Il DDL 1660, meglio conosciuto come “Decreto Sicurezza” già approvato dalla Camera, in attesa dell’approvazione del Senato, pone non pochi dubbi di ordine costituzionale sia per quanto riguarda la sua impostazione sia nello sviluppo dell’impianto. Mi pare evidente che alcuni sacri principi, uno per tutti l’art. 3 della Costituzione, non abbiano ispirato i tre ministri proponenti. Ma di questo si occuperanno i Tribunali quando dovranno applicare le nuove norme.
Per quel che mi riguarda: la genesi del DDL viene da lontano e si inserisce in un percorso che vide fra le sue ultime tappe il ddl firmato da tale Bisa, della Lega, che prevedeva inasprimenti di pene per i movimenti attivi nel campo dell’emergenza abitativa, prendendo di mira gli occupanti senza titolo, coloro che occupavano stabili abbandonati per farne centri sociali, chi solidarizzava e sosteneva occupanti e sfrattati.
Un segnale pessimo, ma chiaro, si disse allora, che ha ispirato per intero il cosiddetto “Decreto Sicurezza” che proprio delle occupazioni vuol dimostrare di fare tabula rasa. Al di là dell’esame della congerie dei nuovi reati, delle aggravanti, del ritorno ad esempio della sanzione penale per il blocco stradale, a me pare che il DDL voglia annullare il confine fra antagonismo, dissenso sociale, politica diretta, disobbedienza civile e la cosiddetta tutela dell’ordine pubblico. La famigerata sicurezza.
Si diceva della genesi, ma al Carneade Bisa bisogna associare e da più lungo tempo il cosiddetto centrosinistra, che, finché è stato al governo ha anticipato, legiferando, gli attuali governanti. Originale e anticipatoria, è stata la riforma Orlando del 2017, i cui tratti essenziali riassumo in “processo penale efficiente, imputato e difensore collaborativi”.
Se si concepisce il processo penale in termini di efficienza, si arriva alla pretesa che il difensore sia parte del sistema. L’avvocato che si fa carico dell’efficienza del sistema non ha ragion d’essere. Il punctum dolens non sono gli avvocati, ma i loro assistiti. Mi pare evidente che quando il processo penale diventa, come è diventato, non solo propaganda politica, ma mostro fagocitante di qualsiasi “disordine”, quando il novero della norme si atomizza fino al punto di non corrispondere più a previsioni astratte, la forza di intimidazione dell’apparato vanifica ogni diritto dell’individuo di difendersi dal Leviatano.
Diritto penale massimo, diritto di difesa marginale.
Cosa c’entra questo col DDL 1660? Aumentare i reati, le aggravanti, trasformare le carceri in caserme (la resistenza anche passiva agli ordini impartiti: le forme di protesta non violente trasformate in fattispecie penali) rendono trasparente il disegno di fare coincidere lo Stato con l’ etica dello Stato.
Ribadisco: l’erosione del diritto di difesa (potersi difendere anche DAL processo) porterà a compimento l’involuzione di quel che rimaneva del principio liberale cui si ispirava, ormai molti anni fa, l’amministrazione della giustizia penale.
Riannodando le fila del discorso, i principi costituzionali a tutela del cittadino ancorché imputato, stanno cedendo sotto quel magma ribollente di norme mirate, funzionali alla propaganda elettorale, alla stabilità del sistema, che tutti, proprio tutti, hanno come unico obiettivo.
Il codice penale del 1930, paradosso dei paradossi, depurato da tutte le manipolazioni degli ultimi trent’anni, darebbe molte più garanzie a chi decidesse di violarlo.
Sauro Poli, avvocato penalista