fosse necessità, mentre quelle “vecchie” di pochi mesi venivano avviate a non meglio identificati smaltimenti. Altrettanto eloquente, nella percentualizzazione delle spese obbligate, è il legame fra qualsiasi intervento strutturale e la realizzazione di ambienti digitali previsti dal Piano. Insomma: che nessuna scuola si sogni di usare quei soldi per aggiustare il tetto o rifare gli infissi!

Del resto non sarebbe nemmeno possibile, perché i soldi assegnati, come dicevamo sopra, non sono risorse reali. Infatti, dopo un acconto che verrà inviato a seguito della sottoscrizione dell’accordo di concessione, l’erogazione vera e propria avviene dopo la rendicontazione delle spese effettuata due volte l’anno sulla base dei costi effettivamente sostenuti. Il saldo finale arriverà infine non solo dopo le rendicontazioni finali, ma anche dopo valutazione del raggiungimento di una serie di risultati quantitativi e qualitativi.

In altre parole, le scuole dovranno anticipare le spese e poi, dietro rendicontazione, aspettare il rimborso: solo in questa forma avranno il finanziamento spettante, che non rappresenta quindi una risorsa disponibile e concretamente assegnata. C’è da chiedersi come potranno anticipare le spese di forniture tutte quelle scuole piccole a cui non vengono fatte donazioni da enti, banche e soggetti vari, quelle che hanno un bilancio esiguo o che chiude a zero, come dovrebbe essere, visto che la scuola non è un ente che deve fare profitti. Dovranno forse indebitarsi aprendo una linea di credito, oppure cercare sponsor, magari ricorrendo agli stessi soggetti fornitori di beni e strutture. Del resto nelle linee guida sono previste forme di flessibilità che consentono di derogare dai consueti vincoli previsti per le gare di appalto e gli avvisi pubblici.

Intanto le scuole sono affaccendate per la prima scadenza prevista per fine febbraio : la sottoscrizione dell’accordo di concessione per il finanziamento e la stesura del progetto di massima da inserire in piattaforma, che prevede l’individuazione di precisi bisogni e la conseguente previsione di intervento sugli ambienti. Un’operazione che non è semplice, perché non si tratta dei bisogni realmente percepiti da chi nelle scuole ci sta tutti i giorni, ma di quelli attesi da chi ha elaborato il piano di transizione digitale. Già in questa fase molte scuole, non in grado con il proprio personale di elaborare il progetto, si sono affidate a ditte e consorzi esterni, che sono fiorite come funghi, appaltando di fatto la progettazione a soggetti distanti dal contesto scolastico, che non hanno la minima idea dei bisogni educativi, ma idee precisissime del business informatico e del relativo mercato speculativo.

L’altra data è il giugno 2023, termine entro cui dovranno essere individuati i soggetti a cui affidare forniture e servizi. Il tutto dovrà entrare in funzione nell’anno scolastico 2024/25.

Un’operazione gigantesca, la dimostrazione lampante, se mai ce ne fosse stato bisogno, che i soldi ci sono ma vengono dirottati non sulle reali esigenze, ma solo nella direzione verso la quale si vuole spingere il sistema scolastico.

Si sono da poco chiuse le iscrizioni ed entro un mese circa saranno definiti gli organici per il prossimo anno, ma si sa già che i parametri per la formazione delle classi non cambieranno: per le scuole secondarie la base per formare le classi sarà ancora 27 alunni, sforabile fino a 31. L’edilizia scolastica non ha visto interventi risolutivi nemmeno nella fiera delle detrazioni del 110%. Continua però il delirio digitale, accompagnato da un corredo di motivazioni didattico-pedagogiche da brivido.

Come scritto nell’introduzione del Piano Scuola 4.0, lo scopo sarebbe quello di “realizzare ambienti di apprendimento ibridi, che possano fondere le potenzialità educative e didattiche degli spazi fisici concepiti in modo innovativo e degli ambienti digitali” Tuttavia, scorrendo il testo, lo sbilanciamento degli ambienti ibridi verso gli ambienti digitali a dispetto degli spazi fisici appare piuttosto evidente sia dal punto di vista economico, come descritto sopra, che dal punto di vista pedagogico. Infatti, è spesso ricorrente nel testo la pianificazione di ambienti digitali basati su realtà aumentata e realtà virtuale, allo scopo di simulare contesti e luoghi di lavoro reali. Ma sappiamo bene che non basta il contesto digitale a rendere valida una proposta didattica, anzi, qualche volta non basta nemmeno a renderla coerente e sensata: è il caso dell’errore storico grossolano contenuto in uno spot pubblicitario del famigerato “Metaverso”, la realtà virtuale sviluppata da Meta, tanto virtuale da mettere Marco Antonio dove certamente non era in quel momento lì. Solo un esempio delle criticità che possono generarsi nell’adottare ambienti didattici dove il pressappochismo è la regola.

La superficialità del piano scuola 4.0 si evince da frasi presenti nel testo come “è necessario superare la carenza di programmi di istruzione e formazione specializzati in aree quali l’intelligenza artificiale, la cybersicurezza e il calcolo quantistico, oltre la scarsa integrazione delle materie digitali e degli strumenti didattici multimediali in altre discipline”. Appare evidente, ad esempio, a chi lavora nell’insegnamento delle materie scientifiche,  come sia ridicolo pensare di insegnare il calcolo quantistico a studenti e studentesse che nella maggior parte dei casi non posseggono le basi necessarie per comprendere la teoria su cui il calcolo si fonda. A meno che gli ideatori del piano scuola 4.0 non pensino che acquisire conoscenze in ambiti scientifici avanzati come quelli sopracitati sia una questione da ridurre a pura utenza tecnica da sfruttare nelle così denominate nel testo professioni del futuro. Come rilevato da più parti, anche in interventi critici su stampa specialistica, il Piano Scuola 4.0 sembra dunque basarsi su una “pedagogia d’impresa” in cui gli strumenti digitali diventano fine assoluto di azioni didattiche senza porsi il problema di che cosa apprendere e con quali finalità. Notevole del resto è anche il fatto che il Piano Scuola 4.0 trascuri il piano umanistico e la letteratura. Una riprova che la capacità di astrazione simbolica e di immaginazione sviluppate grazie alla letteratura, al simbolismo matematico e la conseguente modellizzazione della realtà fisica vengono fortemente colpite dalla pedagogia d’impresa del piano scuola 4.0.

Singolare, nella sua banalità, una delle principali giustificazioni che gli autori del piano scuola 4.0 propongono per la promozione dell’utilizzo delle tecnologie digitali: “Le tecnologie consentono di poter accrescere la cooperazione e le relazioni fra studenti, fra docenti e fra studenti e docenti […]”. Peccato che, mentre viene enfatizzato l’idillio che si produrrà col digitale avanzato, dallo stesso ministero dell’istruzione e in generale dal mondo istituzionale che si occupa di formazione vengano invece sfornati a ritmo quasi ossessivo corsi di aggiornamento, progetti, interventi che lamentano il disagio giovanile e la piaga degli adolescenti ammaliati da dispositivi elettronici e affetti da una incessante distrazione dalla realtà.

Sarantis Thanopulos fa affermazioni interessanti sostenendo che “Lo spazio virtuale che ci imprigiona nulla ha a che fare con la fantasia creativa che trasforma in materia vivibile e significativa la materia grezza di cui è fatta la realtà. Non è alla virtualizzazione della realtà in sé a cui assistiamo, ma allo svuotamento dell’immaginazione. […]

La realtà virtuale creata dall’intelligenza artificiale è il modello a cui si uniforma questa necrosi della vita vera, che dà l’impressione falsa di uno spazio di infinite possibilità (il nulla travestito da infinito).”

Ecco, crediamo che chi ha sempre accarezzato il sogno di una società diversa, chi ha praticato obiettivi e metodi alternativi, chi ha concepito una realtà aumentata non con gli occhiali del padrone, ma con l’elaborazione collettiva di pratiche e metodi scaturiti da una concreta forza immaginativa, sappia e debba ben distinguere la paccottiglia di regime, che sia denominata Piano Scuola 4.0 o in altri svariati modi, e contrastarne l’affermazione.

Fabio Vallone- Patrizia Nesti

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