In un ideale dizionario delle nuove, vergognose forme di sfruttamento un posto d’onore (insieme al tirocinio formativo a cui abbiamo dedicato un precedente articoloi) lo meritano sicuramente i buoni lavoro (comunemente noti come voucher); anche in questo caso troviamo una perfetta sintonia tra governi di destra e di sinistra, avvicendatisi negli ultimi venti anni, nello smantellamento totale delle garanzie a tutela dei lavoratori.
I voucher sono stati istituiti formalmente con la legge Biagi (governo Berlusconi, D. L.vo 276/2003) che li riservava alla retribuzione di lavori “di natura meramente occasionale” di soggetti marginali (“lavoretti” di studenti, pensionati, casalinghe, disoccupati o disabili) ma hanno trovato per la prima volta effettiva applicazione solo nel 2008 (governo Prodi) quando sono stati introdotti sperimentalmente per prestazioni occasionali di tipo accessorio nel comparto delle vendemmie.
Di fronte al successo straripante (mezzo milione di voucher venduti in pochi mesi) il loro uso è stato rapidamente esteso con una serie di disposizioni legislative che sono culminate nella riforma Fornero (leggi 92 e 134 del 2012) che di fatto ne ha liberalizzato completamente l’uso prevedendo solo un tetto massimo di 5000 euro annuali percepibili dal singolo lavoratore (non più di 2000 euro l’anno da parte dello stesso datore di lavoro). Con la legge 99 del 2013 (governo Letta) è stato eliminato anche il requisito secondo cui il lavoro svolto doveva essere “di natura meramente occasionale”, il jobs act infine (governo Renzi, D. lvo 81/2015) ha innalzato a 7000 euro il limite della retribuzione annuale del singolo lavoratore (2000 euro da parte di ogni singolo datore di lavoro).
I risultati sono sotto gli occhi di tutti ed un recente studio dell’INPS li certifica in modo inequivocabile: l’uso dei voucher è aumentato esponenzialmente dal 2013 con un incremento mediamente del 70 % ogni anno fino ad interessare circa 1.400.000 lavoratori nel 2015 (p. 8).
La possibilità di sfruttare in modo estremamente flessibile e legale la manodopera (qui veramente possiamo parlare di lavoro “uso e getta”) ha reso questo strumento appetibile per qualsiasi datore di lavoro. Vi sono persino casi di Comuni che, non potendo assumere, retribuiscono coi voucher impiegati precari (o anche professionisti), ha destato poi un certo scalpore il fatto che gli stessi sindacati, tra cui la CGIL (che pure ha promosso un referendum abrogativo sull’argomento) non si siano tirati indietro dall’usare i buoni lavoro per pagare propri dipendentiii. Non è un caso, d’altra parte, che al boom dei voucher faccia riscontro una netta diminuzione di altre classiche forme di sfruttamento come le “false partite IVA” e i contratti di lavoro intermittente.
In una grande città come Milano le persone retribuite coi buoni lavoro sono passate da 90.000 nel 2015 a 130.000 nel 2016 e, di conseguenza, la retribuzione media dei lavoratori in città è diminuita da 29.000 a 28.000 euro annui. Tra gli altri è la grande distribuzione a fare un uso sistematico e selvaggio dei voucher negli ipermercati assumendo manodopera iperflessibile, quando un dipendente raggiunge il tetto massimo previsto dalla legge viene semplicemente lasciato a casa e sostituito con un altro !iii
La ricerca INPS evidenzia una notevole disomogeneità nella distribuzione dei voucher sul territorio nazionale: nel 2015 il 40 % sono stati assorbiti da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna mentre le prime quattro province per numero di lavoratori retribuiti coi buoni lavoro sono Milano, Torino, Verona, Roma (p. 14).
Molto gravi le conseguenze sociali: l’84,4 % dei lavoratori non raggiunge il requisito minimo (130 voucher in un anno) indispensabile per far valere i contributi stessi a fini pensionistici (p. 19) inoltre il 37 % di coloro che vengono pagati a voucher non risulta avere altre forme di reddito nell’anno (p. 24), elemento che evidenzia l’estrema precarietà di questi lavoratori e sottintende una robusta presenza di lavoro nero.
Sono gli stessi ricercatori INPS a certificare il fallimento “delle (irrealistiche) aspettative del legislatore […] che il voucher servisse per l’emersione del [lavoro] nero” al contrario i dati a disposizione fanno pensare “più che a un’emersione, a una regolarizzazione minuscola (parzialissima) in grado di occultare la parte più consistente di attività in nero. In questo senso si può pensare ai voucher come la punta di un iceberg: segnalano il nero, che però rimane in gran parte sott’acqua”(p. 57)
Nel corso del 2016 la vendita dei voucher ha continuato ad accrescersi costantemente a ritmi sostenuti (intorno al 30%) fino al mese di ottobre, quando ha incominciato a stabilizzarsi come conseguenza dell’introduzione dell’obbligo di comunicazione preventiva da parte di un ministro Poletti subissato dalle proteste generali. Nel mese di gennaio 2017 il numero di buoni lavoro venduti risulta in linea con i dati del gennaio 2016iv e quindi la fase di incremento sembrerebbe finita.
In conclusione: solo attraverso la mobilitazione di massa sarà possibile combattere questa e altre forme vergognose di ipersfruttamento senza farsi illusioni sull’uso dello strumento referendario che, come dimostra l’esperienza del passato, può essere facilmente bypassato da governo e padronato sia disattendendo gli esiti referendari sia – soprattutto – introducendo altre, più sofisticate, forme di sfruttamento.
Mauro De Agostini
iihttp://www.unita.tv/focus/boeri-cgil-ipocrita-sui-voucher-li-usa-in-gran-quantita-e-il-sindacato-si-ribella/