A più di tre anni di distanza dal referendum sull’acqua pubblica, non sono per nulla cessati i venti di privatizzazione, anzi. In verità fin da subito governi, gruppi politici ed economico-finanziari si erano mossi per neutralizzare il risultato referendario. Adesso le ultime iniziative del governo Renzi con la spending rewiew, con il decreto Sblocca Italia e con la legge di stabilità mirano a ridefinire un assesto organizzativo del servizio idrico, e non solo, per consegnarne la gestione ai privati.
Sarebbe da chiedersi perché una “mobilitazione” che ha visto la partecipazione di 27 milioni di persone non abbia prodotto nulla. Il fatto è che per molti versi il referendum è stato concepito e proposto come atto conclusivo di un percorso piuttosto che come momento di svolta di una lotta che avrebbe dovuto radicarsi e radicalizzarsi. Infatti quella partecipazione massiccia al voto referendario è stata vissuta esclusivamente come un fatto occasionale e delegante. Insomma il popolo si era espresso, sarebbe spettato poi alla politica professionista mettere in atto quanto da esso richiesto. Pertanto, mentre si prefigura una sorta di galateo istituzionale, secondo cui ciascuno degli attori si comporti correttamente, e quindi se il “popolo sovrano” decide i suoi rappresentanti eseguono, non si tiene conto delle dinamiche del tutto autoreferenziali degli apparati di potere –governo, parlamento, industria, finanza, ecc- e si passa sottotraccia la consapevolezza che solo una lotta coinvolgente, diffusa e persistente produce risultati.
Sicuramente non è responsabilità del Forum nazionale dei movimenti per l’acqua e delle sue varie articolazioni territoriali se la fase che attraversiamo registra una bassa conflittualità e risulta difficile innescare lotte che abbiano continuità. Tuttavia continuando a sbattere la testa contro il muro di gomma delle istituzioni e dei politicanti di mestiere, sarebbe opportuno che si avviasse una seria riflessione per un cambio di strategia e per tentare di promuovere iniziative più coinvolgenti e fondate dinamiche territoriali.
In verità già fin dal 2012 in un documento di Attac Italia si scriveva: “Non ci sarà alcuna nuova legge sull’acqua senza la continuazione di una fortissima vertenza nazionale e territoriale; non ci saranno enti locali che spontaneamente muoveranno verso la ripubblicizzazione del servizio idrico e la sua gestione partecipata dalle popolazioni; non ci sarà alcuna scomparsa dei profitti dalla gestione dell’acqua senza la messa in campo di una conflittualità aperta che coinvolga i cittadini”. Eppure in questi anni la direttrice seguita è stata esclusivamente quella del confronto e della mediazione istituzionali, mentre raramente si è provato ad ingaggiare vertenze con i tanti gestori privati e anche pubblici del servizio idrico, per incalzarli sull’aumento delle tariffe, sui disservizi che continuano, sulle gestioni clientelari.
Quanto va facendo il Forum Acqua e beni comuni siciliano ci dà la misura dei limiti di un movimento asfittico che pare privilegiare solo l’attività concertativa con le istituzioni.
Al 2010 risale la proposta di legge regionale di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua e ancora oggi nulla è stato fatto. In questi anni si è avuto un balletto di incontri, di nuove proposte avanzate da altri soggetti, di emendamenti su emendamenti, di discussioni e di promesse che non ha sortito alcun risultato, mentre contemporaneamente le gestioni private sono proseguite e anzi si sono rafforzate. Si sono pure sprecati i pronunciamenti di consigli comunali e provinciali che adottavano delibere che dichiaravano l’acqua bene pubblico, ma nel frattempo questi stessi consigli non facevano nulla per impedire che i privati si appropriassero delle reti idriche.
Ancora oggi di fronte all’ennesimo attacco privatizzatore – Sblocca Italia, ecc.- la risposta del Forum sembra quella di contrastarlo solo con l’approvazione delle delibere dei consigli comunali e con la definizione della proposta di legge regionale.
Certamente la situazione è piuttosto ingarbugliata e sfaccettata, ma la via istituzionale e legislativa seguita dal Forum accentua le contraddizioni e le ambiguità. Due recenti vicende ne sono un preciso esempio.
L’approvazione lo scorso ottobre da parte del Consiglio regionale del Lazio di una legge di ripubblicizzazione dell’acqua è stata l’occasione per il Forum siciliano di incalzare il presidente Crocetta affinché anche in Sicilia si proceda nella stessa direzione. Ma a ben vedere la legge laziale rimane su un terreno scivoloso e si mostra cauta persino nella formulazione, richiamando, insieme al risultato referendario, la normativa italiana ed europea che certo non esclude chiaramente una gestione privatistica, sebbene fatta da enti pubblici. Infatti all’art. 4 -Principi relativi alla gestione del servizio idrico- si afferma : “Al fine di garantire in linea di fatto e di diritto l’affermazione dei principi enunciati, la gestione del servizio idrico integrato, deve essere svolta nel rispetto dei principi costituzionali, degli esiti referendari e della legislazione statale vigente nonché secondo quanto disposto dall’articolo 106, comma 2 del TFUE”.
L’altra vicenda riguarda la complicata storia di Acque potabili siciliane che gestiva il servizio idrico in parecchi comuni del palermitano. Senza voler scendere nel dettaglio, è avvenuto che il fallimento di Aps ha aperto la strada, in seguito ad un ricorso, alla riconsegna provvisoria lo scorso mese di luglio delle reti ad alcuni comuni. Questa decisione è stata contestata da Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uilm, Ugl Chimici e Cisal Federenergia, perché “viola l’unitarietà della gestione del servizio idrico integrato, garantita dalle norme nazionali (articolo 147 del decreto legislativo 152/2006)”, mentre il Forum l’ha accolta positivamente. L’arcano sta nel fatto che lo stesso Forum, se nel caso specifico si schiera con i comuni ricorrenti, continua invece a promuovere una proposta di legge nella quale è scritto: “ Al fine di salvaguardare l’unitarietà e la qualità del servizio, la gestione delle acque avviene mediante servizio idrico integrato, così come definito dalla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”. Insomma sindacati concertativi e Forum fanno appello alla medesima norma per trarne conseguenze apparentemente opposte.
Il fatto è che a distanza di anni i Forum per l’acqua pubblica evitano di riflettere sulle conseguenze dell’accogliere, come loro fanno nelle proposte di legge di iniziativa popolare, l’assunto del servizio idrico integrato e dell’unitarietà della gestione a livello di ambito territoriale. In verità il dettato della legge del 2006 è chiaro: servizio idrico integrato presuppone una gestione efficace, efficiente, economica, cioè industriale dell’acqua. Quindi investimenti, know-how, tecnocrazia che solo grandi società possono assicurare.
In definitiva l’azione dei Forum continua ad essere incerta nei fini e nei metodi. Se da una parte si ripete come un mantra che l’acqua deve essere pubblica, dall’altra non si sciolgono le ambiguità e non si dà giusto spazio e necessaria forza a iniziative territoriali dal basso. Non mancano certo esempi, nell’ambito degli stessi Forum, di più efficaci lotte locali, da sindaci che non hanno consegnato le reti idriche ai privati ai cosiddetti gruppi di allaccio popolare che con azioni dirette restituiscono l’acqua a chi ne viene privato per morosità o altro dalle società di gestione. Quindi che cosa ancora si aspetta a mettere in campo una conflittualità diffusa nei territori sulle singole gestioni e a spingere perché siano i singoli comuni o libere associazioni di comuni a riprendere in mano la gestione di un bene fondamentale come l’acqua?
Angelo Barberi