Quando mi avviene di riflettere sull’andamento di una mobilitazione e, laddove sia stata un disastro, sugli argomenti volti a giustificarlo accampati da chi l’ha promossa, mi viene sempre in mente il famoso aforisma dell’influente architetto statunitense Frank Lloyd Wright “Un medico può seppellire i propri errori, ma un architetto può solo consigliare al cliente di piantare rampicanti”, che integrerei aggiungendo che un dirigente sindacale può proporre un’altra mobilitazione al fine di evitare di riflettere su quanto è avvenuto o non avvenuto.
Questo modo di gestire le sconfitte è indubbiamente funzionale all’obiettivo di caricare la truppa e di garantire ai leader sindacali che ne hanno la responsabilità politica una piccola folla plaudente ed adorante. Se, però, pensiamo, come penso, che al sindacalismo di base serva una rete di militanti che ragionino freddamente sulla base di informazioni fondate e che agiscano con passione e determinazione avendo chiare le difficoltà, si tratta di una via suicida. Fra l’altro, questo tipo di operazioni nemmeno funziona visto che i lavoratori e le lavoratrici normali, posto che esista la normalità, non saranno magari dei geni ma una valutazione realistica della situazione, visto che non sono fanatizzati, la sanno fare perfettamente e sanno riconoscere benissimo un fallimento.
In occasione dello sciopero della scuola del 17 marzo devo riconoscere che la creatività degli importanti dirigenti sindacali dei piccoli sindacati della scuola che hanno fermamente voluto uno sciopero poco più di una settimana dopo quello dell’8 marzo è stata ammirevole. Ma, per apprezzarla appieno, vale la pena di partire dalla triste scienza della statistica, noiosa certo ma assolutamente necessaria per evitare di parlare del nulla.
Partiamo dallo sciopero dell’8 marzo, sulla base di un campione del 97,86% (8.407 in tutto) delle scuole, risulta che su 1.035.295 di lavoratrici e lavoratori in servizio hanno scioperato 29.752 persone e cioè il 2,87% . Se disaggreghiamo i dati emerge un fatto interessante: dei docenti ha scioperato il 2,77% mentre del personale ausiliario tecnico ed amministrativo (ATA) ha scioperato il 3,4%, cosa che conferma una tendenza emersa negli ultimi anni, e cioè la maggior combattività degli ATA rispetto ai docenti derivante, a mio avviso, da un aggravarsi dei carichi di lavoro per una categoria in gran parte anziana e che, probabilmente, visto che escluderei una particolare tensione all’azione politica generale in questo segmento della categoria, ha scioperato non tanto e non solo per le ragioni formali dello sciopero dell’8 marzo, e cioè la rivendicazione dei diritti delle donne, ma per manifestare il proprio scontento.
E’ bene tener conto poi del fatto che l’8 marzo era di mercoledì ed è quindi mancata la consueta percentuale di lavoratrici e di lavoratori che, quando lo sciopero è di venerdì – e quasi tutti gli scioperi sono, non a caso, di venerdì, usano lo sciopero come un permesso non retribuito per sottrarsi all’uggia del lavoro.
Immediatamente dopo la pubblicazione di questi dati non è mancato fra i promotori dello sciopero del 17 marzo chi ha levato il calice al “fallimento” dello sciopero dell’8 marzo rilevando che, essendo stato indetto anche dalla FLC CGIL, si trattava di una sconfitta sul campo della FLC CGIL stessa.
Chiunque abbia una qualche conoscenza del sindacalismo scolastico sa perfettamente che si tratta di un’idiozia assoluta, la FLC CGIL ha indetto lo sciopero dell’8 marzo, lo abbiamo già rilevato sulle pagine di UN, al solo fine di accontentare una parte della sua area di insistenza e, incidentalmente, per infastidire i promotori dello sciopero del 17 ma non ha fatto nulla per farlo riuscire. Per fare un parallelo divertente, se Vittorio Emanuele II era solito dire che un sigaro e una croce di cavaliere non si negano a nessuno si potrebbe aggiungere che uno sciopero, se non costa nulla ai promotori, non si nega a nessuno e andare avanti.
Veniamo ora ai dati dello sciopero del 17 marzo. Sulla base di un campione del 96,5% (8406 scuole) risultano, su 1.011.511 lavoratrici e lavoratori tenuti al servizio, 31.461 scioperanti, il 3,11%, e cioè un numero analogo agli scioperanti dell’8 marzo.
Se poi operiamo la doverosa disaggregazione fra docenti ed ATA risulta che i docenti in sciopero sono stati 20.946 e cioè il 2,59%, meno insomma rispetto all’8 marzo, mentre gli ATA scioperanti sono stati 10.484 e cioè il 5,44%. Considerando che l’8 marzo i docenti scioperanti sono stati 22.852, risulta quindi che sono quasi 2000 in meno rispetto allo sciopero precedente.
Come possiamo spiegare questa difformità? A mio avviso è abbastanza semplice, il 17 marzo lo sciopero è stato indetto oltre che da Cobas, Unicobas ecc., e lasciando da parte l’ANIEF sulla quale sarà opportuno tornare poi, da FederATA, un sindacato corporativo, appunto, degli ATA che ha dato con più forza voce al malessere ATA del quale già si è detto mentre, fra i docenti e le docenti, è risultata più interessante la proposta di uno sciopero politico quale quello dell’8 marzo.
Ricordiamo, non è fatto privo di rilievo, che il 17 marzo era di venerdì, giorno propizio agli scioperanti “opportunisti” e anche se è vero che indire uno sciopero di venerdì 17 è un atto di coraggio, è anche vero che un venerdì 17 potrebbe favorire piuttosto la scelta di scioperare che quella di non scioperare.
A questo punto, e per concludere la valutazione quantitativa dello sciopero, vale la pena di tener conto del fatto che i lavoratori e le lavoratrici organizzati nei sindacati promotori dello sciopero del 17 marzo sono fra il 7 e l’8% e che, considerando che non tutti gli scioperanti aderiscono a questo cartello sindacale, allo sciopero ha aderito, ad essere ottimisti, fra il 30% ed il 40% dei lavoratori che sono iscritti agli stessi sindacati.
Un disastro secco e senza attenuanti, insomma, soprattutto se si tiene conto del fatto che, almeno per quel che riguarda il sindacalismo di base, si tratta di organizzazioni che si vogliono militanti e che quindi avrebbero dovuto coinvolgere nella mobilitazione una parte significativa dei lavoratori che non organizzano.
Vale ora la pena di scomporre il cartello dei sindacati promotori dello sciopero del 17 marzo al fine di comprendere meglio quanto si muove nella scuola al di fuori dei sindacati istituzionali e cioè di CGIL, CISL, Gilda, SNALS, UIL.
Dal punto di vista della consistenza associativa, il principale animatore dello sciopero del 17 marzo è stato l’ANIEF, un sindacato che è, in primo luogo, un’organizzazione specializzata in ricorsi legali che, grazie a questi ricorsi, ha fatto un discreto numero di iscritti e che, sempre grazie ai ricorsi, dispone di risorse economiche rilevanti.
L’ANIEF punta, ed ha buone possibilità di realizzare l’obiettivo, a conquistare la maggior rappresentatività nella scuola e, nonostante la sua base associativa di ricorrenti sia, e lo abbiamo verificato il 17 marzo, tutt’altro che conflittuale visto che punta tutto sulle vittorie legali, ha interesse a porsi come sindacato a tutti gli effetti e, di conseguenza, a indire scioperi.
Per pratica, cultura, relazioni con l’amministrazione e il sistema politico, è lontanissima dal sindacalismo di base ma, in quanto concorrente, non avversaria e casomai aspirante socia, dei sindacati attualmente rappresentativi, un qualche accordo con pezzi del sindacalismo di base le può essere funzionale al fine di accrescere il proprio peso contrattuale, e va detto che ha trovato, se non tutti, quasi tutti i sindacati “di base” più che disponibili al “dialogo”.
Un altro segnale, a mio avviso, del fatto che molti, troppi, e non solo nella scuola, pensano di uscire dalle attuali difficoltà del sindacalismo di base mediante operazioni politiche spericolate e che non possono portare che ad un’integrazione subalterna nell’attuale sistema delle relazioni sindacali.
Proporrei a questo punto una comparazione che ritengo interessante. Mentre si organizzava lo sciopero del 17 marzo nella scuola si è sviluppato un movimento di lotta dei lavoratori aeroportuali che ha prodotto scioperi e manifestazioni veri in una situazione di scontro durissimo che vede a serio rischio il posto di lavoro di oltre 2000 lavoratori in Alitalia e molte migliaia nell’indotto. Qualcuno potrebbe obiettare che i lavoratori e le lavoratrici aeroportuali si sono messi in moto perché costretti dalla situazione e avrebbe, ma solo in apparenza, ragione. Infatti, se è vero che la lotta nasce da gravissimi problemi reali è anche vero che ha trovato uno strumento organizzativo, una forza che ha osato indire sul serio sciopero, in un settore del sindacalismo di base, nella fattispecie la CUB Trasporti, e che la situazione non ha prodotto solo sbando e passività, non solo ma anche, perché vi è stata una volontà di agire di una minoranza organizzata.
Bene, se si escludono settori della stessa CUB, purtroppo non l’intera CUB, che hanno sostenuto la lotta degli aeroportuali con generosità e determinazione, ancora una volta assistiamo all’isolamento di settori della nostra classe che vengono, uno per volta, colpiti.
Soprattutto verifichiamo la differenza fra chi vive il sindacalismo di base come costruzione di conflitto, organizzazione, iniziativa e chi si pensa come lo stato maggiore dei secoli futuri e rifiuta, come alcuni hanno fatto, la possibilità interessante di unire la mobilitazione dell’8 e quella del 17 marzo, di allargare il fronte, di tentare vie inesplorate ed interessanti e ha solo tentato di salvare la propria personale e risibile visibilità.
Uno sciopero unitario che avesse tenuto dentro le due mobilitazioni dell’8 e del 17 marzo avrebbe risolto i problemi? A mio avviso, assolutamente no ma, quantomeno, non avrebbe diviso le forze e avrebbe permesso un’adesione dignitosa se non entusiasmante.
Si tratta ora di andare oltre la sconfitta senza però inventare argomenti giustificativi risibili del tipo “la colpa è della FLC CGIL”, “la colpa è di chi nel sindacalismo di base nella scuola ha avuto una posizione unitaria”, “la colpa è delle scorrettezze dell’amministrazione della scuola”, come se l’amministrazione non sabotasse sempre gli scioperi; soprattutto, si tratta di riflettere su quanto è accaduto e di individuare forme nuove di azione.
Il primo passaggio, a mio avviso, è il superamento non a parole ma nei fatti del settarismo. Io sono convinto, assolutamente convinto per diretta e quotidiana esperienza, che molti aderenti dei piccoli sindacati della scuola che hanno rifiutato l’unificazione degli scioperi sono critici nei confronti delle decisioni dei loro dirigenti. Bene, se è così, questo è il momento di non limitarsi a borbottare nelle conversazioni private ma di imporre una politica unitaria con tutti i mezzi necessari.
E’ inimmaginabile, insomma, che si prosegua nella pratica che abbiamo visto in atto quando Aldo Milani del SI Cobas è stato arrestato grazie ad un indecente trappolone e grazie alla quale, in luogo di manifestare la propria piena solidarietà politica, vi è stato chi si è preoccupato solo di spiegare che la propria, si proprio la propria mi si passi il gioco di parole, organizzazioncella, nonostante abbia un nome simile, non ha nulla a che fare con i compagni colpiti.
Ovviamente, la politica unitaria non basta anche se è necessaria, si tratta di riaprire un confronto serio sulla situazione, sulle prospettive, sul senso stesso del nostro volerci parte del movimento di classe, minoranza agente e non apparato autoreferenziale.
Una svolta difficile, senza la quale, però, verrebbe a cadere la stessa ragion d’essere del sindacalismo di base.
Cosimo Scarinzi