La presentazione in diverse località del libro “Eternamente straniero” (BFS edizioni) è stata una bella occasione sia per ascoltare direttamente dalla voce dell’autore l’esperienza di – come recita il sottotitolo – “un medico napoletano nella Selva Lacandona”, sia per socializzare le ultime, preoccupanti, notizie provenienti dal Chiapas zapatista.
Infatti, a venticinque anni dall’insurgencia del 1° gennaio 1994 e dal conseguente movimento di solidarietà internazionale verso le comunità indigene e il movimento armato zapatista, molte cose cose sono cambiate ed anche l’attenzione politica mainstream è andata calando, magari indirizzandosi verso altre lotte di liberazione, come quella kurda, e la scoperta di formule sociali di autogoverno, quali il cosiddetto confederalismo democratico del Rojava che peraltro presenta diverse assonanze col municipalismo rivoluzionario zapatista.
Considerate le non molte eccezioni solidali – tra le quali il progetto “Caffè Malatesta” – che continuano ad assicurare concreto appoggio al Chiapas rebelde, l’iniziativa editoriale appare perciò una buona occasione per riportare l’attenzione sulla lunga e tenace resistenza zapatista.
Il libro, come già osservato da Claudio Albertani nella prefazione storica, si legge tutto d’un fiato e racconta, in presa diretta, la scelta individuale, ma con evidenti risvolti collettivi, di Cippi Martinelli, medico e docente partenopeo che da 23 anni ha preferito svolgere la sua attività professionale dentro quel mondo e tra quelle persone, quotidianamente protagoniste, in primo luogo, di un cambiamento radicale delle relazioni umane.
In questo percorso per autodeterminare le proprie vite e autogestire le necessità sociali, risaltano le modalità – orizzontali – nell’assumere decisioni attraverso un metodo assembleare alternativo ai noti sistemi autoritari, comprese le democratiche maggioranze. Infatti, anche quando questa può apparire la strada più difficile, la ricerca del consenso è ritenuta «l’unica forma di approvare qualcosa».
Dal racconto di Cippi – senza retorica e non privo di critiche – pur non volendo essere un testo militante, da questo punto di vista traspare molto tale dimensione collettiva ma non omologante, dove gli individui sono rispettati e valorizzati in modo egualitario, in quanto «ognuno porta dentro di sé qualcosa di diverso».
Il luogo d’incontro e d’osservazione del “compañero doc” è stato – e continua ad essere – la clinica “La Guadalupana” di Oventic, in territorio liberato e controllato dall’Ezln, dove l’emergenza sanitaria è cronaca quotidiana, ma anche scenario di rapporti autentici di vicinanza e solidarietà, tanto che, come con ironia racconta Cippi, lo starsene un po’ in solitudine diventa subito motivo di altrui preoccupazione.
Come accennato, dopo un quarto di secolo di resistenza e autonomia, il presente torna ad essere minaccioso e le comunità indigene, sempre più circondate da militari federali, paramilitari e mercenari, sono gravemente in pericolo, così come testimoniato da un crescendo di scontri e vittime, in una pressochè globale disattenzione.dopo che per molti anni il sup. comandante Marcos era divenuto, suo malgrado, un mito e il neozapatismo aveva riempito cuori, pagine e web.
Il “nuovo” governo messicano di Amlo (l’acronimo che indica il nome del presidente Andrés Manuel Lopez Obrador) , infatti, più che di sinistra mostra sempre più un volto sinistro e il suo Movimento di rigenerazione nazionale, dietro i toni demagogici, sta attuando una politica di modernizzazione fatta di devastanti Grandi opere, di pari passo con la militarizzazione dei territori supportata dalla nuova Guardia nazionale, con 21 mila effettivi già mobilitati contro i flussi migratori.
Il sup. comandante Moisés, che ha preso il posto di Marcos, nel gennaio scorso ha avvisato che «adesso, vengono a distruggere noi popoli indigeni», per spianare la strada alla speculazione, alla privatizzazione, alla cementificazione e al consumismo, avvertendo che «se vengono a provocarci, ci difenderemo […] ci difenderemo, combatteremo se sarà necessario».
Questo piano comprende diverse Grandi opere e riguardante diversi stati regionali soprattutto nel sud-est del Messico (Chiapas, Oaxaca, Morelos, Puebla, Tlaxcala, Tabasco, Yucatan…); tra queste: la realizzazione del Corridoio multimodale transistimico, tra il Golfo del Messico e l’Oceano Pacifico; un gasdotto di 160 km; deforestazione e monoculture per le grandi imprese dell’agro-industria; due centrali termoelettriche e una linea elettrica di 20 km, nonchè l’incremento dei campi eolici da anni avversati dalle comunità locali; autostrade; dighe; centri turistici con conseguente inquinamento dei litorali, per non parlare del delirante progetto del Treno Maya che dovrebbe unire i principali siti turistici e archeologici dello Yucatan al sito di Palenque, nel Chiapas.
E, a dimostrazione di come ormai certi processi di devastazione ambientale sono connessi, vale la pena citare la partecipazione dell’impresa italiana Bonatti spa di Parma (già coinvolta nel progetto TAP in Puglia) nella costruzione del mega gasdotto attraverso le terre di oltre 60 comunità indigene, e la Enel Green Power, impegnata nella proliferazione degli impianti eolici sulla testa dei diritti delle popolazioni della zona dell’Istmo di Tehuantepec, ennesima dimostrazione dell’ambigua utopia del capitalismo verde.
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