Da ormai un quarto di secolo, da quando i nuclei cinofili di Carabinieri, Finanza e Polizia vennero rinfoltiti ai tempi dell’ennesima War On Drugs all’italiana dichiarata da Bettino Craxi prima di essere travolto da Tangentopoli, gli interventi dei cani antidroga e delle pattuglie annesse nelle scuole sono diventati uno dei must di ogni anno scolastico, peggio del ballo annuale nei telefilm di Happy Days, ma finalmente negli ultimi anni stanno iniziando a incontrano ribellione e proteste. Sono sempre più numerose le prese di posizioni dei collettivi studenteschi contro le perquisizioni nelle scuole, ci sono state manifestazioni in diverse città e aumentano pure gli insegnanti e i dirigenti scolastici (senza la cui autorizzazione la polizia non può entrare negli istituti) che prendono posizione contro questa pratica che fino a pochi anni fa veniva accolta soltanto dagli elogi dei benpensanti. Da alcune settimana circola sul web, su testate antiproibizioniste come Dolcevitaonline.it, ma anche in molti siti scolastici, mailing list, blog e pagine facebook di insegnanti uno scritto di un professore di filosofia di un liceo di Siena, Antonio Vigilante, che si è ritrovato coinvolto in una di queste operazioni.
“Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nella mia classe quinta, mentre stavamo parlando di Martin Heidegger. Irruzione è un termine forte, ma esatto in questo caso: nessuno ha bussato e chiesto il permesso. Hanno svolto un controllo antidroga facendo passare tra i banchi un pastore tedesco, poi sono andati via. A mani vuote (…) Non è la prima volta che succede, naturalmente, anche se è la prima volta che succede a me. È successo, qualche giorno fa, al liceo Virgilio di Roma, e la cosa è finita sui quotidiani nazionali, perché il Virgilio è un liceo molto ben frequentato. È successo qualche giorno prima al Laura Bassi di Bologna, anche lì con molte polemiche. È successo e succede quotidianamente in decine di istituti tecnici e professionali, che fanno poco notizia perché non sono così ben frequentati come il liceo Virgilio di Roma. (…) Quando io vengo a casa tua – perché la scuola è la casa degli studenti – e ti sottopongo a perquisizione, io ti sto dando diversi messaggi. Il primo è che ti considero una persona poco raccomandabile. Non è una questione personale: può essere che tu sia a posto, ma è poco raccomandabile la categoria cui appartieni. Il fatto stesso che si facciano controlli antidroga è una conseguenza dell’infimo status degli adolescenti nella nostra società. È risaputo che l’alcol fa in Italia diverse migliaia di morti e causa tragedie terribili. Eppure la vendita di questa sostanza stupefacente pericolosissima è consentita. Lo Stato consente la vendita di alcolici, per giunta con il suo monopolio, mentre i Comuni promuovono apertamente il consumo di vino ed altri alcolici con apposite manifestazioni locali. Il consumo di alcolici è consentito perché è cosa da adulti. È una abitudine diffusa tra persone perbene, stimabili, con un buono status sociale. La droga, che fa meno morti dell’alcol, è invece roba da adolescenti, da ragazzetti, da soggetti con uno status marginale: dei minus habentes. È significativo che il consumo e lo spaccio di hashish e marijuana siano perseguiti con molto più zelo del consumo e dello spaccio di cocaina, una sostanza molto diffusa tra soggetti dotati di uno status anche considerevole, come professionisti e politici. Non è la sostanza stupefacente il problema. Se così fosse, l’alcol sarebbe proibito. Il problema è chi consuma, non cosa consuma. Il secondo messaggio è che la scuola è un posto in cui non ti puoi sentire come a casa. Per quanto ti stimi poco, non verrei mai a perquisirti a casa, a meno che non abbia un mandato. Ma a scuola sì. A scuola ti tengo d’occhio. Rispondendo alle polemiche dei genitori per i controlli antidroga al liceo Laura Bassi di Bologna, il procuratore aggiunto Walter Giovannini ha dichiarato: «trova ancora spazio l’arcaico convincimento ideologico che l’Università e più in generale gli istituti scolastici godano di una sorta di extraterritorialità». Nessuna extraterritorialità. Non siete a casa vostra, siete in un posto in cui possiamo entrare e uscire quando vogliamo. Possiamo perquisirvi, possiamo farvi annusare dai nostri cani. Siete sotto il nostro controllo. (…) È un messaggio rivolto a tutti, ma forse c’è un terzo messaggio rivolto ad alcuni. Può essere una coincidenza, ma in molte delle scuole, anzi delle classi perquisite c’erano studenti appartenenti ai collettivi studenteschi. Se non è solo una coincidenza, allora il terzo messaggio è questo: vi controlliamo tutti, ma in particolare teniamo d’occhio voi che fate politica, voi dei collettivi, voi che vi definite comunisti o anarchici; rientrate nei ranghi, che è meglio per voi. E lei, professore, torni pure a parlare di Martin Heidegger. Non è successo niente”.
Mentre le polemiche fortunatamente crescono e sono sempre di più i dirigenti scolastici che si rifiutano di far entrare i cani nelle scuole, le perquisizioni e gli interventi delle pattuglie cinofile continuano anche se le conseguenze di questo piccolo rito dell’arroganza poliziesca si fanno tragiche. Lunedì 13 febbraio un ragazzo di 16 anni di Lavagna, nel Levante Ligure, si è suicidato mentre la Guardia di Finanza stava facendo una perquisizione in casa sua in cerca di droga. Il ragazzo di Lavagna è stato fermato dalla Guardia di Finanza all’uscita dal suo liceo mentre aveva del fumo con sé, secondo alcuni giornali ne avrebbe avuto 10 grammi, ma altri dicono che questa quantità è stata poi trovata in casa sua. La Guardia di Finanza si è presentata un’ora più tardi a casa sua, dove insieme al ragazzo c’erano la madre e il padre, per una perquisizione. In un momento in cui era solo, il ragazzo si è ucciso.
Subito dopo l’accaduto, diversi commentatori hanno accusato la Guardia di Finanza di aver preso un provvedimento eccessivo – la perquisizione in casa – visto che si trattava di un ragazzo incensurato e 16enne trovato con una quantità di hashish piuttosto limitata. Mercoledì però si è scoperto che era stata la stessa madre del ragazzo a chiamare la Guardia di Finanza e che il figlio aveva scoperto di essere stato denunciato da sua mamma dai finanzieri che lo stavano portando a casa a sirene spiegate e coi lampeggianti accesi. La madre (che si è scoperta essere legata agli ambienti della destra cattolica) lo ha addirittura rivendicato in chiesa prendendo la parola al funerale del figlio per ringraziare la Guardia alla Finanza e per ammonire i coetanei del ragazzo a stare in guardia da chi considera “normale farsi le canne”. Tra cui ci siamo sicuramente noi che scriviamo su questo giornale e che pensiamo che sia ora di smettere di criminalizzare e di perseguitare milioni di persone.
Nel mondo dei crociati del proibizionismo e di chi, come la madre sciagurata di Lavagna, crede alla loro propaganda dell’odio, è normale invece che una madre tradisca il proprio figlio, lo sottoponga all’umiliazione di essere fermato a scuola davanti ai suoi compagni di classe e poi portato a casa dalla polizia. Sono cose che succedono nel regno dell’orrore dell’Isis in cui capita che le cronache del Califfato riferiscano di figli che denunciano le madri o i padri che non rispettano i dettami del Daesh. Purtroppo è anche cronaca quotidiana della War On Drugs ad ogni latitudine. Il proibizionismo è un’ideologia di morte bagnata del sangue delle 7.770 persone uccise dalla polizia e dagli squadroni di viglantes nell’operazione contro il narcotraffico avviata dal presidente filippino Duterte dopo la sua salita al potere lo scorso 30 giugno come di quello del ragazzo che si è suicidato a Lavagna. Sarebbe ora veramente di fermarla questa persecuzione.
robertino