Il 25 gennaio è stato raggiunto tra Ministero dell’Istruzione e sindacati l’accordo politico sulla mobilità per il personale docente della scuola: cerchiamo di capire di cosa si tratta.
Ogni anno viene rinnovato, con eventuali adeguamenti, un contratto integrativo che regola i trasferimenti del personale della scuola. Per quest’anno si prevedeva una situazione di grandi stravolgimenti e comunque tutta da definire, visto che la legge 107/2015, meglio nota come la riforma della “buona scuola” di Renzi, ha ribaltato completamente lo status di docente.
La 107, tra le altre cose, prevede infatti, oltre alla titolarità di scuola, che sarà riservata solo ad una ristretta categoria di docenti, la titolarità di ambito territoriale, non riferita ad una scuola ma ad una zona geografica molto ampia.
Il titolare di scuola sarà assegnato su una determinata scuola, in cui presterà servizio e maturerà un punteggio: è la situazione che finora abbiamo conosciuto e che sarà in parte mantenuta.
Il titolare di ambito territoriale ,invece, non sarà legato ad una specifica scuola, ma ad una zona geografica che corrisponde ad un territorio di poco inferiore a quello di una provincia di medie dimensioni; per lavorare in una scuola dell’ambito territoriale dovrà presentare candidatura tramite curriculum a un Dirigente (préside) che valuterà la sua domanda e potrà assumerlo con contratto triennale. Si tratta della famosa “chiamata diretta” da parte del preside manager o sceriffo di cui tanto si è parlato nella fase calda delle mobilitazioni contro la “buona scuola”. Attenzione: non si sta parlando di precari – e la procedura sarebbe vergognosa anche nei loro confronti – ma di personale di ruolo, sia neoassunto che già in ruolo da tempo.
Nella scuola si fa domanda di trasferimento per vari motivi, che vanno da necessità volontarie e personali di avvicinarsi territorialmente ad una sede a necessità non volontarie, come la situazione di esubero. I continui tagli, che nel tempo hanno aumentato il numero di alunni per classe e conseguentemente ridotto i posti di lavoro, hanno portato infatti ad esuberi che necessitavano di una ricollocazione. In tutti i casi si è sempre seguito finora un criterio omogeneo dettato dall’anzianità di servizio e dall’ordine di graduatoria, con precedenze per chi si trasferiva non volontariamente per motivi di esubero. In ogni caso si otteneva una nuova titolarità di scuola in modo meccanico, senza selezioni da parte del Dirigente.
Tutto questo è stato rivoluzionato dalla “Buona Scuola”, che ha introdotto un criterio di divisione e diseguaglianza tra i docenti di ruolo, sia nello status che nella professionalità che nella tutela del posto di lavoro.
La divisione è stato il criterio che ha guidato le tanto sbandierate assunzioni dell’autunno scorso: alcuni docenti sono stati assunti su un posto reale con titolarità di scuola (fasi 0 e A), altri su posti inesistenti, senza una titolarità (fasi B e C), ma su un generico “organico di potenziamento” del tutto decontrattualizzato.
Renzi ha dovuto procedere alle assunzioni per ottemperare alle intimazioni della corte europea sulla stabilizzazione dei precari, ma la maggior parte degli assunti conserva una posizione di precarietà: stazionerà negli ambiti territoriali, sarà pescata discrezionalmente da un Dirigente, avrà un contratto a termine, ancora più rescindibile perché legato non ad attività curricolari, ma a progetti o attività integrative alla didattica, variabili con una programmazione che sempre più è nelle mani del Dirigente.
Ma la divisione non si è limitata ai neoassunti; impossibile per Renzi e i suoi supporters lasciarsi sfuggire un criterio così prezioso: ecco quindi la divisione anche tra il personale già in ruolo, divisione che si realizza appunto tramite la procedura dei trasferimenti. In alcuni casi, anche il personale già in ruolo da tempo che dovesse trasferirsi (p. e. tra province diverse) finisce negli ambiti territoriali, con chiamata diretta da parte del Dirigente e contratto triennale.
La nuova mobilità diventa così l’elemento centrale dell’attuazione della “Buona Scuola”, che punta a precarizzare tutto il personale di ruolo sottoponendolo progressivamente al regime dell’incarico a chiamata con scadenza rinnovabile. Per ora viene ancora mantenuta una divisione tra titolari di scuola, maggiormente garantiti, e titolari di ambito, privi di garanzia, ma l’obiettivo è chiaramente quello di poter gestire in piena discrezionalità tutto il personale secondo il modello privatistico. È questo del resto che Renzi e Giannini hanno sempre sottolineato nel decantare le bellezze della “Buona Scuola”: dare al Dirigente piena discrezionalità nel formare una squadra e nel cambiarne la formazione a proprio piacimento: questo ancora si può leggere sulle slide esplicative della riforma presenti sul sito del ministero…
Tornando all’accordo stipulato sulla mobilità quindi, le nuove fasi previste per i trasferimenti del personale di ruolo saranno quattro, ma solo nella prima si potrà mantenere la titolarità di scuola; nelle altre fasi verrà assegnata una titolarità di ambito territoriale, con quello che ne consegue.
L’accordo stipulato tra Ministero, CGIL, CISL, UIL e SNALS è molto grave e pone delle responsabilità pesantissime in capo ai sindacati che lo hanno concordato. Le linee guida per cambiare radicalmente la mobilità e con essa introdurre profonde discriminazioni tra il personale docente di ruolo erano già contenute nella legge 107. Tutti però sappiamo come si è arrivati all’approvazione di quella legge: un percorso accidentato, tra contestazioni durate un intero anno scolastico, una discordanza di pareri nei due rami del Parlamento: un aggiustamento politico derivato da scambi ed un’approvazione con il voto di fiducia mentre il mondo della scuola dissentiva aspramente con un generalizzato blocco degli scrutini.
Ciò che era stato imposto per legge doveva e poteva essere contrastato anche dopo.
Le scuole stanno faticosamente facendo la loro parte sugli aspetti di loro competenza; c’è una protesta diffusa contro l’introduzione del premio per merito, altro elemento, non a a caso, di divisione, tanto che molte scuole non eleggono il comitato di valutazione; c’è il rifiuto di nominare tutor per boicottare l’alternanza scuola lavoro, che, nella versione renziana, impone agli studenti di rinunciare fino a 400 ore di apprendimento e studio.
Ma la materia della mobilità non si può gestire nelle scuole, è riservata ai tavoli nazionali. Quei tavoli dovevano saltare, la legge 107 doveva rimanere una legge imposta unilateralmente che non trovava attuazione. Invece, con l’accordo politico si è aperta la sequenza contrattuale che dà attuazione, magari con qualche ritocco più o meno rilevante, a quello che la legge prevedeva, legittimando la 107 tramite un contratto integrativo.
Anche il percorso del referendum abrogativo della legge, a cui qualcuno pensava, diventa a questo punto sempre più illusorio, man mano che si concordano le attuazioni della 107 e decadono quindi le eccezioni di incostituzionalità.
Parlare di tradimento sindacale è quasi stucchevole: il gioco era evidente e scoperto da tempo. Il grande sciopero del 5 maggio 2015 apparve subito ai più attenti una valvola di sfogo con cui i sindacati di stato tentavano di evitare che i sindacati di base aggregassero il malcontento della categoria; stesso discorso per il blocco degli scrutini di giugno, scimmiottato senza convinzione dai sindacati concertativi. Scandaloso il silenzio d’autunno, coraggiosamente rotto dallo sciopero del 13 novembre del sindacalismo di base, ma osservato con rigore monacale dai sindacati “maggiormente rappresentativi”, che nell’anno di prima applicazione della tanto contrastata riforma non hanno indetto nemmeno un’ora di sciopero e che si sono apprestati a sedersi al primo tavolo disponibile, quello appunto della contrattazione sulla mobilità, per dare finalmente attuazione alla “buona scuola”. Così, mentre CGIL, CISL, UIL e SNALS firmano, i sindacati di base denunciano lo scandalo, sostengono le lotte nelle scuole e proclamano un ulteriore stato di agitazione.
PATRIZIA