Premessa. Cosa si Intende per “Letteratura Ucronica”.
La letteratura ucronica è un insieme di opere narrative costruite intorno a un’ipotesi retrospettiva e alternativa allo svolgimento consolidato di un fatto storico e getta le sue radici in una tecnica utilizzata dagli albori della storiografia, ovvero l’ipotesi controfattuale.
Ciononostante, il terminus post quem di queste narrazioni è la Rivoluzione francese. Il termine si deve al filosofo francese Charles Renouvier, il quale titola così un suo pamphlet (Uchronie, l’utopie dans l’historie), pubblicato anonimo nel 1876 e basato su alcuni suoi articoli precedenti. Il termine diventerà dominante in area romanza per distinguere tali opere narrative dalla storiografia controfattuale, che è una tecnica per comprendere le dinamiche alla base di un evento e deve essere perciò estremamente aderente alla verosimiglianza storica. Le narrazioni ucroniche, invece, sono più libere e sono state spesso utilizzate per veicolare precise tesi politiche e filosofiche in modo più o meno arbitrario.
In italiano sono sinonimi i termini ‘allostoria’, ‘fantastoria’, ‘storia alternativa’. In ogni caso, non tutte le tipologie di testo narrativo che presentano discrepanze nella linea temporale possono essere considerate “ucronie pure”: ad esempio, quelle incentrate sull’uso di dispositivi tecnologici o ambientate in mondi paralleli, non possono rappresentare vere e proprie deviazioni della storiografia comunemente accettata. L’ucronia pura è quindi un racconto che spesso comincia ‘in medias res’ e in cui il punto di divergenza (o nexus point / jonbar point) viene chiarito nell’intreccio e non è determinato da una ragione “concreta”, come può essere un viaggio nel tempo: in certi casi limite risulta addirittura assente.
Se in ambito francese e anglosassone entrambi i filoni hanno goduto di una discreta diffusione e accoglienza, nonché di un continuo progresso fino alla nascita della moderna storiografia controfattuale e della narrazione ucronica contemporanea del secondo dopoguerra, in Italia a pesare sulla diffusione di testi ucronici, sia storiografici sia narrativi, è stato probabilmente il giudizio tranciante di Croce che nel 1938 liquidava così Renouvier:
Ci voleva un filosofo, un ben astratto filosofo per scrivere un libro intero (Renouvier, Uchronie) al fine di narrare «le développement de la civilisation européenne tel qui n’a pas été, tel qui aurait pu être», sul convincimento che la vittoria politica della religione cristiana fu un fatto contingente e che sarebbe potuta non accadere, ove si fosse introdotta una piccola variazione gravida di conseguenze, alla fine del regno di Marco Aurelio e nelle fortune di Commodo, Pertinace e Albino!
Nonostante alcune voci in controtendenza, la ricezione di Renouvier in Italia sarà limitata agli altri aspetti del suo pensiero e il pregiudizio sulla “storia fatta con i se” graverà sulla storiografia e la narrativa italiana, impedendo di avviare una produzione diffusa paragonabile a quella francofona e anglosassone. Al di là di alcuni esempi precedenti, vicini al genere delle “guerre future”, la prima opera narrativa italiana, dunque, che presenta caratteristiche prettamente ucroniche è tarda (1950) e anomala. Si tratta di un romanzo di Marco Ramperti, Benito I Imperatore, e questo fatto, per le nostre finalità, è estremamente interessante.
Benito I Imperatore (1950)
L’autore di Benito I imperatore, Marco Ramperti, era un noto scrittore, giornalista e critico cinematografico del Ventennio; dopo la Liberazione, a causa della sua adesione a Salò e dei suoi articoli apertamente razzisti, viene condannato a sedici anni di carcere, che sconterà fino all’amnistia di Togliatti. Stringerà allora relazioni con alcuni esponenti del “Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori”, l’organizzazione giovanile del nascente MSI, tendenzialmente evoliana e antiatlantica.
Benito I imperatore si colloca quindi al culmine dell’attività propagandistica dei giovani attivisti del MSI, ovvero nell’anno precedente alla battuta d’arresto rappresentata dal processo ai Fasci di Azione Rivoluzionaria del 1951, che porterà in tribunale lo stesso Evola. Benito I imperatore è un romanzo satirico contro gli esponenti della società italiana convertiti all’antifascismo dopo la caduta di Mussolini. Lo spunto ucronico è quindi il pretesto per una deformazione grottesca della società culturale italiana e per evocare ideali spiritualisti che richiamano da vicino i valori evoliani.
Sia la casa editrice sia il pubblico per cui viene prodotto sono infatti connessi alla galassia del MSI. Il romanzo, inoltre, viene subito recensito da un anonimo per l’Asso di bastoni, una delle principali riviste della destra radicale.
Il Fantafascismo
Si può considerare Benito I Imperatore come capostipite di un filone della narrativa ucronica italiana pressoché inedito altrove: il ‘fantafascismo’. Mentre, infatti, in altri paesi il genere ucronico diventa nel secondo dopoguerra uno degli ambiti della fantascienza e si sviluppa in maniera sempre più articolata fino al capolavoro di Philip K. Dick The Man in the High Castle, in Italia le urgenze del neorealismo (che vuole e deve fare i conti con il ventennio passato) mettono in secondo piano tutta la produzione di tipo fantastico.
Dopo Benito I, nel 1972, in piena contestazione, nella raccolta de “La Tribuna” Sedici mappe per il nostro futuro vengono pubblicati due racconti fantafascisti schierati esplicitamente a destra che scateneranno qualche polemica negli ambienti della letteratura fantascientifica italiana, con de Turris e Curtoni come protagonisti principali. La querelle durerà anni, acuendosi poi sulle pagine di Robot e Un’ambigua utopia e rappresenterà un punto di partenza per Gianfranco de Turris che, a partire dal 1984, inizierà a raccogliere un’antologia di racconti ucronici a sfondo fascista.
L’intenzione dichiarata di questa antologia è quella di provocare il mondo culturale di sinistra e gettare le basi per la creazione di un corpus narrativo da contrapporre alle principali ucronie straniere postbelliche, quindi la promozione dell’immaginario della destra evoliana, evitando l’apologia a priori del fascismo e la deformazione satirica che aveva caratterizzato Benito Imperatore. L’obiettivo implicito è, invece, quello di contribuire all’opera di revisionismo storico e sdoganamento del fascismo nell’Italia post-bellica.
Dopo numerosi ostacoli da parte degli editori (a partire dal primo serio tentativo di pubblicazione nel 1989), l’antologia Fantafascismo! vedrà la luce nel 2000 presso la casa editrice Settimo Sigillo, strettamente legata agli ambienti della destra spiritualista romana, dopo essere stata anticipata, nella seconda metà degli anni Novanta, da alcune opere ucroniche di ambientazione fascista direttamente connesse al processo di genesi della raccolta. Infatti, il primo di questi libri – Gli anni dell’aquila di Errico Passaro (1996) – è un’opera derivata dal racconto scritto per l’antologia di de Turris: un romanzo ad episodi che può essere letto come un pamphlet contro il saggio di Umberto Eco sul fascismo eterno.
Successivamente, la Settimo Sigillo pubblicherà un’altra opera di ucronia fascista, L’estate e l’inverno di Maurizio Viano (1999): l’opera di Viano viene stampata insieme a un romanzo breve di Prosperi, anch’esso allostorico. Se il testo di Passaro spesso scivola involontariamente, nella sua serietà, su toni prossimi al grottesco, come quando descrive la prima Duce donna nella storia del suo fascismo eterno («Non le era stato facile vincere i pregiudizi secolari della società civile e politica, gli abbagli di chi scambiava per maschilismo il culto di una virilità eroica che non faceva distinzioni di sesso»), il testo di Viano invoca semmai l’accettazione delle filosofie fasciste all’interno del dibattito democratico in un’ottica di riconciliazione nazionale, piuttosto che tentare di ribadire una loro presunta attualità.
Dopo questi due libri, finalmente viene data alle stampe la travagliata antologia Fantafascismo! Storie dell’Italia ucronica. La prima edizione della raccolta include quindi i due racconti tratti da Sedici mappe per il nostro futuro, un nuovo racconto di Passaro (concepito come seguito ideale de Gli anni dell’aquila) e soprattutto il racconto Occidente di Mario Farneti.
Il racconto di Farneti verrà ampliato in un omonimo romanzo dal discreto successo per i tipi dell’Editrice Nord: Occidente (2001): quest’opera sarà il primo romanzo ucronico italiano ad avere una certa eco all’estero (fatta eccezione forse per il solo Contro-passato prossimo di Morselli) e rappresenterà un grosso risultato editoriale. Il successo di Occidente, che genererà svariati seguiti, spin-off e trasposizioni a fumetti, porterà negli anni 2000 a una fioritura di questa tipologia di narrazioni. Gianfranco de Turris, ad esempio, curerà altre antologie ucroniche incentrate, questa volta, sull’intera storia d’Italia: la scelta originale di un’ucronia ad ambientazione fascista si diffonderà poi al di là dei confini del mondo della destra estrema. Fra le opere fantafasciste slegate dagli ambienti di estrema destra, merita di essere menzionata la trilogia di Enrico Brizzi, inaugurata da L’inattesa piega degli eventi (2008-2011).
Il Caso di Occidente: Fantascienza e Politica nell’Ambito Italiano
Come avevamo accennato, il primo racconto ucronico italiano esplicitamente schierato a destra è La morte del duce di Pier Carpi, vagamente ispirato dallo spirito di Benito I Imperatore e scritto per l’antologia Sedici mappe per il nostro futuro (1972) della casa editrice La Tribuna. La storia narrata è quella del funerale di un ormai vecchio Mussolini, diventato nel secondo dopoguerra un leader terzomondista. L’inserimento del racconto di Carpi scatenerà un dissidio significativo fra i tre curatori della collana: de Turris da un lato e Vittorio Curtoni con Gianni Montanari dall’altro. La questione resterà sopita qualche anno per poi infiammarsi nuovamente nelle pagine di Robot (e su altre riviste e fanzine, da Panorama a Un’ambigua utopia), dove, in seguito alla pubblicazione di un articolo polemico di Remo Guerrini (“SF e politica”, numero 12, 1977), Curtoni e de Turris si confrontarono, questa volta pubblicamente, su politica e fantascienza, il primo sostenendo l’impossibilità di eludere l’argomento, il secondo proclamando l’indipendenza della letteratura fantastica dalle opinioni politiche degli autori (indipendenza che, secondo Curtoni e Guerrini, altro non era se non una scusa per veicolare contenuti e valori della destra tradizionalista).
Va rimarcato come l’uscita editoriale di Occidente si collochi durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 2001: sono infatti passati solo cinque anni dalla “svolta di Fiuggi” e l’eredità del MSI pesa ancora su Alleanza Nazionale. In questo frangente, il Giornale pubblica una lungo articolo di Sergio Valzania sul fantafascismo e il romanzo di Farneti, ancorandoli al dibattito sul revisionismo storico e sulla distensione nei rapporti fra la società democratica e gli eredi ideologici della galassia fascista italiana.
Al di là delle sue posizioni conservatrici, Farneti non è un militante di estrema destra e tra gli appassionati italiani di fantascienza la questione della presunta propaganda di destra interna al romanzo è passata in secondo piano. Lo stesso Farneti ha sempre liquidato sbrigativamente la questione in diversi interventi, oltre all’articolo di Richard Owen sul Times, sempre con le stesse argomentazioni. Un esempio su tutti:
(…) ho trattato del fascismo come di (…) un fenomeno politico e culturale che si è completamente esaurito con la morte di Mussolini e che non è mai più risorto in nessun luogo del mondo (sic) (…) senza indulgere alla satira o al grottesco e rifacendomi in questo senso alle esperienze di Dick e di Harris che hanno fatto altrettanto col nazismo. Per quanto mi riguarda, non ho alcun timore di parlare con serenità di Mussolini, senza caricaturizzarlo per compiacere il luogo comune.
Se consideriamo però quanto emerge dal romanzo, il Mussolini di Farneti assomiglia, per certi versi, più all’idealizzazione di cui è oggetto nei falsi diari del dittatore o in Benito I Imperatore, che a una ricostruzione storica accurata della sua figura. Il personaggio del duce viene infatti posto totalmente al di sopra di una contestualizzazione complessa e articolata. Il Mussolini vittorioso di Farneti richiama perciò inequivocabilmente l’immagine del grande statista di berlusconiana memoria, uno dei concetti alla base dell’immaginario propagandistico del periodo, inaugurato già nel 1994 per giustificare, in maniera retorica, l’alleanza con i transfughi della destra radicale all’interno di una coalizione liberale di centro-destra.
Ad ogni modo, la polemica scoppia dopo il risultato delle elezioni che sancivano la vittoria di Silvio Berlusconi: dalle colonne de Le monde diplomatique di ottobre 2001, lo scrittore di fantascienza Valerio Evangelisti accusa esplicitamente gli autori fantafascisti di contribuire all’operazione di sdoganamento del regime, portata avanti dallo schieramento di centrodestra. Gli autori al centro delle critiche erano nella fattispecie Passaro, Farneti e de Turris, ma Evangelisti nomina anche Sergio Romano:
In Fantafascismo, Gianfranco De Turris ha riunito una serie di testi che – salvo qualche pagina ironica – riflettono fedelmente il titolo. L’autore è d’altronde uno dei maggiori rappresentanti della fondazione che porta il nome del filosofo antisemita Julius Evola e la casa editrice, Settimo Sigillo, è specializzata nelle pubblicazioni di estrema destra. Il secondo, Occidente, di Mario Farneti, intende dimostrare come l’Italia sarebbe stata grande se Mussolini non fosse morto troppo presto (…). Aperti i rubinetti del revisionismo, questi non smettono più di gocciolare. L’anziano ambasciatore Sergio Roman, editorialista onnipresente nei telegiornali, si lancia nell’elogio di Francisco Franco, facendo l’apologetica delle lotta del caudillo contro il Comunismo. [Traduzione dal francese]
Il mese seguente, una delle riviste più seguite dagli appassionati italiani di fantascienza (Delos) pubblica una monografia sul dibattito politico interno alla fantascienza italiana (n° 71, novembre 2001), con interventi di vari esperti e protagonisti, fra cui lo stesso Curtoni. Naturalmente nel numero viene nominata anche la questione di Sedici mappe per il nostro futuro, nonché i dibattiti scaturiti sulle pagine di Robot durante il decennio della contestazione.
Nel numero successivo (n° 72, dicembre 2001), Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco spiegano le loro ragioni con una auto intervista fondata sul concetto per cui, salvo frange nostalgiche,“l’atmosfera di oggi non è più quella di ieri”. Però, la risposta più articolata di de Turris a Evangelisti verrà pubblicata da Palomar nel luglio del 2002 (n° 2): in questo intervento, de Turris liquida le accuse di Evangelisti facendo leva sulla presunta incoerenza di essere pubblicato dalle case editrici che fanno capo a Berlusconi, uno stratagemma retorico per mettere in secondo piano le affiliazioni e l’accondiscendenza verso gli eredi della destra fascista italiana, in virtù del suo liberalismo come editore.
Spunti comparativi fra Occidente e Fatherland
Al di là delle intenzioni e dei proclami degli autori, il fantafascismo fa emergere la sua natura retorica e propagandistica proprio se lo confrontiamo con i principali modelli anglosassoni. L’emulazione ha prodotto dei risultati non sempre riusciti, avvicinando questo corpus di opere alla linea tracciata da Ramperti e Carpi, piuttosto che a quella dei grandi ucronisti inglesi e americani.
I racconti e i romanzi fantafascisti contrappongono quindi alla visione distopica e claustrofobica del nazismo vittorioso di Dick e Harris una visione utopica del regime fascista. Se in The Man in the High Castle e Fatherland (ma anche nel recente The Plot Against America di Philip Roth) vengono enfatizzati gli aspetti più brutali dei due totalitarismi, relegando l’Italia fascista al ruolo di secondo piano che ha davvero interpretato nella seconda guerra mondiale, nelle opere fantafasciste vengono messi al centro gli elementi minoritari nella storia del regime, come il dannunzianesimo, il tradizionalismo di Evola, lo “spirito legionario”, relegando il resto sullo sfondo.
Un altro punto di vista importante è l’aderenza al dibattito storico: se The Man in the High Castle e Fatherland evidenziano una ricerca specialistica da parte degli autori affine a quella preparatoria per un romanzo storico, l’utilizzo delle fonti da parte degli ucronisti italiani considerati è più disinvolto e adoperato soprattutto per la ricostruzione d’ambiente, nonché per supportare tesi vicine a quelle del dibattito revisionista sul fascismo. Inoltre, nell’ucronia fascistoide italiana è presente la particolarità della presenza diffusa di aspetti mistico-esoterici (di chiara ispirazione evoliana), siano essi derivati dalla mitologia latina o dal ciclo bretone.
Per concludere con un esempio, il personaggio di Dana Di Maggio in Occidente presenta numerosi punti in comune con quello di Charlotte Maguire in Fatherland: entrambe giornaliste americane, Charlotte Maguire è di madre tedesca ed è inviata a Berlino, mentre Dana Di Maggio ha il padre italiano ed è inviata a Roma. Tutte e due le figure sono tenacemente attaccate ai loro ideali democratici, sono fortemente critiche della società totalitaria in cui si trovano e incarnano il ruolo del personaggio femminile destinato alla storia d’amore con il protagonista maschile.
Tra loro, però, ci sono differenze profonde ed estremamente significative: Charlotte contribuisce a far ripudiare a Xavier March i suoi già blandi ideali nazisti, mentre Dana, dopo un epifanico incontro con Benito Mussolini, diventerà addirittura un’agente dell’OVRA e, grazie a Romano Tebaldi e al duce, riscoprirà i suoi valori “romani”, come ribadisce il dittatore dal letto di morte.
La versione integrale del testo di Emiliano Marra– che per motivi di spazio abbiamo dovuto sintetizzare ed eliminarne il ricco apparato di note – la si troverà a breve sul sito di Umanità Nova: questa è una riduzione redazionale dell’articolo omonimo comparso nel n° IV della rivista Between (luglio 2014).
Emiliano Marra