In occasione del centenario dell’assassinio di Matteotti molto si è detto e si è scritto e crediamo che ormai la vicenda, almeno nella sua complessità, sia sicuramente ben conosciuta. Pertanto, in questo nostro intervento, dopo una parziale ricostruzione dei fatti, cercheremo di inquadrare la figura politica, ma, soprattutto, umana di Matteotti e testimoniare il profondo rispetto e la sostanziale vicinanza che gli anarchici portarono al martire socialista, al di là delle differenti strategie e proposte politiche.
Matteotti nel 1922 è segretario del Partito Socialista Unitario formatosi in seguito alla scissione con il Partito Socialista Italiano. Deputato di Fratta Polesine, nel rodigino, si era distinto per il suo rigido antimilitarismo mettendosi in luce come uno fra i più tenaci e irriducibili oppositori all’entrata in guerra nel 1915. Sarà sempre estremamente rigido e coerente con i propri principi e risulterà particolarmente coraggioso opponendosi senza alcun timore alla violenza squadrista. Martire laico per eccellenza la sua morte traumatica ha però finito per offuscarne il ricordo dell’azione e oggi, a 100 anni di distanza, è necessario recuperarne la complessità umana, le competenze di tecnico, l’ originalità politica: la ricorrente definizione di “riformista rivoluzionario” che si attribuisce e che sempre lo accompagnerà, è solo in apparenza un ossimoro, perché se la tattica è fermamente basata sul tradizionale riformismo comune a tanta parte della sinistra socialista, la strategia, il progetto, il fine ultimo, sono, senza alcun dubbio, finalizzati a una trasformazione sociale della società.
Nel 1924, l’anno in cui viene ucciso Matteotti, il fascismo, pur essendo con forte maggioranza al potere dal novembre 1922 in seguito alla marcia su Roma e alla chiamata al governo da parte della Monarchia, pur avendo raggiunto i proprio obiettivi anche grazie alla violenza diffusa impunita e indiscriminata dello squadrismo, non è ancora una dittatura compiuta, poiché restano ancora in vigore alcune prerogative della democrazia liberale, quali, ad esempio, la possibilità di rappresentanza parlamentare delle opposizioni e una certa libertà di stampa e di parola. Ovviamente nulla era più come prima, ma comunque un certo spazio di dissenso era ancora possibile e permesso. E di questo spazio, con tutto il suo coraggio e la sua determinazione, ne “approfittava” in modo particolare, fra quanti ancora si opponevano al regime, proprio Giacomo Matteotti.
Proprio questa sua ferma determinazione ne fanno uno degli oppositori più tenaci ed incisivi del regime mussoliniano. Per nulla intimorito dalle feroci violenze subite personalmente nel 1921 e dalle continue minacce rivolte a lui ed ai suoi famigliari, Matteotti, in un drammatico discorso alla Camera tenuto il 30 maggio, sordo alle interruzioni volgari e alle minacce fisiche rivoltegli platealmente, denuncia le violenze fasciste e la palese illegalità delle precedenti elezioni politiche, e lascia capire che il 13 giugno, con un nuovo e altrettanto incisivo intervento, avrebbe portato alla luce e alla conoscenza dell’opinione pubblica, una serie di illegalità finanziarie, interessi privati, episodi di corruzione e distrazione di beni pubblici, compiuti da numerosi esponenti del regime, tra cui lo stesso Arnaldo Mussolini, fratello e socio in affari di Benito; ciliegina sulla torta la produzione delle prove dei contatti fra i massimi esponenti del regime e la società petrolifera statunitense Sinclair Oil, dedita a foraggiare “questi nobili e disinteressati patrioti” per conquistare il mercato italiano danneggiando inevitabilmente le imprese nazionali.
Il giorno prima dell’intervento alla Camera, il 12 giugno, proprio per impedire questo intervento-denuncia (non sono mai stati ritrovati gli appunti che aveva preparato), avviene il sequestro nelle vie di Roma ad opera di un gruppo di squadristi capeggiati dal feroce ex Ardito di Guerra Amerigo Dumini. Forse l’intenzione è solo quella di impedirgli la presenza in Aula, ma la sua imprevista resistenza e il suo tentativo di scappare dalla macchina servita per il sequestro, si concludono con numerose coltellate che lo portano alla morte.
L’impressione nel Paese è fortissima, tanto che lo stesso Mussolini, nell’intervento successivo al sequestro, il 12 giugno, esprime sconcerto e grande preoccupazione e assicura che i responsabili saranno individuati e colpiti, e nel giorno successivo tenta di attribuire l’accaduto a nemici interni del regime. Come riporta il giornale anarchico «Fede» di Roma del 27 luglio, Mussolini, in un suo successivo intervento giunge a dire “che si sarebbe preferito il cadavere di Matteotti”, riproponendo l’interessante e opportunistica tesi di una fronda interna al fascismo. Il corpo viene ritrovato “fortunosamente” il 16 agosto e di fronte alla drammatica e tragica scoperta la confusione e lo spavento per l’isolamento che circonda il regime anche a livello internazionale sembrano preludere a una imminente caduta del fascismo. Ma ovviamente, visto che mandanti ed esecutori sono tutti interni e organici al regime, questo, anche a causa delle incertezze e delle titubanze dell’opposizione, riesce a riprendersi, e la chiusura dei conti sarà nel famoso discorso del Duce del 3 gennaio 1925, nel quale verrà fatta una aperta rivendicazione dell’omicidio: “se il fascismo è un’associazione a delinquere, ebbene, io sono il capo di questa associazione a delinquere”. Segue, a corollario, la chiusura del Parlamento e la progressiva introduzione delle leggi fascistissime che porteranno alla nascita dichiarata della dittatura.
Come si legge nel «Conferenziere Libertario» del settembre 1924 (periodico romano), si vuol far credere che “gli assassini di Matteotti sono tutt’al più i fascisti dello squadrismo che non intende riporre il manganello, degli indisciplinati, degli incauti, gente che ha esagerato gli ordini e le consuetudini, consumando un delitto che invece di recar profitto ha danneggiato il fascismo”. Non a caso il processo farsa di Chieti del 1926 vede l’assoluzione o l’amnistia per tutti gli imputati, e anche un secondo processo, celebrato nel 1947, si risolverà, al di là della sentenza per Dumini e altri tre esecutori, in un periodo di detenzione molto breve, in quanto subentreranno nuove amnistie.
Guardando ora alle reazioni delle forze di opposizione antifascista, non possiamo ignorare da parte delle componenti massimaliste e comuniste una certa ambiguità, non tanto sulla esecrazione dell’omicidio, quanto sulla interpretazione “politica” giudicata troppo legalitaria e riformista della figura di Matteotti. Una critica profondamente ingiusta figlia del settarismo di quel periodo storico.
Venendo ora ad una analisi sul legame ideale che unì ed unisce ancora oggi il movimento anarchico alla figura di Matteotti e alla sua esperienza politica, quello che vedremo, è il profondo rispetto, nelle parole e negli scritti, degli esponenti del movimento anarchico per la figura umana e politica del deputato rodigino: rispetto che non si lascia mai condizionare dalle evidenti e storiche distanze non solo ideologiche ma anche tattiche e strategiche. Già il 14 giugno 1924, a due giorni dal sequestro, l’Ufficio di Corrispondenza della Unione Anarchica Italiana (l’odierna Federazione Anarchica Italiana) dirama un comunicato nel quale afferma di essere “sicuro di interpretare il sentimento dei suoi aderenti ed in generale degli anarchici tutti esprimendo la propria commossa e viva solidarietà nel dolore”.
Leggendo nelle pagine dei fogli libertari dell’epoca risalta come tutti, al di là delle note distanze organizzative, mostrino una sincera vicinanza e una certa identificazione con il martire, riconoscendone la profonda onestà e l’intransigenza rispetto alla brutalità di un regime, quello fascista, che non tiene minimamente in conto la dignità individuale. Matteotti ha sempre posto a caposaldo del suo pensiero e della sua azione, il rispetto della dignità di ognuno, accompagnato da una solidarietà umana indifferente alle contraddizioni individuali: in sostanza il riconoscimento che l’individuo, ogni individuo, ha diritto ad essere interpretato nella sua essenza e nella sua complessità. Ed esattamente come Matteotti, anche gli anarchici hanno un profondo rispetto per l’individuo, inteso in tutte le sue componenti umane e comportamentali, e per questo hanno trovato nella vita, nella lotta politica, nelle accuse lanciate al fascismo da Matteotti tante delle loro stesse caratteristiche.
Esemplari, al riguardo, le parole di Luigi Bertoni apparse su «Il Risveglio comunista anarchico» del 13 settembre 1924 (periodico bilingue italiano e francese di Ginevra): “Ecco perché il nostro pensiero ricorre incessantemente non ad eccezionalissimi eroi, ma ad un sempre crescente numero d’uomini, che sentano maggiormente la loro coscienza, dignità e solidarietà d’uomini” e del 30 agosto dello stesso anno: “sereno e impavido continuava la sua opera altamente civile d’assertore del diritto umano alla libera estrinsecazione d’un nobile pensiero e d’una più nobile propaganda. Ed è sul suo cadavere di milite generoso della libertà che Benito Mussolini decise allora di passare e ripassare — Anarchici, L’altissimo esempio di generosità, fede ed eroismo viene oggi a noi da chi non militò nelle nostre file, ed è più ammonitore e più solenne. Colui che solo alla ragione affidò la sua causa giace straziato dalla più mostruosa violenza. Questa vuol essere vinta con la forza di una legittima difesa perché al fine la ragione trionfi”.
E ancora «L’Adunata dei Refrattari» del 28 giugno 1924 (settimanale di New York di lingua italiana): “Matteotti non è il nemico che scalza il terreno al nemico; è qualcosa di meglio e più importante: è l’accusatore che prende impavidamente sulle spalle il compito grave e pericoloso di smascherare in faccia al mondo la tenia vorace che assorbe le ultime energie residuali. Ricordando Matteotti e la sua opera coraggiosa noi intendiamo ricordare e vendicare tutti i caduti, tutti gli assassinati, tutti i percossi, tutti i carcerati”.
Sono molti altri, pressoché tutti, i fogli anarchici e libertari che ci parlano di Matteotti, e qui diventa impossibile citarli tutti. Ma è bene ricordare che gli anarchici continueranno a tenere alto il suo nome e il suo esempio durante il lungo esilio antifascista, nella guerra di Spagna, nella clandestinità, nella Resistenza e anche nel dopoguerra.
Massimo Ortalli e Gianandrea Ferrari