Gli studenti scendono in piazza contro una scuola che non va. Protestano contro l’alternanza scuola lavoro che in un anno ha ucciso tre studenti e ha consegnato tutti gli altri nelle braccia del mercato, della precarietà e dello sfruttamento; contro strutture prive di sicurezza e fatiscenti; contro il sovraffollamento delle classi; contro disastri che da anni ogni generazione studentesca deve fronteggiare e che nemmeno con “l’occasione” del Covid e delle risorse collegate si sono voluti affrontare; contro un governo che manganella le proteste studentesche, all’Università di Roma come in quella di Bologna. E protestano contro il merito.
Guardano al 2 dicembre, allo sciopero generale indetto dai sindacati di base, che vedrà manifestazioni un po’ ovunque ed una manifestazione nazionale a Roma sotto il “Ministero dell’Istruzione e del Merito”, secondo la nuova denominazione data dal Governo Meloni. Una denominazione che ha creato polemiche e critiche. Ma se la protesta studentesca ha un validissimo fondamento, altre voci ne hanno assai meno. Gli studenti contestano un merito che significa scuola classista, competizione, esclusione sociale. Del tutto stonato invece il coretto di PD e CGIL che cinguettano contro il merito in nome di sacri principi civici e costituzionali che hanno costantemente ignorato in questi anni, dedicandosi piuttosto allo smantellamento sistematico della scuola pubblica. Se i fascisti al governo non fanno che riproporre la loro visione settaria, reazionaria e classista utilizzando il merito come nozione chiave per giustificare fin dai banchi di scuola l’addestramento al dominio riservato ai meritevoli e l’addestramento alla subordinazione riservato agli immeritevoli, coloro che invece pretendono di rappresentare una visione progressista e “de sinistra” non sono stati da meno. La CGIL e gli altri sindacati concertativi, non hanno mosso un dito per ridurre il numero di alunni di quelle classi pollaio che lasciano indietro tanti studenti: ogni anno hanno firmato senza fare una piega il decreto su formazione classi ed organici che consente di fare classi di 31 alunni; sotto il benevolo sguardo del PD, hanno coccolato le prove Invalsi, i carrozzoni valutativi come Indire, Eduscopio e Fondazione Agnelli, finalizzati a misurare, valutare, classificare e dividere scuole, studenti e personale scolastico in base a un aziendalistico criterio di merito e produttività. Oltre vent’anni fa hanno contribuito a varare la legge sulla parità scolastica che, aggirando persino la loro amatissima costituzione, ha creato il sistema di istruzione integrato pubblico-privato assicurando finanziamenti pubblici alle scuole private tramite tagli sempre più massicci alla scuola pubblica, generando un sistema scolastico che sempre più crea esclusione e foraggia il presunto merito di pochi. Contro chi puntualmente si opponeva a questo modello organizzando scioperi e azioni di protesta, veniva svolta una precisa opera di delegittimazione sindacale e persino di attacchi personali sul luogo di lavoro. Queste sono le anime belle che attualmente cinguettano contro il merito studentesco che hanno contribuito a creare, un merito che nella scuola c’era già assai prima del battesimo fascista e che comunque il Governo Meloni provvederà a rafforzare facendone sempre di più una bandiera identitaria da sventolare in tutti i contesti filopadronali e confindustriali che trattano l’istruzione come merce. Un merito che continueremo a contrastare. Ora più che mai.
Se il merito riferito agli studenti viene pretestuosamente criticato dai settori di cui sopra in nome di un vuoto pedagogismo, il merito riferito ai docenti rappresenta invece un obiettivo inossidabile, perseguito con accanimento da qualche decennio a questa parte.
Correva l’anno 2000 quando l’allora ministro Berlinguer, espressione del mondo DS e della CGIL sotto il Governo di centrosinistra, imbastì il famoso “concorsone” che destinava un bonus una tantum di 6 milioni di lire ad una ristretta platea di meritevoli. Il concorsone fu bloccato da un imponente sciopero dei sindacati di base, ma la passione per il merito ha continuato a caratterizzare trasversalmente la politica scolastica dei vari governi negli anni successivi, dalla proposta di legge Aprea (2009 – Governo Berlusconi, ministro Gelmini), agli analoghi interventi di Monti nel 2011, iniziative tutte volte alla costruzione della carriera docente attraverso divisione in livelli di merito e relativa incentivazione economica. Nel 2015 il governo PD di Renzi riesce laddove non erano riusciti gli altri: dentro la legge 107 denominata “la buona scuola” viene blindata e istituita la valorizzazione del merito docenti. L’opposizione di chi ha in testa un’altra scuola e un’altra concezione del lavoro ha contrastato l’attuazione di questa procedura con un susseguirsi di scioperi, iniziative di protesta e boicottaggi, tanto che, a distanza di qualche anno, i famigerati fondi del merito docente sono confluiti in quelli generali e sono stati estesi anche al personale ATA. In tempi recentissimi troviamo gli interventi a favore del merito di Draghi, che introduce meccanismi di reclutamento del personale docente basati su un incastro di selezioni concorsuali infinite, riservando l’assunzione a tempo indeterminato solo ad alcuni meritevoli e crea all’interno del Decreto Aiuti, proprio nello scorso mese di agosto, in piena crisi di governo, la figura del docente esperto: un numero ristrettissimo di meritevoli potrà arrivare ad un incentivo economico dopo un percorso formativo di 9 anni che porterà i primi risultati solo nel 2032! Sembra una profezia biblica ma è un geniale sistema per assicurarsi uno stuolo di ruffiani nel lungo periodo.
Intanto la CGIL che quando si tratta di studenti blatera contro il merito, anche quest’anno, come sempre, fornisce ai neoimmessi in ruolo un vademecum con una smagliante copertina su cui figura la scritta: “Il mio lavoro me lo MERITO”. Giusto per rinfrescare il concetto.
Lo scorso 11 novembre CGIL CISL UIL SNALS Gilda e ANIEF hanno sottoscritto il rinnovo economico del contratto della scuola 2019-2021. In pratica un contratto siglato con tre anni di ritardo e già scaduto. Gli aumenti rappresentano una miseria e ovviamente sono diversificati, nonostante il carovita sia uniforme: 100 euro lordi solo per docenti delle superiori a fine carriera, per il resto in media nemmeno una cinquantina di euro lordi. Un aumento ridicolo in una situazione di inflazione a due cifre come quella attuale, con una perdita del potere di acquisto che si aggira mediamente attorno al 28%. Questo è quanto hanno immediatamente sottoscritto senza battere ciglio e senza naturalmente indire nemmeno un minuto di sciopero i sindacati pronta firma. Evidentemente quello che ci meritiamo è la miseria.
Ovviamente senza la reintroduzione di meccanismi che adeguino automaticamente gli stipendi all’aumento dei prezzi, nella scuola come in altre categorie, non si potrà mai avere un barlume di recupero del potere di acquisto. E gli effetti deleteri di politiche di rinnovo contrattuale che per legge devono contenere gli aumenti bene al di sotto di parametri definiti di inflazione programmata si coniuga con il peso di quella che a tutti gli effetti è una economia di guerra. Aumento imponente e progressivo delle spese militari, speculazione finanziaria, caro energia, imposizione strumentale di sacrifici, carovita, restrizioni e povertà crescente completano il quadro di una situazione insostenibile. I sindacati concertativi sguazzano in questo fango raccontando di svolgere, in virtù della rappresentanza, una funzione sociale che non hanno, poiché quelle che conducono non sono delle trattative, sia perché non ne hanno la volontà e la capacità, sia perché la trappola dei tetti imposti alla contrattazione toglie margini effettivi. La funzione di queste centrali sindacali concertative è semplicemente quella di agevolare politiche che arrecano danno a lavoratrici e lavoratori; e agire da contenimento delle lotte, da depotenziamento degli scioperi, da sacca di decompressione delle proteste popolari, intercettando quelle energie che potrebbero essere generatrici di reale cambiamento.
Anche per questo il 2 dicembre occorre scioperare, nelle scuole e ovunque. Rifiutare la logica della divisione classista, del merito, della povertà. Rifiutare la guerra e l’economia di guerra funzionali alla paralisi sociale e all’imposizione del carovita. Il 2 dicembre disertiamo la guerra, disertiamo i padroni, disertiamo le scuole, disertiamo il lavoro.
Il 2 dicembre appuntamento nazionale a Roma. Manifestiamo alle 9.30 sotto il Ministero dell’Istruzione (e del merito).
Patrizia Nesti