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Gruppi Anarchici d'Azione Proletaria (1951-1956). Una ricostruzione fuori dal mito

Gruppi Anarchici d'Azione Proletaria (1951-1956). Una ricostruzione fuori dal mito

Franco Bertolucci (a cura di), Gruppi anarchici d’azione proletaria. Le idee, i militanti, vol. 1, Dal Fronte popolare alla «legge truffa»: la crisi politica e organizzativa dell’anarchismo, Pisa / Milano, BFS / Pantarei, 2017, 776 pp. + ill., euro 40,00.

Prima di quest’opera imponente curata da Franco Bertolucci – di cui oggi disponiamo del primo fra i tre volumi previsti – i GAAP potevano contare soltanto su un utile lavoro di sintesi compilato dal compianto Guido Barroero: I figli dell’officina. I Gruppi Anarchici d’Azione Proletaria (1949-1957), edito nel 2013 dal Centro documentazione “F. Salomone” di Fano. Nella fattispecie veniva tracciato su quell’originale esperienza politica organizzativa libertaria, di marcato stampo classista, un bilancio in termini molto positivi. Ciò era evidentemente basato anche sulla consonanza ideologica dell’autore rispetto a quel percorso.

(…) Iniziato nel 1949 all’interno della Federazione Anarchica Italiana, – ci raccontava Barroero – il percorso di questi operai comunisti anarchici si separerà in modo lacerante dalla FAI nel 1950. Dal 1951 al 1956 i GAAP avranno una costante presenza all’interno del movimento operaio, perseguiranno una strategia di alleanze con tutte le forze rivoluzionarie, per la costituzione di un Terzo Fronte di avanguardie politiche antimperialiste, che li porterà ad approdi distanti dal comunismo anarchico (…)”

Ho potuto verificare direttamente, compulsando le fonti nel corso delle mie ricerche sull’anarchismo italiano nel secondo novecento, come questo scivoloso soggetto storiografico (i GAAP) – tutto sommato famoso ma, in verità, poco conosciuto nel milieu della militanza – sia stato “vittima” predestinata di atteggiamenti acritici di segno opposto: da una parte mito (si pensi in tal senso alle correnti cosiddette neo-piattaformiste in auge dagli anni Settanta), dall’altra pregiudizio liquidatorio. Gli anni Novanta e i Duemila, fortunatamente, hanno marcato una nuova stagione di studi sulla storia dei movimenti anarchici e libertari, specie sul piano metodologico e dell’utilizzo scientifico delle fonti. La lista sarebbe lunga; mi limito quindi a far riferimento alla mia esperienza diretta. Almeno in un paio di occasioni mi sono reso conto del peso specifico e dell’importanza strategica e politica della breve esperienza gaapista: durante la compilazione della corposa biografia dedicata a Umberto Marzocchi (Senza frontiere, Zero in Condotta 2005); nella mia ricerca dedicata alle correnti libertarie nel sindacalismo italiano (Lavoro, democrazia, autogestione, Aracne 2012). Insomma c’erano molte questioni da studiare di più e meglio, questo mi è apparso subito evidente. Era come una condanna pregiudiziale e tutta ideologica, per di più di matrice “anarchica”, che gravava sui GAAP; la stessa che avevano dovuto subire anarchismo e sindacalismo rivoluzionario da parte della vecchia storiografia comunista.

L’opera curata da Bertolucci ci permette invece di tornare alle fonti. Perché è da lì che bisogna sempre partire e poi ripartire, anche per decostruire tutte quelle narrazioni che si sono via via sedimentate già dalle interessate testimonianze “a caldo” dei protagonisti. Al di là degli esiti e dei successivi percorsi i GAAP riescono comunque ancora a interrogare l’anarchismo “ufficiale” su questioni dirimenti che riguardano gli inediti scenari che si sono prospettati nel secondo dopoguerra. Passati dal protagonismo primonovecentesco alla mera testimonianza, gli anarchici portano il fardello di una doppia sconfitta subita affrontando a viso aperto i totalitarismi fascista e comunista staliniano. Fordismo dispiegato, democrazia liberale e forma repubblicana (conseguita peraltro dopo una secolare, epica, lotta antidinastica) costituiscono inoltre il quid novi per il quale servirebbe aggiornare un bagaglio teorico libertario il cui nucleo centrale si è formato nell’era geologica precedente. I partiti politici, nello specifico DC, PCI e PSI, ricopriranno, differentemente che dal periodo prefascista, un ruolo centrale per tutta la prima repubblica. Nella sinistra e nei sindacati sarà a lungo incontrastato il dominio dello stalinismo e del mito dell’URSS. Tutto questo non è cosa da poco e qualsiasi terzaforzismo, anche borghese se vogliamo, si scontra con muri di gomma insormontabili. Certo i GAAP non sono in grado di dare risposte forti e credibili, politicamente efficaci a siffatte problematiche, tuttavia si deve riconoscere che almeno ne riescono a percepire il peso e l’importanza.

Nell’anarchismo italiano del secondo dopoguerra sono ormai ben leggibili, sulla scorta di una storiografia profonda e densa, ben tre prospettive politiche o ipotesi interpretative a cui corrispondono altrettante opere appena edite.[1]

In ordine di apparizione: 1) una “destra” culturalista, ben individuata nel lavoro dedicato da Giampietro Berti alla storia dei GAF e alle attività del Centro Studi Libertari (Contro la storia. Cinquant’anni di anarchismo in Italia, Biblion 2016), narrazione che deve essere certo integrata dalla fase precedente, ossia dal ciclo segnato dalla rivista “Volontà” nell’epoca della direzione della Caleffi Berneri; 2) una “sinistra” classista, prima gaapista e più tardi neo-piattaformista, che dispone finalmente – per quanto riguarda i GAAP – di uno studio strutturato e basato su fonti primarie e soggettive per il quale si deve ringraziare, oltre che Bertolucci, il nostro maestro Pier Carlo Masini che ha voluto trasmettere ai posteri un archivio davvero prezioso; 3) un “grande centro” (non democristiano però), costituito dalla FAI e dagli anarchici cosiddetti ufficiali o tradizionali, per il quale abbiamo – fresco di stampa (autori: G. Sacchetti, M. Varengo, A. Senta, M. Ortalli) – Con l’amore nel pugno. Federazione Anarchica Italiana. Storia e documenti (1945-2012), Zero in Condotta 2018, pp. 368 + CD allegato.

Piccola notazione: “destra” e “sinistra” paiono accomunate da una medesima strategia, sebbene diversamente declinata; ossia dall’idea di perseguire un ossessivo, insistente, dialogo con le sparute correnti eretiche e dissidenti del comunismo e del liberalsocialismo.

Il quadro informativo è ora dunque completo e le discussioni sono aperte. Un’ultima cosa preme sottolineare riguardo a questo bel volume sui GAAP. L’elemento generazionale è qui ben evidente e lo si può notare anche solo osservando l’interessante foto di copertina. Nel gruppo in posa durante una conferenza nazionale, a Livorno nel 1953, non vi sono anziani e sono, più o meno, quasi tutti trentenni – a parte i quarantenni Ugo Scattoni e Alfonso Failla (quest’ultimo sta seguendo la parabola dei GAAP con intenti unitari). Ecco! Quella generazione di militanti, nati intorno agli anni Venti e che ha avuto il suo battesimo del fuoco nelle piazze del 1948, costituisce l’anello mancante dell’anarchismo novecentesco.

Giorgio Sacchetti

[1] Avvertenza per i lettori: “Destra”, “Sinistra” e “Centro” – ovviamente tra virgolette – sono categorie ormai ampiamente utilizzate anche dagli storici dell’anarchismo. La scienza della politica, la politologia, la storiografia sul movimento operaio e socialista le hanno, del resto, sempre adoperate. Valgano due esempi in proposito: la storia della nascita della corrente comunista nel PSI; oppure la collocazione di Berneri nella FGS (più vicino alla “destra culturista” che non alla “sinistra” bordighiana).


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