Di questo lavoro sono molti gli aspetti che colpiscono il lettore o chi è interessato e vuole conoscere una storia dell’anarchismo milanese. Ma quello che più conta, a mio parere, è il metodo della ricerca utilizzato dal giovane autore: non solo il lavoro è basato su ricerche archivistiche e bibliografiche (il che va da sé); le notizie e le ricostruzioni storiche sono state fatte anche attraverso l’analisi delle pubblicazioni libertarie comparate con le fonti di polizia, reperibili negli archivi di Milano e Roma, in modo da ricostruire le iniziative e le campagne di cui sono stati protagonisti gli anarchici milanesi. Tutto questo costituisce un quadro d’insieme della storia del movimento milanese, un forte contributo alla conoscenza anche attraverso le biografie di 300 militanti per lo più sconosciuti.
Fausto Buttà si pone alcuni importanti interrogativi e cerca di dare delle risposte (anche ai luoghi comuni): gli storici, egli scrive, tracciano un’immagine del movimento anarchico milanese nel periodo a cavallo tra i due secoli come il centro dell’anarchismo italiano individualista ed antiorganizzatore. Perchè? Erano presenti altre correnti? Erano tutti, gli anarchici, sia individualisti, sia antiorganizzatori? C’erano differenze tra loro? Vi era separazione tra intellettuali e movimento?
In realtà, è la risposta, l’anarchismo milanese è stato un laboratorio in cui hanno visto la luce diverse realtà ideologiche: individualisti antiorganizzatori, comunisti organizzatori, pedagoghi libertari, antimilitaristi e sindacalisti rivoluzionari, tutti rappresentativi del movimento anarchico milanese e che forniscono un insieme di teorie e pratiche che s’integrano a vicenda.
E’ un racconto di storie di attivisti poco conosciuti, storie di “anonimi compagni” a fianco ai Cafiero, ai Costa, ai Gori, ai Malatesta, ai Molinari, ai Monanni o ai Borghi ma che hanno reso viva di idee d’emancipazione, di cultura, di solidarietà una città piuttosto eterogenea politicamente.
E’ dopo il 1848 che si sviluppa una Milano industriale e culturale, quest’ultima rappresentata da numerose pubblicazioni che offrono un ventaglio d’idee ed è in questo crogiuolo di nuove idee che, nel tempo, nasce la Scapigliatura milanese rappresentata da un pugno di scrittori bohémien ribelli, anticonformisti, eccentrici che si rifanno idealmente al Risorgimento e alla Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fraternità, unità rappresentano gli ideali che successivamente diventeranno pilastri dei partiti e movimenti di sinistra. Il giornale “Il Gazzettino Rosa” è tra i primi a propagandare le idee del Socialismo grazie a due giovani giornalisti -Vincenzo Pezza e Felice Cavallotti- seguaci di Garibaldi e influenzati sia dalla Scapigliatura che dalle idee anticlericali. Sull’onda delle proteste contro la corruzione e contro la monarchia, nella redazione del giornale si formano due correnti: l’una legalista e l’altra libertaria ed internazionalista,che si consolida dopo un incontro tra Pezza e Bakunin. Il passaggio dal repubblicanesimo all’internazionalismo avviene nel corso della disputa, pubblicata dal giornale, tra Mazzini e gli Internazionalisti in merito alla Comune di Parigi: in questa fase il comitato editoriale del “Gazzettino Rosa” si schiera apertamente con gli insorti della Comune e il giornale assume una precisa fisionomia come organo del bakuninismo in Italia, pubblica lo Statuto della Prima Internazionale e articoli di Bakunin, per poi -tramite Carlo Cafiero- prendere una netta posizione aderendo ai principii promossi dalla Federazione del Jura svizzero contro l’autoritarismo del Consiglio Generale di Londra controllato da Marx. A gennaio 1872 a Milano si costituisce la prima sezione dell’Internazionale che pubblica quattro numeri di un giornale, “Il Martello”, di cui ben tre numeri sono sequestrati dalle autorità.
Gli ultimi due decenni dell’Ottocento vedono la costituzione delle Leghe di Resistenza, i lavoratori utilizzano lo sciopero per rivendicare i diritti e nel 1891 nasce a Milano la prima Camera del Lavoro, sull’esempio delle francesi Bourses de Travaille, con la partecipazione attiva di socialisti, anarchici e repubblicani. L’attività libertaria si intensifica anche grazie al dibattito coi socialisti e all’attività di E. Malatesta che nel pubblicare nel 1884 un Programma di Organizzazione lascia alle spalle la fase insurrezionalista, viene rifiutata la spontaneità individualista e si sottolinea la necessità di una organizzazione spingendo gli anarchici a riconsiderare la loro partecipazione al movimento dei lavoratori. La città lombarda diventa un centro di questo nuovo corso a cui partecipano centinaia di giovani affiancati da militanti maturati nell’esperienza precedente. Fonti di polizia indicano i seguenti gruppi anarchici costituitisi nella cerchia: “Sole dell’avvenire”, “Dinamite”, “Avanguardia”, gruppi di Porta Sempione, Porta Tenaglia, Porta Volta, Porta Garibaldi, Porta Nuova, gruppo “Sempre Avanti” (due sedi), “Gli Spogliati” nello stabilimento dell’Elvetica, “Ribelli” e “Gli Amici dell’ordine”. Il movimento è molto attivo nelle lotte sociali e nel mondo del lavoro, rappresenta un pericolo reale per i detentori del potere economico e politico -a Milano come nel resto d’Italia- che reagiscono con le leggi eccezionali, arresti, processi: gli anarchici debbono difendersi non solo dallo Stato ma debbono contemporaneamente fare i conti anche con l’ostracismo socialista. Dal 1891 Pietro Gori è a Milano dove svolge un importante ruolo nello sviluppo dell’anarchismo, grazie alla sua oratoria e all’impegno profuso nella difesa nei tribunali. A Milano è pubblicato prima “L’Amico del Popolo”, anch’esso sottoposto a continui sequestri, e poi “Lotta Sociale”, mentre sul territorio i militanti sono un migliaio organizzati in 30 gruppi: tra questi, giova ricordare l’attività di Sante Caserio del gruppo comunista-anarchico “A pee” (a bolletta!) che pubblica due opuscoli. Con l’attentato del 1894 a Sadi Carnot, presidente della Repubblica francese, vengono promulgate le leggi eccezionali contro gli anarchici e per loro, per un lungo periodo, si aprono il confino e il domicilio coatto.
All’inizio del Novecento la repressione non è riuscita a soffocare del tutto il movimento e lentamente la ripresa prende forma con la costituzione di alcuni circoli, con l’attività di un Comitato Pro Vittime Politiche che si batte per la liberazione dei prigionieri politici (1902), con comizi contro il domicilio coatto e lotte per la casa agli operai. Numerosi e battaglieri fogli vengono dati alle stampe: “Il Grido della Folla”, “La Protesta Umana”, “Sciarpa Nera”, “La Questione Sociale”, “La Rivolta”, “La Libertà”; viene fondata la Casa Editrice Sociale da parte di Giuseppe Monanni e Leda Rafanelli che pubblica i classici del pensiero anarchico e del filone individualista: è questo un momento proficuo per le tesi individualiste che si dispiegano e si dividono in diverse forme. Per comprendere uno spaccato del movimento nei primi quindici anni del nuovo secolo fanno da supporto decine di biografie di anarchici che dispiegano la loro attività in diversi ambiti . Ci sono gli “educazionisti” che con Luigi Molinari fondano la Scuola Moderna (a Clivio e a Milano-Lambrate) e le Università Popolari sull’esempio pedagogico di F. Ferrer per combattere l’insegnamento religioso e statale; saranno proprio loro i trascinatori delle innumerevoli proteste e agitazioni pro-Ferrer, fondatore a Barcellona della Scuola Moderna Razionalista nel 1901 e condannato a morte nel 1909 nella Spagna clericale.
Dall’evoluzione del sistema politico, sociale ed economico si presenta sulla scena sociale la teoria e la pratica del sindacalismo rivoluzionario (o di “azione diretta”) che crea i presupposti per lo sviluppo di sindacati organizzati e viene così ripercorsa la storia dell’Unione Sindacale Italiana che ha avuto in Milano, assieme a Parma, un primo e importante centro divulgativo e d’azione. Ciò è potuto accadere anche grazie a un ampio dibattito nel movimento anarchico e alla sua partecipazione alle organizzazione dei lavoratori (nella Confederazione Generale del Lavoro, nelle Camere del Lavoro e poi nell’Unione Sindacale Italiana). Questa attenzione al mondo lavorativo cresce anche a fronte di eventi drammatici, come gli eccidi nelle campagne e nelle città perpetrati dall’ordine statale contro le rivendicazioni dei lavoratori: non a caso la Prefettura indica proprio Milano come la “capitale” dei partiti estremisti “quali gli anarchici, i sindacalisti e i rivoluzionari” (1911).
A Milano si pubblica il “Rompete le file” un foglio antimilitarista curato da Filippo Corridoni e Maria Rygier, le agitazioni contro la guerra in Libia si susseguono parallelamente alle campagne per la liberazione dei detenuti antimilitaristi (Antonio Moroni e A. Masetti) che vedono le donne in prima fila. Dopo gli eventi bellici, le agitazioni continuano fino al “biennio rosso” (1919-20) culminando con le occupazioni delle fabbriche da parte dei lavoratori: una fase storica che incute spavento nella borghesia, la stessa che armerà la mano fascista contro l’intero movimento operaio e particolarmente contro gli anarchici. Anche in questa fase Milano rappresenta un centro importante per le lotte in corso e non a caso proprio qui è pubblicato il primo quotidiano anarchico “Umanità Nova” ed il settimanale dell’Unione Sindacale Italiana “Guerra di classe”. Gli anarchici di “Umanità Nova” e i sindacalisti dell’Usi saranno i primi ad essere colpiti dalla repressione con arresti, con la soppressione della stampa e la messa fuori legge dell’Usi: dal 1921 gli scontri con i fascisti diventano quotidiani, la repressione generalizzata è pesante, Case del Popolo e Camere del Lavoro attaccate e distrutte dalla canea fascista e statale che monta, fino alla presa del potere della nuova reazione fascista.
Insomma, un buon lavoro di ricostruzione storica, quello di Fausto Buttà. Rimane solo da aggiungere che il libro è stato pubblicato anche in inglese col titolo “Living like nomads. The milanese anarchist Movement before fascism”, Cambridg Scholars Publishing, 2015.
Franco Schirone