Valcellina sotto attacco. Storia di una devastazione.

Giornata storica l’8 febbraio 2022! Gli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana subiscono una modifica con l’introduzione delle tutele ambientali e della biodiversità nei loro contenuti: Art. 9: “ la Repubblica italiana (…) tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. (…) la legge dello stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali” e Art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi (…) in modo da recare danno (…) alla salute, all’ambiente. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

Probabilmente la tanto propagandata “transizione ecologica” postpandemica sta tutta qui. Senz’altro questa manovra contribuisce ad allineare formalmente le leggi vigenti ai trattati europei al fine di ottenere corsie preferenziali nell’elargizione dei fondi della “NextGenerationEU” ma, certamente, non possiamo aspettarci e credere che quei fondi vadano a finanziare dei progetti per una riconversione ecologica dell’economia e della società.

Lo sappiamo: il capitalismo per sua natura è antiecologico e, al netto delle spinte del governo Draghi verso il nucleare e gli ogm di nuova generazione, ciò è prontamente dimostrato dalle vicende che da decenni, in nome dello sviluppo industriale e del profitto ad ogni costo, stanno vessando e devastando i territori attraversati e alimentati dal torrente Cellina in provincia di Pordenone e dalle ipotesi progettuali di cui potrebbero essere interessati.

Percorrendoli suggestivamente a ritroso per 50 Km, dalla confluenza col torrente Meduna fino alle sorgenti, salendo l’omonima valle – Valcellina appunto – ci accorgiamo di come l’ingordigia e la stupidità umana non abbiano confini. Partendo da valle, il letto del torrente attraversa la ZPS Magredi di Pordenone, che comprende 4 SIC, tra cui il SIC Magredi del Cellina e SIC Risorgive di Venchiaruzzo; risalendo ancora, in Valcellina, scorre lungo il SIC Forra del Cellina per nascere poi nel mezzo del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane definito Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2009. Ci troviamo dunque di fronte a un patrimonio ambientale enorme, riconosciuto a livello internazionale ma che, come vedremo, nonostante gli svariati piani di gestione sviluppati da una miriade di enti pubblici col sostanziale avallo dell’ambientalismo istituzionale, non ha contato nulla in termini di tutela delle risorse ambientali e sviluppo sostenibile.

Infatti, il territorio attraversato dal Cellina è vessato da un endemico stato di degrado ambientale dovuto all’assenza di manutenzione e alla presenza di imponenti opere idrauliche costruite nei decenni lungo l’asse del torrente. Ciò ha determinato una grave situazione di dissesto idrogeologico, con pesanti conseguenze in termini di esondazioni, erosioni, interrimento e totale assenza di minimo deflusso vitale del torrente. Due grosse dighe, sei centrali idroelettriche, quattro canali irrigui, cinque acquedotti (interessati da frequenti problemi legati alla qualità dell’acqua) e le frequenti quanto inutili operazioni di sghiaiamento eseguite in emergenza e pagate dalla Protezione civile, sono la rappresentazione di come lo sviluppo di questo territorio sia nelle mani dell’industria idroelettrica, irrigua e cavatoria.

La situazione è divenuta intollerabile e si estende a tutto l’asse del torrente che a valle della diga di Ravedis, a Montereale Valcellina, è lasciato a secco, senza deflusso minimo vitale, incanalato a servire centrali idroelettriche e canali di irrigazione per un’agricoltura industriale, monocolturale e altamente inquinante, restituendo le acque a Cordenons, dopo 20 km, oltre la linea delle risorgive, non svolgendo più la funzione di alimentarle.

Si tratta di un territorio composto originariamente da una steppa arida di prati stabili, molto fragile, ad alto valore di biodiversità, che l’avvento dell’industrializzazione agraria e generale ha snaturato, confinando progressivamente le sue peculiarità a una sola area protetta su cui insistono per altro delle gravi contraddizioni. Infatti, questo territorio è stato trasformato in un’immensa zona agricola per coltivazioni di mais, soia, vigneto e allevamenti industriali con un enorme impatto ambientale in termini di inquinamento e rischio di desertificazione, per non parlare di spreco di risorse idriche per cui si rende necessario il mantenimento e la costruzione di dighe e bacini di riserva a monte con le gravi conseguenze che vedremo.

Inoltre a ridosso delle sponde del Cellina insistono pesanti insediamenti industriali legati alla gestione dei rifiuti: la discarica della Cossana che riceve gran parte dei rifiuti solidi urbani della provincia, con grave rischio di percolamento di liquidi altamente tossici, e la Bioman, uno dei più grandi impianti di biocompostaggio d’Italia, che riceve e lavora rifiuti organici provenienti da tutto il territorio nazionale e stipula contratti con gli agricoltori per il conferimento di mais e altre colture agroindustriali, condizionando fortemente l’orientamento produttivo.

Questo è un impianto da oltre 300.000 tonnellate all’anno di rifiuti che produce un pesante inquinamento ambientale in termini di qualità dell’aria e rilascio di microparticelle, in un ambito di condizioni lavorative comparabili ad un lager e che, proprio in questi giorni, è oggetto di una inchiesta dei carabinieri del Noe di Udine, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Trieste per traffico e smaltimento illegale di rifiuti, che vede coinvolta anche la dirigenza del vicino cementificio di Fanna che da decenni contamina aria e suolo con le emissioni dei suoi camini.

Poco oltre si sviluppano i poligoni militari del Dandolo e del Cellina-Meduna – che praticamente coincidono con la zona protetta SIC/ZPS facente parte della rete europea Natura 2000 – in cui dal dopoguerra si sono svolte e si svolgono operazioni militari aeree e terrestri con inquinamento da metalli pesanti e da sostanze radioattive dovuto all’utilizzo di missili Milan, rilevato alcuni anni fa, e manovre recentemente autorizzate di aviolanci e transito di automezzi pesanti. Ha fatto poi il giro del mondo la vicenda recente dell’allevamento di polli colpito “per errore” durante una esercitazione notturna con mezzi corazzati.

Da tutto questo emerge l’ennesima contraddizione che vanifica il valore e lo scopo di quell’area protetta e, in generale, di un ambientalismo da giardinaggio. Peraltro le conseguenze di questo modello di sviluppo hanno pesato fortemente sulla condizione sociale ed economica dei paesi della Valcellina, caratterizzata da un progressivo spopolamento, innalzamento dell’età media, smantellamento dei servizi sociali di base, chiusura delle microeconomie locali, a fronte di un generale investimento in grandi e piccole opere (ponti, adeguamenti stradali, dighe, sistemazione idrogeologiche, zone industriali, ecc.) attuate in assenza di un progetto generale che vada a beneficio di tutto il territorio, seguendo invece la logica dello “spezzatino” che, di emergenza in emergenza, tenta di accontentare un bacino di voti piuttosto che l’altro, perseguendo una gestione clientelare che ha favorito la disgregazione sociale e che mette chiaramente in evidenza l’inutilità e la nocività della delega politica data ai vari rappresentanti di ogni colore che si sono succeduti nelle stanze del potere regionale e locale.

Geograficamente siamo distanti pochi chilometri dai luoghi della tragedia del Vajont e proprio quell’evento avrebbe dovuto insegnare, a livello planetario, che non si possono sfruttare i territori e le loro risorse senza tener conto degli equilibri ambientali, sociali, culturali ed economici che ne definiscono la storia e l’evoluzione, ancor di più qui, sui luoghi vicini al disastro – invece ciò non è successo.

Le conseguenze ambientali dello sfruttamento e dell’incuria dei territori del Cellina hanno provocato un grave dissesto idrogeologico per la presenza della diga di Barcis che, bloccando il deflusso dei sedimenti, particolarmente elevati per le particolari condizioni geologiche, con un apporto medio di 200.000 mc/anno, ha determinato l’interrimento del lago e l’innalzamento del letto del torrente con frequente alluvionamento della viabilità principale e l’isolamento di paesi e frazioni.

Anche ora, dopo decenni di sghiaiamenti e realizzazione di opere inutili gestite e pagate dalla Protezione civile in perpetua emergenza, a favore degli interessi di pochi amici, nonostante gli avvertimenti dell’Autorità di Bacino della situazione di pericolo cui è sottoposto il territorio per la presenza della diga di Barcis, per smottamenti dovuti alle oscillazioni del livello del lago, nonostante sia stato imposto dall’ex R.I.D. un’imponente adeguamento degli scarichi della diga, progettato e mai realizzato. Invece di intervenire a tutela dell’ambiente e delle vite umane, i nostri governanti regionali si apprestano ad avviare una operazione speculativa e strutturata per la realizzazione di una permanente cava di ghiaia, nel criminale tentativo di produrre ulteriore profitto sull’ennesimo disastro annunciato.

Per questo è stato redatto dall’ing. Nino Aprilis, nipote e figlio di chi ha rispettivamente progettato la diga di Barcis e quella di Ravedis, su incarico affidato dalla Regione al consorzio Cellina Meduna, co-utilizzatore del lago di Barcis, assieme al gestore idroelettrico ora Edison e realizzatore e gestore della diga di Ravedis, uno “Studio di fattibilità per lo sghiaiamento sistematico del torrente Cellina a Barcis”. In sostanza il carrozzone e i maghi che hanno determinato le attuali devastazioni ora sono pagati per produrre delle false, irrealizzabili e insostenibili soluzioni.

Pochi giorni fa poi il consesso si è nuovamente riunito a recitare il solito mantra dello sghiaiamento del lago di Barcis. Come due anni orsono si riunirono a Barcis alla deposizione della prima pietra di un nuovo ponte sulla destra del lago, opera da oltre 5 milioni di euro che dissero allora fondamentale ma già definita inutile ed insufficiente alla sua inaugurazione, ora si sono si sono ritrovati a Montereale Valcellina assieme ai sindaci della valle questa volta per illustrare, nella figura dell’assessore regionale FVG all’ambiente Scoccimarro, i risultati dello studio per risolvere definitivamente l’annoso problema dello sghiaiamento del lago di Barcis, che con la sua diga si è riempito di ghiaia ed ha alzato il livello del torrente che ad ogni piena esonda e mette in pericolo il centro abitato.

Gran clamore anche sulla stampa locale che sgangheratamente titola dati e commenti in modo del tutto contraddittorio e artatamente parziale. Conti alla mano si parla di grandi opere, teleferiche , gallerie, nastri, con costi che variano dai 60 ai 120 millioni di euro, magari rapiti dal PNRR, come chiesto da un documento congiunto dei sindaci. Conti di quanta ghiaia scende, quanta ne è stata portata via coi soldi del Vaia (sostanzialmente la stessa che ogni anno scende), di quanta toglierne. Una gran confusione che vogliamo subito rettificare, avendo già da tempo letto la documentazione.

Innanzitutto si tratta di tutt’altro che togliere i milioni di metri cubi di ghiaia dal lago: l’obiettivo dichiarato è invece il prelievo massimo annuo di 300.000 mc di ghiaia secondo le esigenze del mercato. Il tutto senza neanche aver calcolato il futuro carico di una così imponente mole di traffico pesante sulla viabilità ordinaria.

In quanto alle opere, lo studio del nipote che costruì la diga di Barcis, alle dipendenze del Consorzio Cellina Meduna che ne cogestì l’utilizzo delle acque, parte considerando l’ipotesi della costruzione di una nuova diga a Mezzocanale, progetto già da tempo ipotizzato, in attesa di fondi e tempi buoni.

Successivamente considera in sostanza le seguenti soluzioni:

  • la realizzazione di due piattaforme di deposito a Ponte Antoi e in località Vallata, attorno al lago, per un costo ciascuna di oltre 4 milioni di euro;

  • due soluzioni di dragaggio (con piattaforma sul lago) per un importo di 2,6 e 4 milioni di euro;

  • tre soluzioni stradali comprendenti una galleria Barcis-Montereale per 87,5 milioni, una galleria al monte Castello per 31,5 milioni, l’adeguamento del ponte di Ravedis e una golena su Cellina dopo Ravedis per, rispettivamente, 1,17 e 3,55 milioni. Ora poiché è stato promesso che le soluzioni stradali saranno scartate allora perché ipotizzarle?

  • Due soluzioni con nastro trasportatore in nuova galleria Barcis- Cao Malnisio con area di scambio per importi di 144 e 142 milion;

  • due ipotesi di teleferica che dalle piattaforme attorno al lago, scavalcando la montagna scendono sempre a Cao Malnisio, località nota per il suo poligono militare che, dal dopoguerra, impedisce la fruizione della montagna ai cittadini, ne disturba la tranquillità e inquina il suolo, con un’area di scambio per importi di 62,5 e 60 milioni di euro;

  • una soluzione idraulica che dai depositi del lago porterebbe la ghiaia oltre la diga di Ravedis, modificandone gli scarichi, per un importo di 114 milioni.

Ora da questi dati, anche a un bambino, risulta palesemente evidente la follia, l’irrealizzabilità e l’inutilità di questi progetti, che se verranno implementati sarebbero un’ulteriore definitiva devastazione e diverrebbero le ennesime cattedrali nel deserto. Ormai non abbiamo più voce per dirlo: siamo di fronte a una devastazione perpetrata da decenni su uno dei più belli e fragili territori italiani, che per miopi scelte economiche e sociali sta gravando pesantemente sull’ambiente e le popolazioni che vivono quel territorio, le cui conseguenze si snodano lungo tutto l’asse del torrente Cellina, violato da politiche industriali a vantaggio del profitto di poche imprese. A questa già grave situazione si vuole ora aggiungere ulteriore devastazione e disagio, creando una nuova rendita a favore dei cavatori e continuando a smantellare i servizi sociali.

Per l’ennesima volta diciamo basta! Le uniche e urgenti opere da fare riguardano la messa in sicurezza del territorio attorno il lago di Barcis (peraltro già previsti a livello ministeriale, mai realizzati, comunque inutili) e la rinaturalizzazione della valle con il drastico ridimensionamento della diga e la realizzazione di opere idrauliche di accompagnamento, ecologicamente inserite, i cui costi non dovranno essere a carico della collettività ma sborsati da chi da decenni ha tratto profitto dalle risorse ambientali.

Infine lo ribadiamo ancora, dovremo essere noi stessi, senza deleghe a nessuno, come comunità che vivono e conoscono il proprio ambiente, a unirci in un movimento ampio e autogestito contro le soluzioni fasulle che vogliono imporci per garantire un futuro vivibile alle prossime generazioni: altro che i nuovi articoli della Costituzione!

Iniziativa Libertaria – Pordenone

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