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Il tempo delle ciliegie

Il tempo delle ciliegie

Esattamente 150 anni fa i proletari parigini proclamavano la Comune di Parigi. Fu allora che si iniziò a concretizzare l’idea della possibilità di un’altra società, basata sull’uguaglianza, la solidarietà, l’organizzazione dal basso e sul produrre beni per l’intera collettività da ciascuno secondo le sue capacità e a ciascuno secondo i propri bisogni. Nel giorno stesso della proclamazione della Comune di Parigi, l’assemblea sanciva anche lo scioglimento dell’esercito e della polizia, sostituendoli con il popolo in armi.

L’esperienza di 150 anni fa, seppur breve, ci ha dato due insegnamenti. A livello politico, in barba ai democratici borghesi e marxisti, ha mostrato l’inutilità dello stato sia per la vita di ogni individuo che per la collettività, e che l’emancipazione del proletariato può avvenire solo sul superamento immediato di esso. Sul piano organizzativo, la praticabilità delle assemblee di base, della revocabilità dei delegati, del mandato imperativo e il federalismo delle comuni in sostituzione del potere politico.

Nonostante il suo carattere eterogeneo e i suoi limiti, sia per le istanze sia per la concezioni che la animavano nelle sue varie componenti, questa storica esperienza ha offerto molti insegnamenti, ripresi poi in tutto il mondo in altre esperienze comunarde e rivoluzionarie nella prima parte del secolo scorso: innanzitutto nel Soviet di Kronstadt in Russia negli anni 1917-21[1] e durante il movimento dei consigli del 1920-21 in Italia, conosciuto anche come Biennio Rosso.[2] In quelle esperienze sono nate in forma più che embrionale attività autogestionarie e di autogoverno, sia per la produzione di beni sia per i servizi alla persona, come scuola, trasporti, sanità, ecc.

Nella Spagna del ’36, durante la guerra che operai e contadini condussero contro la fazione clerico-fascista di Franco, la grande industria e i latifondisti, fu messo in atto un tentativo rivoluzionario, in cui venne attuata l’espropriazione dei mezzi di produzione agricoli e industriali dai proprietari per ridistribuirli tra l’intera popolazione, realizzando la collettivizzazione della produzione nelle città e nelle campagne. Una socializzazione che non avvenne concentrandola nelle mani di un governo, al contrario di quanto avvenuto nella Russia bolscevica. Naturalmente il PSUC, il partito “comunista” spagnolo, diramazione diretta della Terza Internazionale, si oppose a queste realizzazioni di un comunismo autogestionario. Queste sostanziali differenze tra le due parti, portarono a una aggressione del partito socialista e delle brigate internazionali, legate all’URSS stalinista, alle milizie popolari libertarie e anarchiche, il resto è storia conosciuta.[3]

Già nei primi anni del secolo scorso, quindi, i princìpi della comune di Parigi si evolsero in direzione libertaria e autogestionaria e non molti anni fa in altri paesi del mondo sono nate esperienze e movimenti autorganizzati e autogestiti. In Argentina, a seguito della crisi del 2001, operai, contadini, disoccupati e pensionati si organizzarono in più di 120 assemblee popolari in tutto il paese, coordinate nella Interbarrial. Da questa organizzazione nacque la Argentinazo, le cosiddette “giornate di dicembre” che costrinsero il presidente a fuggire con l’elicottero. Vari gruppi sociali si ripresero tutti gli spazi lasciati vuoti, creando biblioteche autogestite, ambulatori popolari, mense per disoccupati e migranti, fabbriche occupate in cui gli operai continuarono a produrre senza padrone, con un’organizzazione interna autogestionaria. La più conosciuta fu la Zanon, che arrivò ad “assumere” anche gruppi di disoccupate e disoccupati.[4]

Nella Grecia rapinata dalle multinazionali americane ed europee, dai debiti erogati dalla Banca mondiale e dal FMI durante la crisi del 2008, ad Atene c’è stata un’altra grande esperienza di lotta autorganizzata e di autogestione di quasi un intero quartiere: Exarchia. La storia di questo quartiere è entusiasmante: già dagli anni ’70 costituì una mastodontica opposizione al regime fascista dei colonnelli e mantenne negli anni la sua natura. La crescita sociale e politica degli abitanti del quartiere ha prodotto una vera e propria comune, dove sono concretamente funzionanti mense per chi non ha reddito, biblioteche autogestite, spazi abitativi. Pur nella diversità della composizione sociale e politica, le attività vengono gestite indipendentemente dalle istituzioni senza centralizzazioni decisionali. Negli anni le compagne e i compagni hanno ritenuto necessario mettere in pratica anche una forma di autodifesa militante dai continui attacchi della polizia che nel 2016 portarono all’assassinio di un giovane compagno: Aleksis Grigoropoulos. Questo evento suscitò giorni di rivolte non solo ad Atene ma in tutta la Grecia e la risposta solidale si fece sentire anche in molti altri paesi europei. Chi solidarizzava lo faceva perché aveva capito che in quel territorio si stava costruendo l’embrione di una nuova società basata sulla solidarietà, sull’organizzazione dal basso degli oppressi, su una vita individuale e collettiva libera dallo sfruttamento e dal dominio del capitale. Una collettività di eguali basata sul mutuo appggio non era più solo un sogno, ma cominciava a prendere forma, grazie alla determinazione degli uomini e delle donne che si impegnavano e continuano ad impegnarsi a renderla concreta.

Le esperienze più significative sono però quella del popolo del Chiapas, in Messico, con la spinta dell’Esercito Zapatista Di Liberazione Nazionale (EZLN)[5] e quella promossa dal popolo curdo, con la confederazione democratica nel nord-est della Siria, comunemente detta Rojava, un esperimento particolarmente significativo in quanto coinvolge sei milioni di persone e un vasto territorio. In entrambi i casi, poi, l’ideologia anarchica ha influenzato fortemente e in maniera esplicita le esperienze.[6]

Dopo gli accordi NAFTA, sul libero commercio tra Messico, USA e Canada, gli zapatisti irrompono sulla scena internazionale con la sollevazione insurrezionale del 1994[7], conquistando vari municipi nel cuore del Messico. La sfida più alta è stata quella di creare una produzione di beni alimentari completamente autonoma dal sistema capitalistico messicano. Anche sul piano delle decisioni politiche collettive hanno costituito i caracoles, una sorta di autogoverno federato che parte dai singoli villaggi, passando per municipalità e regioni. Nei villaggi e nei municipi le modalità organizzative sono basate sul principio della revocabilità dei delegati e il mandato operativo per i vari settori della società. Con questo metodo hanno sviluppato un forte sistema sanitario autonomo, nei limiti delle condizioni materiali in cui riversano. Il sistema scolastico segue un modello libertario dell’educazione, mediante il quale si tende ad eliminare quelle che sono le differenze di genere, classe e di appartenenza etnica. Il ruolo delle donne inoltre è sempre più presente nell’evoluzione di questa esperienza politica e la questione di genere inizia a diventare il filtro con il quale si guarda alla lotta al neoliberismo. “È di nuovo tempo che i cuori danzino e che la loro musica e i loro passi non siano quelli del rimpianto e della rassegnazione”:[8] un’espressione piena di vita e armonia collettiva, che viene da decenni di resistenza agli attacchi dello stato messicano appoggiato anche dagli USA.

Molto simile, con un’accentuazione del ruolo delle donne e delle tematiche di genere, il modello organizzativo che è oggi presente in Rojava dopo un’epica lotta contro le formazioni dello Stato Islamico e dello Stato Turco, ha superato le divisioni etniche di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni e si fonda sulla federazione di nazioni entro il confederalismo democratico, il quale poi è formato da strutture in larga parte autonome. In base a tali principi il confederalismo democratico, riprendendo esplicitamente alcuni principi autogestionari dell’anarchismo, riunisce gli abitanti dell’intera regione che deliberano nell’ambito dei consigli popolari, nonché delle varie associazioni civili.

Torniamo però un attimo indietro, alla Comune di Parigi, per tentare un parallelismo tra i governi di quegli anni con i governi attuali in Italia e in Europa. Il governo Thiers rappresentava gli interessi del padronato francese e, come in ogni epoca in cui vigono il potere, il profitto e il denaro, i vari gruppi borghesi combattono tra di loro guerre, in cui vanno a morire le classi sociali meno abbienti; ciò accadde anche durante la guerra franco-prussiana, provocata dallo stesso governo per difendere gli interessi della borghesia nazionale dell’epoca.

Di fronte a tutto ciò il popolo parigino decise di opporsi, organizzando la produzione e i servizi sociali autonomamente senza lo stato, difendendosi in armi dallo stesso governo che per anni aveva permesso di mandare in miseria e in guerra gran parte del paese. È un percorso che perdura da millenni, da prima della nascita del capitalismo, che è solo l’apoteosi di logiche di potere nate migliaia di anni fa.

Nella storia tutti i governi sono risultati avversi alla classe lavoratrice, alle donne, ai giovani ed ai gruppi minoritari che, nel momento in cui hanno rivendicato i propri diritti sono stati brutalmente attaccati dalla polizia, arrestati e in alcuni casi assassinati. Negli ultimi 40 anni in Italia abbiamo subito governi che, pur di difendere l’accumulazione di profitti da parte dei padroni hanno attuato politiche antiproletarie, risultate devastanti per le nostre condizioni di lavoro e di vita. La regolamentazione delle nuove forme di contratti di lavoro, atte ad abbassare i costi di industrie e aziende, hanno prodotto oggettivamente un abbassamento di salari già miseri e ad un aumento del costo delle merci e dei servizi alla persona. Hanno creato nuovi disoccupati, che lavorano saltuariamente e percepiscono reddito solo nelle effettive giornate lavorative.

In occasione della pandemia è emersa ancor più l’incapacità da parte dello stato di garantire l’assistenza sanitaria, devastata da trent’anni di politiche di privatizzazione che, di fatto, hanno dirottato il denaro pubblico, preso dalle nostre tasche, verso il comparto militare-industriale o verso le aziende private che vendono servizi sanitari ai cittadini. Ci siamo ritrovati ad acquistare tamponi con soldi pagati in anni e anni di tasse e contributi detratti dalle buste paghe, per non parlare di come sono stati spremuti fino all’osso interi comparti di lavoratrici e lavoratori, considerati parte di beni e servizi essenziali, come i lavoratori della logistica. La stessa categoria che, quando ha alzato la testa con lotte di piazza, scioperi e picchetti per rivendicare ritmi più umani e protezione sanitaria, è stata attaccata dalle forze di polizia e raggiunta da vari provvedimenti giudiziari, come è successo per i lavoratori e lavoratrici di Piacenza e di Prato a metà marzo.

Nelle carceri la popolazione detenuta è stata trattata come carne da macello, senza un’adeguata protezione sanitaria, senza accesso a terapie, senza la messa in pratica della cosiddetta “Svuota-carceri”, fino alla strage dell’8 marzo del 2020, ai danni di 14 detenuti assassinati, fatti passare come morti per abuso di farmaci o di assunzione non controllata di psicofarmaci.

Nell’ultimo anno però sono emerse anche delle risposte interessanti che ci danno la possibilità di pensare all’attualità del “tempo delle ciliegie” – canzone simbolo della Comune di Parigi.[9] Parliamo delle lotte, gli scioperi e i picchetti delle lavoratrici e degli operai della logistica, delle lotte dei disoccupati di Napoli e del sud del paese, dei lavoratori autonomi delle piccole attività a conduzione familiare che si organizzano in modo orizzontale in movimenti autonomi. Parliamo anche delle attività solidali e di mutuo appoggio: mense popolari, ambulatori autogestiti, assistenza a persone anziane o a chi ha perso il reddito, attraverso spese alimentari, da parte di comitati di quartiere, associazioni, centri sociali.

L’attualità di un percorso comunardo sta già in queste lotte autonome e in queste attività di mutuo appoggio che non possono essere separate le une dalle altre: c’è la necessità di “ristabilire la vera proporzione tra il conflitto e l’unione”, come già ci aveva detto Kropotkin più di cento anni fa.[10]

Dobbiamo iniziare a pensare facendo un passo avanti che noi possiamo fare. Non possiamo appoggiarci ai vari partiti piccoli o grandi che siano, né possiamo cadere nelle trappole delle varie giunte “amiche” dei governi locali, che ci “sostengono” solo per avere un ritorno elettorale, come è successo negli ultimi anni anche a Napoli e altre città. C’è la necessità di un incontro sia per difendere tutti insieme le pratiche di lotta e di mutuo appoggio, sia per avanzare in queste pratiche nella qualità politica e organizzativa nonché nella quantità dei diretti protagonisti delle stesse.

Pochi anni fa un compagno afroamericano, Lorenzo Kom’boa Ervin, attivista, negli ultimi dieci anni, dei movimenti contro la repressione della polizia, contro l’impoverimento sempre più ampio e profondo delle masse americane, affermava: “Noi come attivisti, come organizzatori, dobbiamo rendere noi stessi e le nostre comunità ingovernabili”.[11] La Comune di Parigi non può essere solo un ricordo: da essa bisogna prendere i principi politici e organizzativi per abbattere questo sistema fatto di sfruttamento, gerarchia, dominio e guerre.

Gruppo anarchico “Francesco Mastrogiovanni” – F.A.I. Napoli

NOTE

[1] https://www.anarcopedia.org/index.php/Kronstadt

[2] https://www.anarcopedia.org/index.php/Consigli_ed_occupazioni_di_fabbrica_in_Italia_(1919-20).

[3] https://www.anarcopedia.org/index.php/La_Rivoluzione_spagnola_(1936-39).

[4] https://www.anarcopedia.org/index.php/Argentinazo.

[5] https://www.anarcopedia.org/index.php/Esercito_Zapatista_di_Liberazione_Nazionale.

[6] https://www.anarcopedia.org/index.php/Confederalismo_democratico.

[7] http://www.instoria.it/home/chiapas.htm

[8] “Montagna in alto mare”, sesta parte del “Comunicato del comitato clandestino rivoluzionario indigeno-comando generale dell’esercito zapatista di liberazione nazionale”. URL: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/06/sesta-parte-una-montagna-in-alto-mare/.

[9] https://eleuthera.it/scheda_libro.php?idlib=457.

[10] Frase tratta da KROPOTIN, Pötr, Il Mutuo Appoggio, Milano, Eleuthera, 2020. Vedi anche https://gliasinirivista.org/il-mutuo-appoggio-secondo-kropotkin/.

[11] Frase ripresa dall’intervista “Diventare ingovernabili” di William C. Anderson a L. K. Ervin, tradotta e pubblicata su Umanità Nova, n. 27, anno 2020. URL: https://umanitanova.org/?p=12831.

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