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Analisi di una protesta

Analisi di una protesta

Un’ondata di proteste di massa scuote la Bielorussia. Lo scorso 9 Agosto le elezioni presidenziali hanno, come era prevedibile, riconfermato nel suo sesto mandato Aleksandr Lukašenko, in carica da ormai 26 anni. Da tre settimane ogni giorno scioperi e manifestazioni in tutto il paese contestano la regolarità delle elezioni e chiedono le dimissioni di Lukašenko. Ma le proteste hanno radici profonde, la crisi economica che il paese sta attraversando negli ultimi anni ha prodotto delle crepe nel sistema di governo che, con l’emergenza coronavirus e il collasso idrico della capitale, sono diventate vere e proprie fratture tra la società e il potere politico, portando allo scoperto l’insofferenza di gran parte della popolazione verso un potere personale che dura ormai da più di un quarto di secolo.

Già la sera del 9 agosto ci sono state manifestazioni non solo nella capitale, Minsk, ma in 33 località, come indicato dalle stesse autorità del paese. Le forze di sicurezza del governo hanno risposto con violenza alle manifestazioni, e già quella prima sera c’è stato un morto accertato tra i dimostranti, circa 3000 arresti e 200 feriti.

Le proteste sono cresciute nei giorni successivi e già dal 10 agosto operai e minatori hanno avviato un movimento di sciopero che ha dato grande forza alle proteste. Le autorità hanno cercato di soffocare il movimento di sciopero con arresti dei comitati di sciopero e serrata degli impianti produttivi ed estrattivi delle aziende a controllo statale. Gli stati dell’Unione Europea, gli USA e la Russia hanno grandi interessi in gioco e stanno facendo le proprie mosse per conquistare la propria posizione nel futuro della Bielorussia. Ma l’opposizione liberale non esprime una chiara leadership e non c’è al momento una forza egemone in grado di guidare i processi in atto. Nelle manifestazioni ci sono varie tendenze. Il movimento anarchico, che è una minoranza nella situazione attuale, è presente nelle manifestazioni e negli scioperi con posizioni specifiche. Il gruppo anarchico bielorusso Pramen nella prima settimana di proteste ha formulato cinque rivendicazioni che potessero essere fatte proprie dal movimento di protesta:

1. Dimissioni di Lukašenko, del parlamento e di tutti i ministri

2. Liberazione e amnistia per tutti i prigionieri politici

3. Scioglimento della polizia speciale antisommossa e di tutte le forze di sicurezza responsabili della violenza nelle strade del paese

4. Democrazia diretta – Il popolo deve essere incluso il più possibile nei processi decisionali importanti

5. Reintegro di tutti coloro che sono stati cacciati da lavoro a causa della loro partecipazione nelle proteste

Va considerato che nel contesto bielorusso, in cui la semplice propaganda anarchica scritta è perseguita duramente in base alle leggi contro l’estremismo politico, “democrazia diretta” è un concetto che gli anarchici utilizzano sia per aggirare la repressione delle autorità, sia per distinguersi in modo radicale dalla generica richiesta di “democrazia” dell’opposizione liberale. Queste rivendicazioni, che sono state diffuse attraverso internet, social network, ma soprattutto con cartelli e volantini durante le manifestazioni, sono solo un esempio dell’attività svolta nelle proteste dal movimento anarchico. Nelle loro diverse componenti gli anarchici bielorussi hanno partecipato agli scioperi, lavorando per l’estensione del movimento di sciopero, hanno preso parte alle manifestazioni portando proposte concrete sul piano non solo delle rivendicazioni, ma anche della solidarietà, delle tattiche, della difesa delle manifestazioni dagli attacchi della polizia, della costruzione di spazi autonomi, decisionali, per permettere la maturazione dello stesso movimento di protesta.

Queste informazioni non sono difficili da reperire consultando il sito del gruppo Pramen, [1] della Anarchist Black Cross Belarus,[2] e i profili twitter di questi due gruppi.

Come è comprensibile c’è molta attenzione su quanto sta accadendo in Bielorussia. Dall’Europa occidentale e dall’Italia non è facile comprendere gli eventi, la Bielorussia è un paese di cui i media mainstream parlano poco o per niente, noto solo per essere un satellite della Russia. Vi sono anche molti timori che possa ripetersi quanto accaduto in Ucraina tra 2013 e 2014, quando le proteste popolari contro il presidente in carica furono con la violenza egemonizzate da gruppi paramilitari neonazisti, e il paese divenne terreno di una vera e propria guerra tra l’imperialismo russo, quello statunitense e quello degli stati europei. La situazione attuale della Bielorussia però è diversa da quella in cui si trovava l’Ucraina, così come la storia recente dei due paesi, inoltre in questi anni il contesto internazionale è in parte mutato. Per comprendere la situazione, discuterne e non restare a guardare, è sempre bene ricordare che, soprattutto là dove esistono legami di solidarietà, l’attenzione deve essere rivolta a sostenere chi in tali contesti fa emergere istanze di liberazione sociale, protagonismo degli sfruttati e della classe lavoratrice, e non al mantenimento degli equilibri tra le potenze, alle esigenze del mondo multipolare, agli indirizzi geopolitici degli Stati.

In questo senso, per comprendere meglio il processo in corso è importante chiarire tre cose: In Bielorussia c’è una dittatura; c’è un reale malcontento sociale alla base delle proteste; nelle proteste ci sono componenti che possono essere sostenute in una prospettiva internazionalista di liberazione sociale.

In Bielorussia Lukašenko si è mantenuto così a lungo al potere costruendo un modello di governo autoritario e paternalistico, basato da una parte sul consenso assicurato del cosiddetto “boom economico” bielorusso a cavallo tra gli anni ‘90 e 2000, dall’altra sulla brutale repressione operata dagli apparati di polizia. Soprattutto ai danni dei nostri compagni, gli anarchici, ma anche altre organizzazioni antifasciste e la sinistra radicale, sono perseguitati, possono essere incarcerati e condannati anche per semplice propaganda, chi viene arrestato subisce torture e minacce di ritorsioni verso i propri cari. Per questo il regime autoritario di Lukašenko è una dittatura a tutti gli effetti. Non per gli standard delle democrazie europee, che non solo hanno sostenuto in questi anni il regime bielorusso, ma stanno anche adottando forme sempre più autoritarie, e pratiche violente per colpire i movimenti di protesta. La stessa Bielorussia ha in realtà preso diligentemente esempio proprio dalle “democrazie occidentali”, dagli USA e dagli stati europei, per inasprire le norme repressive. La legge “contro l’estremismo” in vigore in Bielorussia dal 2007 punisce la pubblicazione e la diffusione di materiale considerato estremista dalle autorità ed è il principale strumento di persecuzione degli oppositori politici. Questo dispositivo che è entrato poco dopo anche nell’ordinamento russo, discende in modo diretto dalle leggi antiterrorismo statunitensi che dal 2001 hanno ridotto arbitrariamente la libertà di espressione in nome della sicurezza nazionale, e che trovano corrispettivi in tutti i paesi “occidentali”. In particolare trova delle corrispondenze nella campagna “contro l’estremismo” attuata negli ultimi anni nel Regno unito sulla base del “Terrorism act” del 2006. Questa repressione non è orientata solo nei confronti dei militanti più radicali, delle organizzazioni di cui fanno parte o delle pubblicazioni che diffondono. La legge contro l’estremismo, insieme ad altri dispositivi repressivi, è impiegata dalle autorità per fare arresti tra i lavoratori, per colpire delle proteste di piazza, per compiere retate nei festival e nei concerti e incarcerarne i partecipanti. Sono strumenti repressivi che il potere impiega anche per colpire quindi ampi contesti aggregativi, in ambito lavorativo, sociale e culturale. Ma il governo della paura e della violenza non può che generare insofferenza, e ogni potere personale, ogni regime autoritario è destinato a cadere.

Le attuali proteste in Bielorussia non sono state una sorpresa, le ragioni non sono da ricercare nella semplice rielezione di Lukašenko, ma nella seria crisi del suo modello di governo. Per anni gli accordi energetici con la Russia hanno assicurato grandi profitti alla burocrazia bielorussa, e hanno permesso di garantire una certa coesione sociale, e dunque una stabilità del potere politico. La crisi di questo modello conseguente al riorientamento degli investimenti energetici russi ha portato a una crisi economica che Lukašenko e il suo entourage hanno provato a fronteggiare attraverso una politica di autonomia dalla Russia, con conseguente apertura agli USA, all’UE e ad altri mercati energetici. In questo processo le condizioni di vita e di lavoro della popolazione sono state compresse, sono state messe in discussione le garanzie sociali su cui si basava la coesione del modello bielorusso.

Il malcontento sociale non ha trovato però veri portavoce nella larga opposizione liberale e democristiana, perché la svolta “occidentale” di Lukašenko ha in parte diviso le opposizioni liberali. Una parte di esse aveva infatti abbandonato la lotta politica contro il governo, ritenendo che fosse meglio sostenere Lukašenko contro Putin e l’influenza russa, mentre molte ONG che svolgevano attività critiche nei confronti del governo, negli ultimi anni hanno perso i finanziamenti dalla UE e dagli USA, che avevano deciso di sostenere Lukašenko. L’emergenza coronavirus è stata determinante nell’inasprire il malessere presente nella società. Il governo ha infatti messo da parte il paternalismo e ha dichiarato il primato dell’economia sulla salute, disponendo che gli impianti produttivi non interrompessero l’attività.

In Bielorussia su quasi 10 milioni di abitanti, 5 milioni sono lavoratori salariati, di questi 2 milioni lavorano nell’industria. Questi lavoratori non solo sono stati abbandonati di fronte al coronavirus, costretti a produrre in nome del profitto, ma hanno visto spesso anche ridurre il proprio stipendio a causa della crisi prodotta dall’emergenza sanitaria, in alcuni casi anche del 20%. Allo stesso modo a giugno il collasso idrico di Minsk ha inferto un ulteriore colpo al consenso nei confronti delle istituzioni e del potere politico. In molti distretti della capitale, dopo denunce degli abitanti, l’acqua della rete idrica è stata dichiarata dalle autorità competenti non potabile, e inutilizzabile anche per lavarsi, a causa della contaminazione da idrocarburi e da altri inquinanti. In questo contesto però si sono anche formati gruppi autorganizzati per rifornire di acqua potabile ai quartieri che non potevano più accedervi. Allo stesso modo durante l’emergenza sanitaria lo slancio di solidarietà dal basso da parte di singoli, o di gruppi autorganizzati, per sostenere i lavoratori della sanità o per offrire un aiuto alle persone in difficoltà ha contribuito a dare alle persone una maggiore fiducia nell’efficacia dell’azione collettiva dal basso. Queste condizioni hanno portato poco prima delle elezioni all’emergere in modo diffuso dell’insofferenza nei confronti del potere di Lukašenko. Una spinta che le stesse forze dell’opposizione liberale non erano preparate a sfruttare a pieno con i propri candidati. Tanto che ad oggi, a tre settimane dalle elezioni e dall’inizio delle proteste, non esiste ancora una vera e propria leadership dell’opposizione, un vero anti-Lukašenko, così come le manifestazioni pur avendo una base nella cultura politica democristiana del paese, non registrano la presenza di forze organizzate che tentano di assumerne la guida o l’egemonia.

Un ruolo fondamentale in queste proteste lo hanno giocato e lo giocheranno gli operai, in particolare quelli delle grandi fabbriche statali di trattori, macchinari, mezzi pesanti e speciali, e i minatori, che come a Soligorsk, enorme centro estrattivo per il minerale di potassio di cui la Bielorussia è uno dei più grandi esportatori al mondo, sono entrati in sciopero. Per dieci giorni gli scioperi hanno dato forza e visibilità alla sollevazione in atto nel paese, chiedendo migliori condizioni di lavoro, aumenti salariali, liberazione degli arrestati durante le proteste, stop alle privatizzazioni, dimissioni di Lukašenko. Il presidente stavolta non è riuscito con compensazioni, o buone promesse, a riportare l’ordine, come era successo in passato. Le autorità hanno quindi provveduto all’arresto dei comitati di sciopero e alla serrata dal 24 agosto.

Anche a livello internazionale, si osserva da una parte che la crisi in poche settimane ha, almeno in parte, ricreato i vecchi schieramenti, con potenze “occidentali” critiche verso la repressione dei manifestanti attuata dal governo bielorusso da una parte, basti pensare alle sanzioni dell’UE, e dall’altra la Russia che offre la propria disponibilità a intervenire a sostegno della stabilità della Bielorussia. Dall’altra però le potenze prendono tempo, i media riportano dichiarazioni ambivalenti, ciascuno sta sicuramente facendo il proprio gioco ma la repressione degli scioperi è stata esclusa dalla narrazione dei diversi schieramenti imperialisti. Evidentemente è una questione che resta indigesta a molti. In Bieloussia quindi è in corso un’ondata di proteste, una rivolta, che risponde a un effettivo malcontento sociale, che vari soggetti stanno cercando di cavalcare, ma che al momento resta fluida.

Come ci si può rapportare quindi con quanto sta succedendo? Non vi sono in Bielorussia organizzazioni neonaziste paragonabili a quelle che hanno agito in Ucraina, né gruppi addestrati alla guerriglia urbana che possano essere assoldati dal potente di turno. Inoltre le proteste non sembrano al momento scalare verso un livello di conflitto tale da lasciare spazio a simili gruppi. Ci sono sicuramente forze di destra e nazionaliste tra i partiti di opposizione, ma non vi sono per ora forze apertamente fasciste. Al contempo gli anarchici e la sinistra radicale hanno agibilità nelle piazze, e sono presenti anche con i propri simboli e bandiere nelle manifestazioni. Tale agibilità non viene, per quanto è dato sapere, minacciata dall’interno delle proteste.

In una situazione in cui non è presente una leadership egemonica della destra è quindi molto importante sostenere coloro che nel difficile contesto delle proteste bielorusse portano una influenza rivoluzionaria e libertaria.

Al momento in cui scrivo [30/08/2020] la situazione è in evoluzione. È stato ritirato ieri l’accredito ai giornalisti stranieri e si prepara probabilmente una stretta da parte di Lukašenko. La strategia dello stato bielorusso per fermare le proteste sembra essere articolata in questo modo: dividere i manifestanti tra moderai e estremisti per escludere gli anarchici, che possono essere importanti per la difesa delle manifestazioni, e per isolare la sinistra radicale; stroncare il movimento di sciopero per colpire la vera forza delle proteste; bloccare le manifestazioni ma ridurre la visibilità della violenza della polizia. Probabilmente Lukašenko cerca una stabilizzazione della situazione per giungere ad un accordo. Negli ultimi giorni però le notizie dalla Bielorussia sono sempre meno, ed è difficile capire se questa strategia sia cambiata, e quali siano le tendenze attuali. Soprattutto se si considera che la situazione è instabile e può mutare molto rapidamente. In ogni caso, gli anarchici, i lavoratori, chi lotta per la liberazione sociale in Bielorussia ha e avrà bisogno di solidarietà, aiuto e sostegno.

Dario Antonelli

Note

  1. https://pramen.io/en/

  2. https://abc-belarus.org/?lang=en

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