Valli liberate. La repubblica partigiana dell’Ossola.

Quest’anno ricorrono gli 80 anni della Repubblica partigiana dell’Ossola; una delle zone liberate più famose, raccontata a mo’ di operetta dai mass-media nel 1974, con lo sceneggiato televisivo “Quaranta giorni di libertà”. Eppure così sconosciuta per l’importanza sociale e politica che quell’esperienza ha determinato per gli eventi storici nazionali che andranno a delinearsi di lì a poco. Credere che tutti i difetti della Repubblica Italiana siano causati da forze politiche che non erano nella Resistenza, ma solo dall’altra parte, significa mistificare la natura e la varietà dei vari schieramenti antifascisti. Per i fascisti che rioccuparono l’Ossola, la libera Repubblica prima era “democristiana” e poi “comunista”. La guerra partigiana nell’Ossola e, in particolare, l’esperienza della zona libera, restano certamente fra gli episodi più complessi dell’intera Resistenza. Le leggi emanate dalla Giunta Provvisoria di Governo rilevarono in modo chiaro la natura interclassista della Resistenza ossolana e i limiti naturali della sua portata innovativa. A mio avviso, non si può definire un’esperienza rivoluzionaria, se dovessimo vederla sotto il profilo anarchico, libertario o anche solo comunardo. Barcellona ’36 o la Makhnovtchina furono un’altra cosa… la comune di Parigi fu un’altra storia! Ma, in quel lembo di terra che si incunea tra le montagne e quasi va a “rubare” suolo elvetico, quello spirito libertario echeggia da diversi secoli. Se, da accademici, volessimo andare alla ricerca di dati, scopriremmo che, nel 1910, venne stampato un numero unico del giornale “Pro Ferrer” pubblicato a cura degli anarchici, socialisti e liberi pensatori di Domodossola. Distribuito gratuitamente, fu un elogio funebre di ben 4 pagine a Francisco Ferrer Guardia… e in un trafiletto addirittura si faceva un appello “ad anarchici, socialisti ed anticlericali” per realizzare una biblioteca anarchica al centro di Domo!

Ma anche solo partecipando, da turisti, alle feste estive di paese, osservando i monumenti o leggendo le targhe (che lungo le valli si susseguono) percepiremmo nettamente questo spirito antiautoritario. Così, ad esempio, “le streghe della Valle Antigorio”, in programma ogni anno nel mese di luglio, è un percorso tra storia e credenze popolari che vuole rivendicarsi le vittime della Santa Inquisizione che, tra il 1500 e il 1600, colpì duramente la Val d’Ossola. Una festa anticlericale a tutti gli effetti, con l’esaltazione di chi morì o venne torturata per mano della Chiesa con l’accusa di stregoneria. Un altro esempio esplicito sono le diverse statue dedicate ai contrabbandieri: il fenomeno del contrabbando di montagna influenzò culturalmente un intero popolo. Il primo caso certificato risale al 1757 quando quarantaquatto donne di Camedo, nel Ticino, vennero fermate dalle autorità di frontiera mentre erano intente a contrabbandare 10 mila cappelli di paglia. Durante la Resistenza i contrabbandieri si “trasformarono” in passatori e accompagnarono attraverso i passi di montagna numerosi fuggiaschi, tra perseguitati politici, partigiani, ebrei, ecc. fino in Svizzera. Un grande organizzatore di fughe fu Leo Colombo che ancora oggi viene ricordato nei diversi musei ossolani dedicati ai contrabbandieri di ogni epoca. Un ultimo brevissimo esempio che voglio fare per far capire il contesto culturale che abbracciò la Repubblica dell’Ossola è quello dei walser di Agaro. Infatti, la storia di Agaro è quella di un luogo che non esiste più. Dove un tempo c’erano case e prati, oggi c’è una distesa d’acqua, che produce energia elettrica per industrie e città. In una valle scoscesa e solitaria, tra Devero e la valle di Premia, Agaro visse per sette secoli isolato dal mondo: una piccola comune walser tra alti monti. Nel 1928, sotto il fascismo, gli agaresi persero l’autonomia politica con l’accorpamento della loro comune al comune di Premia e, nel 1936, dopo sette secoli di vita grama ma libera, i montanari di Agaro furono costretti ad abbandonare la loro comune. Due anni dopo, una diga alta 57 metri coprì, con 20 milioni di metri cubi d’acqua, i pascoli e il villaggio.

È, in questo quadro storico, che il movimento partigiano nell’Ossola si sviluppò: una fusione tra la resistenza cosciente, politica e armata delle formazioni partigiane e del Comitato segreto di azione per la val d’Ossola e quella autonoma, disarmata e silenziosa della popolazione, nei villaggi e nelle fabbriche. Celebre fu l’insurrezione fallita di Villadossola dell’8 e 9 novembre ’43, partita proprio dalle fabbriche di una delle cittadine più proletarie ad antifasciste d’Italia. Non valsero minacce né episodi dolorosi a fermare la solidarietà tra popolazione e formazioni partigiane: l’odio contro lo Stato Liberale e quello Fascista si trasformò sempre più in un esperimento sociale antifascista. La Giunta Provvisoria di Governo ebbe come presidente e protagonista assoluto il “profesur” Ettore Tibaldi. Un personaggio molto complesso, con una storia contraddittoria ed affascinante: un interventista nella prima guerra mondiale, cresciuto col mito garibaldino, organizzatore degli ex-combattenti e reduci, che si è scontrato prima col movimento antimilitarista eppoi con il fascismo, proprio quando era al massimo dell’ascesa e stava prendendo il potere… Tibaldi era nel partito d’Azione (anche se si è sempre dichiarato socialista) e riuscì a tessere, in segreto, quella fitta rete che permetterà alle bande partigiane di unirsi in vere e proprie formazioni organizzate (in grado di combattere l’esercito nazista e i loro pupazzi repubblichini). I suoi accordi con i servizi segreti inglesi e le vane speranze di aiuto da parte dell’esercito statunitense renderanno ancora più intricata ed elaborata quella libera Repubblica. Rimane alla storia che una popolazione, ai confini tra l’Italia e la Svizzera, ha sfidato l’autorità e l’ordine costituito, si è organizzata ed ha combattuto nonostante il freddo, la fame, la morte, la repressione e la violenza nazifascista fino a vincere e a cacciare il nemico dalle proprie terre. Inoltre è riuscita a tenere in scacco per 34 giorni un esercito armato di tutto punto e, nel frattempo, ha intrapreso un esperimento sociale e politico. Anche nella ritirata, durante la rioccupazione dei nazifascisti, le formazioni partigiane hanno venduto cara la pelle, combattendo passo-passo fino a raggiungere il confine svizzero. Una capacità organizzativa e un esperimento di autodeterminazione di cui oggi sentiamo un’estrema necessità e che ricordiamo con invidia e ammirazione.

Vincenzo

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