L’Unione europea ha caricato la sveglia. Premesse per guerre future.

Mi sto facendo la convinzione che i grandi scopi del Next Generation UE, la transizione verde e l’innovazione digitale siano funzionali ad una nuova divisione internazionale del lavoro.

Con la transizione verde l’Europa punta a rendersi indipendente dalle forniture russe, con l’innovazione digitale e soprattutto con le misure volte a stimolare la nascita di un’industria europea dei semiconduttori e delle batterie, a rendersi indipendente dalla Cina.

Secondo l’economista Michael Spence, intervistato da un giornale italiano, l’Unione Europea dovrebbe prendere esempio dal Giappone, dipendente anch’esso dalle importazioni. Secondo l’economista, l’impero del Sol Levante “compra petrolio da un gran numero di Paesi e gas liquefatto da Australia, Malesia, Qatar, la stessa Russia e così via. Non dipende da nessuno. Se si fosse intrapresa un’iniziativa del genere in Europa le sorti del conflitto sarebbero altre.” Interrogato sui tempi del raggiungimento dell’autonomia energetica dell’Unione Europea, lo stesso Spence afferma “diciamo cinque anni. Alla luce della ritrovata coesione transatlantica, tra l’altro suggerisco di affidarsi alle forniture via nave statunitensi valorizzando la rete dei rigassificatori”.

L’8 febbraio la Commissione Europea ha annunciato il proprio piano per rafforzare l’indipendenza tecnologica e aumentare la competitività dell’Unione. Si tratta di un piano da 43 miliardi di euro che punta a raddoppiare la quota di mercato europea nella produzione di semiconduttori, portandola al 20% entro il 2030.

Nella stessa direzione si sono mossi anche gli USA che il 4 febbraio hanno approvato il Chips Bill, mettendo 52 miliardi di dollari per rivitalizzare l’industria dei semiconduttori. Attualmente USA e UE hanno una quota residuale del mercato, dominato per l’80% dall’Asia con Taiwan in testa.

Per quanto riguarda le batterie al litio, la Commissione Europea aveva predisposto fin dal 2020 un piano di riciclo, che è stato aggiornato. L’Unione Europea ha modificato gli obiettivi di lungo periodo. Infatti, la quota di recupero degli accumulatori energetici per il 2025 è aumentata dal 65% al 75%, mentre quella per il 2030 dal 70% all’80%. In modo analogo, è stata fissata una quota di riciclo delle batterie dei mezzi di trasporto leggeri: 75% entro il 2025 e 85% entro il 2030; attraverso un imponente sistema di riciclaggio, l’Europa ridurrà sensibilmente l’importazione di materie prime (come le terre rare).

In entrambi i casi, i piani della Commissione dovranno essere approvati dal Parlamento di Strasburgo prima e dal Consiglio poi.

La crisi economica latente esplosa con la pandemia ha spinto la Commissione Europea a varare il Recovery Plan. Con questo piano di investimenti i governi membri hanno accettato che l’Unione rompesse un tabù: la Commissione UE si è indebitata per 750 miliardi, raccogliendo capitali dai fondi pensione americani, dalle famiglie norvegesi, dagli investitori giapponesi e così via. L’Unione raccoglie risorse sul mercato ma prima o poi la Commissione dovrà rimborsare 750 miliardi di prestiti ricevuti dagli investitori internazionali e saranno ovviamente i vari paesi membri, inclusa l’Italia, a farlo attraverso i loro contributi al bilancio comunitario.

La svolta che ha portato l’Unione Europea ad affacciarsi sul mercato dei capitali, emettendo titoli e creando un debito pubblico dell’Unione, ha aperto la strada alla proposta di un recovery plan di guerra. Argomento che non sembra aver incontrato un accordo unanime all’ultimo vertice di Versailles ma è già significativo che sia emerso.

Sono stati i governi italiano e francese a mettere sul tavolo la proposta: 100 miliardi aggiuntivi che costituiscano un fondo europeo con cui compensare la crisi energetica e di materie prime che sta piegando l’economia europea e con cui finanziare, anche, i primi passi della Difesa comune dell’Unione.

Il vertice dei capi di Stato e presidenti del Consiglio europei si è concluso con un comunicato finale in cui, anche se la proposta di adottare un recovery plan di guerra, secondo la definizione drammatica ma chiara del presidente del consiglio italiano Mario Draghi, è stata accantonata, vengono indicati gli obiettivi condivisi a livello europeo: rafforzare le capacità di difesa dell’Unione Europea, ridurre le dipendenze energetiche e costruire una base economica più solida.

In particolare per quanto riguarda la difesa, i capi di governo hanno concordato di incrementare considerevolmente le spese per la difesa; stimolare gli investimenti collaborativi degli Stati membri in progetti comuni e appalti congiunti; investire ulteriormente nelle capacità necessarie per condurre l’intera gamma di missioni e operazioni, compreso la cybersicurezza e lo spazio; adottare misure per rafforzare e sviluppare la nostra industria della difesa. A proposito di libertà democratiche, significativo l’impegno comune per combattere la disinformazione.

Anche se la proposta di un piano finanziario europeo è stata accantonata, la richiesta di maggiori investimenti nel settore della difesa da parte degli Stati membri è esplicita. L’impatto di questa scelta sulla produzione è devastante.

Se le spese militari aumentano più del Prodotto Interno Lordo e questo è già nella premessa, allora vuol dire che parte della produzione destinata direttamente o indirettamente al soddisfacimento di bisogni di massa sarà convertita in armi, sistemi di difesa, reti informatiche e di trasporto collegate alle esigenze di guerra. Inoltre le spese militari vengono pagate a debito e, poiché i beni e servizi prodotti dal complesso militare industriale sono destinati al consumo improduttivo, non generano alcun incremento di reddito capace da solo di rimborsare i prestiti e soprattutto gli interessi sui prestiti. Sarà la fiscalità generale, quindi le imposte sul reddito e sui consumi dei ceti popolari, la fonte a cui si attingerà per rimborsare capitale e interessi dei prestiti ricevuti. Infine questo aumento del debito pubblico si traduce in un aumento dell’inflazione.

L’aumento della spesa militare quindi si traduce in un peggioramento del reddito e delle condizioni di vita delle classi sfruttate e dei ceti popolari. Le Forze Armate non sono altro che un’organizzazione dedita alla devastazione e al saccheggio: in tempo di pace devastano e saccheggiano il proprio paese, in tempo di guerra gli altri.

Ci troviamo quindi di fronte a quattro obiettivi: l’autonomia energetica, l’autonomia digitale, finanziamento del governo europeo indipendente dai governi nazionali, esercito dell’Unione. Una volta che questi quattro obiettivi saranno raggiunti, Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea saranno pronti a fronteggiare Russia e Cina. Non sappiamo se questo si trasformerà in una guerra guerreggiata, certo è che non possiamo fidarci delle promesse dei governanti.

Solo l’azione diretta e la solidarietà internazionalista può fermare la guerra. La diplomazia è solo una prosecuzione della guerra, della politica di potenza con altri mezzi. Nel nostro paese ci sono diverse iniziative antimilitariste, dalla lotta contro le produzioni e i traffici di morte, alla lotta contro le installazioni militari e le basi straniere, cresce l’insofferenza per la crescente presenza militare nelle città, nelle scuole, nella politica.

Si tratta di costruire un fronte unico fra tutte queste realtà, politiche, sindacali, sociali che ostacoli concretamente la marcia contro la guerra. Su questo terreno il ruolo del movimento anarchico è fondamentale. L’anarchismo esprime l’interesse generale del movimento, mentre le varie componenti oscillano fra spinta unitaria e patriottismo di organizzazione, patriottismo tanto più forte quanto quelle organizzazioni ospitano nuclei dirigenti burocratici o sono sensibili ai richiami del parlamentarismo. Non solo, spetta all’anarchismo mostrare come, al di là dei singoli obiettivi, ci sia la politica complessiva dei governi che si affidano sempre più al sostegno dei militari, che marciano verso la guerra. Si tratta quindi di fare dell’antimilitarismo un potente strumento di lotta contro il governo: spetta al movimento anarchico approfittare di questa lotta per mostrare come l’impegno non sia contro questo o quel governo ma sia contro l’idea stessa del governo, come non sia possibile il raggiungimento della pace senza l’abolizione del Governo.

Unità quindi, superando isolamenti, incomprensioni e polemiche che si sono incancrenite in questi anni di pandemia. Chi scrive questo articolo è stato fra chi ha considerato il tema del green pass secondario rispetto a quelli che venivano ritenuti fondamentali. Si tratta ora di ammettere il nostro sbaglio, rinunciando a posizioni dogmatiche e riconoscendo che gran parte delle scelte del governo, da quelle finanziarie a quelle di distanziamento sociale, hanno costituito le premesse per una politica di guerra che ora comincia manifestarsi chiaramente.

Unit* contro il militarismo

Unit* contro la guerra

Unit* per la rivoluzione

Tiziano Antonelli

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