Da tempo il CPR di Via Corelli a Milano è stato al centro dell’attenzione come uno dei luoghi simbolo della detenzione illegale degli immigrati, così come è stato uno degli obiettivi di tante manifestazioni di protesta ed iniziative di lotta milanesi e nazionali. Negli anni si sono susseguite denunce sulle condizioni di vivibilità e sviluppate inchieste, pur nelle difficoltà di acquisire informazioni sulle reali condizioni di vita, data la difficoltà per gli esterni di agibilità nel centro, sia associazioni che singoli. Recentemente in una inchiesta di “Altraeconomia” è stata data voce ai lavoratori della Martinina Srl, società che gestisce la struttura dall’ottobre 2022. Racconta un dipendente: “…la pulizia? Erano posti pieni di piccioni, nutriti dagli stessi trattenuti – e, com’è noto, i piccioni portano malattie – vi era spazzatura ovunque, le stanze erano lorde, piene di mozziconi, le lenzuola erano sporche, fatte di tessuto non tessuto e non venivano ovviamente cambiate tutti i giorni. Durante l’estate poteva capitare che il sapone, pur presente, non veniva dato ai trattenuti, per cui di fatto le docce non venivano fatte”
“Persone che vivevano in luoghi sudici. Gli ambienti erano sporchi, c’erano anche dei topi all’interno delle diverse aree: le pulizie venivano svolte molto superficialmente, tanto che molti ospiti hanno avuto delle malattie epidermiche dovute alle scarse condizioni igieniche. Ci sono stati anche episodi di scabbia su più “ospiti”. Ai trattenuti non è stato mai consegnato il kit per l’igiene personale, né saponi, né le lenzuola, dovevano arrangiarsi con quello che trovavano all’interno”. Ancora. “Gli ospiti vestivano sempre con la stessa tuta per l’intera giornata, sia di notte sia di giorno. Una volta a settimana avveniva il lavaggio della tuta e se qualcuno non aveva la possibilità di un cambio, restava seminudo fino a quando non veniva riconsegnata la tuta pulita”. E poi il cibo avariato: “Poiché erano avanzate delle vaschette di pasta, erano state offerte a noi dipendenti. A me sembrava pasta con il gorgonzola, in quanto aveva un odore rancido, poi mi sono accorta invece che era pasta con le zucchine andata a male. Ho cercato di evitare che venisse mangiata dai trattenuti, ma non sono arrivata in tempo, 40 persone hanno avuto un’intossicazione alimentare”. La situazione è andata via via peggiorando sino al punto che nel dicembre dello scorso anno, esattamente il giorno 13, la Procura di Milano ha chiesto il sequestro preventivo d’urgenza del CPR di Via Corelli per il concreto rischio che i gravissimi reati ipotizzati all’interno del complesso continuino a ripetersi e soprattutto perché è stato nuovamente rinnovato con la prefettura di Milano il contratto con il gestore del complesso la Società La Martinina, con il reale rischio di un proseguo della cattiva gestione. Infatti il “nuovo” contratto, pubblicato sul sito della Prefettura, ricalca quello precedente. Il contratto è stato rinnovato, come detto, come se tutto fosse normale. Tutto ciò induce a ritenere che la situazione di frode ad oggi riscontrata possa pertanto proseguire nel prossimo futuro e tale situazione di illegalità (scrivono i magistrati) non potrà prevedibilmente che protrarsi almeno per un ulteriore intero anno.
Le criticità erano da tempo note. Già nel luglio 2022, a seguito di verifiche in loco si evidenziavano numerose lacune nella tutela del diritto alla salute specie sotto l’aspetto psichico, sottolineando che la sola risposta ai problemi mentali era l’utilizzo diffuso e abbastanza indiscriminato di farmaci ansiolitici ed ipnosedativi. Gli psicofarmaci sono lo strumento terapeutico di base utilizzato nella struttura, come è stato riscontrato anche nel Rapporto del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, così come viene documentalmente evidenziato nelle cartelle cliniche dove si evince un uso diffuso e massiccio in particolare di benzodiazepinici, prescritti dal personale medico dell’Ente Gestore, spesso su richiesta dei trattenuti, secondo quanto riferito dal personale sanitario. IL tutto viene confermato dal totale della spesa farmacologica che copre il 64% degli acquisti in farmaci, a fronte di sole otto visite psichiatriche effettuate. In alcuni casi si ricorre anche ad antipsicotici, farmaci che andrebbero presi sotto stretta osservazione e all’interno di una continuità assistenziale garantita, cosa che non è possibile in strutture come i CPR. L’abuso di psicofarmaci è confermato anche nella richiesta di sequestro preventivo d’urgenza del ramo d’azienda che gestisce il centro, e permette di ricostruire nel dettaglio l’orrore del “Corelli”. Sono gli stessi magistrati a scrivere che i reclusi “sono ridotti in condizioni che non pare esagerato definire disumane”. Viene riportato che “al centro ho visto dare quantità da 75 milligrammi a 300 milligrammi per tre volte al giorno di Lyrica, c’era una persona che assumeva circa 300 milligrammi di Lyrica per tre volte al giorno, cioè quasi un grammo, dose sostanzialmente fuori dosaggio”, racconta un’operatrice. “Vi era un uso smodato di Rivotril – racconta un’altra – alcune volte venivano somministrati ad alcuni pazienti 100 gocce, io sono arrivata a diluire la boccetta con l’acqua per evitare effetti collaterali negativi”. “L’unico modo per gestire le criticità sanitarie era o lo psicofarmaco o la chiamata al 118”, ha dichiarato agli inquirenti Nicola Cocco, medico esperto di detenzione amministrativa. Nel centro c’erano persone che non avrebbero potuto esserci: gli inquirenti hanno ricostruito che le visite di idoneità alla comunità ristretta sono “assolutamente carenti”. Lo dimostrano la presenza all’interno del Centro di “ospiti affetti da epilessia, epatite, tumore al cervello, gravi patologie psichiatriche, tossicodipendenti” e, al momento della visita del primo dicembre, la presenza di una persona “cui sarebbe stata asportata la milza nel 2018”. “Vi erano numerosi malati psichiatrici all’interno”, racconta un’altra operatrice.
Alle violazioni dei diritti umani si affiancano le carenze amministrative. Nel Rapporto del Garante si sottolinea che il personale sanitario all’interno del CPR sarebbe composto da “professionisti in quiescenza che non hanno esperienza specifica o che, comunque, non hanno ricevuto una formazione correlata ai bisogni sanitari delle persone migranti sottoposte a detenzione amministrativa”.
Da qui si deduce che non vi è adeguata competenza nel valutare condizioni di salute mentale dei soggetti condotti nei CPR né l’eventuale presenza di segni di traumi o ferite. Dall’analisi delle cartelle cliniche emergerebbe inoltre uno scarso utilizzo del ricettario per la prescrizione di esami e valutazioni specialistiche anche per soggetti affetti da patologie croniche note o di nuova diagnosi (in particolare pazienti diabetici), con la conseguenza che per questi ultimi non vi è adeguata copertura sanitaria. Inoltre si è riscontrata scarsa o nessuna collaborazione tra lo staff dell’area sanitaria interna per visite psichiatriche con il centro medico dell’associazione di volontariato “Opera San Francesco” e all’Ospedale San Raffaele oltre che la mancanza di personale formato in maniera adeguata per le problematiche psichiatriche. Ci pare utile riportare le considerazioni contenute nel rapporto sulla visita effettuata presso il Centro di Permanenza per i rimpatri di Milano da parte del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Nel 22 febbraio 2023 ben descrive le condizioni materiali delle strutture: “I locali di servizio presenti in ciascun settore abitativo sono dotati di 5 docce, 5 gabinetti alla turca e lavabi in acciaio che in alcuni casi presentano uno stato di conservazione tale da non assicurare sufficienti standard igienico- abitativi”. Sempre con riguardo alle condizioni ambientali e ai risvolti su una vita dignitosa per le persone trattenute, il Garante fotografa difficoltà di accesso ai servizi e alla privacy che ne dovrebbe conseguire. Le condizioni dei letti sono così descritte dal Garante: “I materassi in gommapiuma, usurati e sporchi, sono privi di lenzuola che, a detta delle persone trattenute, non vengono distribuite per evitare che vengano utilizzate per gesti autolesionistici. Diversamente l’ente gestore ha dichiarato di distribuire regolarmente gli effetti letterecci che vengono, però, utilizzate per usi diversi dalle persone trattenute. Si sono registrate segnalazioni in merito alla consegna di pasti contenenti vermi e cibo avariato.” Lo stesso Garante, nel suo rapporto riporta di aver riscontrato la “presenza di pasti consegnati oltre la data di scadenza da una ditta esterna di catering due giorni prima della sua somministrazione che, peraltro, coincide con la data di scadenza”. Le situazioni evidenziate sono l’espressione di una equazione che non può trovare soluzione. La struttura è destinata alla privazione della libertà personale di chi non ha potuto, o non può più, entrare in possesso di un permesso di soggiorno valido per rimanere sul territorio nazionale. Una privazione della libertà che il legislatore ha deciso di rimettere nelle mani di società private, le quali, hanno come obiettivo il profitto che può essere conseguito solo con risparmio sulla gestione della struttura ovvero sui costi delle persone trattenute, abbassando la qualità dei servizi e aumentando il numero di persone trattenute e il numero di giorni di trattenimento. In conclusione non possiamo che constatare il totale fallimento del sistema CPR. Due sono le riflessioni di fondo. Partendo dal caso del CPR di Milano la Prefettura afferma di svolgere periodicamente i controlli che le competono. Considerata la situazione di degrado nel quale il centro è gestito ed il silenzio che nel tempo si è registrato, riesce difficile pensare ad un controllo continuativo ed efficace, poiché nessuna denuncia negli anni è stata fatta. E allora sorge spontanea la domanda: chi controlla i controllori? Come è stato possibile il perpetuarsi indisturbato per anni di una palese violazione della dignità umana? Ma la questione di fondo non riguarda solo le ormai croniche e documentate violazioni dei diritti fondamentali e l’inefficienza, ma soprattutto il sistema burocratico-amministrativo che concede in appalto la vita delle persone a società private. “Si entra come persona – ha raccontato un’operatrice agli inquirenti – poi viene assegnato un tesserino di riconoscimento con un numero, e a quel punto si diventa numeri e si esce da zombie imbottiti di psicofarmaci”. Riportiamo e sottoscriviamo integralmente queste dichiarazioni.
Si avvicina il Giorno della Memoria e spesso, alla definizione di una struttura con il termine di lager, si prova il fastidio della banalizzazione. Tuttavia non si possono ignorare le somiglianze nei sistemi di trattamento volti alla disumanizzazione già utilizzati nei campi di concentramento.
Daniele Ratti