Il 21 febbraio i No Tav tornano in piazza a Torino. Una manifestazione popolare per un movimento con tante anime ma un unico scopo: fermare il Tav e dare una bella botta al mondo che rappresenta. Lo abbiamo imparato poco a poco: il Tav, la nuova linea tra Torino e Lyon non diversamente dalle altre linee costruite lungo la penisola, è un grande affare per la lobby del cemento e del tondino e per i loro santi protettori nelle istituzioni.
Il movimento No Tav rappresenta una spina nel fianco di questo sistema. Una spina sempre più dolorosa, che va estirpata costi quel che costi, perché rischia di compromettere equilibri consolidati, dando slancio ad altre lotte. La bandiera No Tav è sventolata in decine di manifestazioni in tutta la penisola: ha fatto capolino tra gli sfrattati, tra chi si batte contro le servitù militari, tra i lavoratori disoccupati precari in lotta contro i lacci legislativi imposti dal governo Renzi. In ogni dove il treno crociato è diventato simbolo di rivolta contro l’imposizione violenta di scelte non condivise, dal Tav al Muos, sino all’Expo.
Le accuse di terrorismo, sulle quali la Procura non ha smesso di puntare, nonostante l’assoluzione di Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, le gravi condanne inflitte per le giornate di lotta del 27 giugno e 3 luglio 2011, le decine di procedimenti aperti contro centinaia di attivisti, sono il segnale della volontà di piegare con la forza un movimento che non cede, che non accetta di ridursi a mero testimone dello scempio.
Il 21 febbraio sarà una tappa importante per i No Tav, un’occasione per mostrare che, nonostante le violenze, nonostante il costante tentativo di dividere in buoni e cattivi, il movimento si pone a fianco di chi ha subito condanne e di chi è ancora in carcere o a ai domiciliari. Sarà anche un’occasione per ri-portare in piazza le ragioni dell’opposizione al Tav.
La situazione non è facile. Tuttavia anche nel fronte avversario si aprono crepe. L’impossibilità di imporre una mediazione capace di spezzare il movimento motiva sia le violenze della polizia, sia la delega alla magistratura per il disciplinamento dei No Tav. In questi mesi il governo Renzi ha incassato l’ingresso di alcune amministrazioni al tavolo per le compensazioni, ma ha messo solo promesse sul piatto di una compagine istituzionale che cerca di accontentare anche l’elettorato moderato, ma è consapevole di dovere le proprie poltrone al movimento No Tav.
Il 21 febbraio ci saranno anche i sindaci in fascia tricolore per le strade di Torino e concluderanno la manifestazione con l’acclamazione di nuove delibere contro la Torino Lyon.Già dieci anni fa c’era chi riteneva la partecipazione delle amministrazioni il lievito e la colla del movimento No Tav. La rivolta popolare dell’inverno 2005 dimostrò che i sindaci erano una variabile dipendente dal movimento, non il contrario.
Il governo Berlusconi tentò di creare divisioni aprendo un tavolo istituzionale di trattative, ma, nonostante qualche amministratore sedotto dal gioco delle poltrone sia passato di campo, l’operazione fallì. Per questa ragione nel 2010 e nel 2011 il governo prese la decisione di riportare il conflitto sul piano militare, delegando a polizia e magistratura il compito di fare i conti con i No Tav.
Oggi più che mai la partita è in mano ad un movimento che ha dimostrato con i fatti la propria autonomia, costruendo ambiti di confronto e decisionalità al di fuori del recinto istituzionale.
L’autogoverno è ancora una prospettiva lontana, tuttavia in questi anni si sono moltiplicati gli spazi liberi dove l’ambito politico si è emancipato dal gioco elettorale. Certo la strada da percorrere è ancora molta, ma l’immobilismo delle amministrazioni, che limitano la loro azione ad atti simbolici, è il miglior antidoto alla delega elettorale.
L’ultima mossa del governo è un evidente segno di debolezza. In questi mesi è entrata in ballo una variante al progetto del tunnel di base, il super tunnel di 57 chilometri nel massiccio dell’Ambin, il nodo strutturale della Torino Lyon, ormai ridotta al solo tunnel e alla stazione di Susa, perché il resto viaggerebbe sulla linea “storica”.
L’uovo di Colombo sarebbe la decisione di rimandare di un decennio i cantieri a Susa, facendo partire i lavori per il tunnel di base dalla conclusione del tunnel geognostico di Chiomonte. Secondo quanto riferito dal Fatto Quotidiano, il governo intende cominciare il tunnel dentro la montagna, costruendo una sorta di mega caverna dove verrebbe montata la nuova talpa.
Una soluzione “tecnica” ad una questione che è squisitamente politica. Il timore di blocchi e proteste che rendano ingovernabile la bassa valle è all’origine di questa trovata che farà inevitabilmente lievitare i costi dell’opera. Poco importa che in tutta questa partita nessuna delle regole del gioco sia stata rispettata: ancora oggi non c’è un progetto definitivo per il tunnel, né un calcolo dei costi per chiedere il finanziamento del 40% dell’opera all’Unione Europea.
Un groviglio normativo nel quale le istituzioni non hanno timore di impigliarsi, mentre hanno ancora paura del movimento No Tav.
Il movimento, se quest’ipotesi diverrà concreta, dovrà fare i conti con uno scenario difficile da gestire. L’area di Chiomonte, scelta per le sue caratteristiche di inaccessibilità, distanza dai centri abitati, facile controllo militare non può essere il terreno in cui si gioca una partita, che, sul piano dello scontro diretto, è persa in partenza.
Anche le azioni di sabotaggio, dentro o fuori dalla valle, pur importanti nel ridare fiducia nella possibilità di gettare sabbia nell’ingranaggio dell’occupazione militare, hanno tuttavia una valenza del tutto simbolica, che il can can mediatico che a volte suscitano non muta.
Tocca al movimento No Tav riacutizzare il proprio ormai consolidato senso critico evitando di farsi irretire dai media, sempre più abili nel dosare rumore di nulla e fragoroso silenzio.
Un dibattito serio e, se possibile, sereno, sul metodo diventa sempre più urgente.
La scommessa, l’unica che valga le violenze subite, i feriti gravi, le condanne e le carcerazioni, è quella di dare gambe ad un movimento in cui non vi siano specialisti della politica o dell’azione, ma ambiti di confronto e azione in cui ciascuno, come vuole e come può, nel necessario confronto tra tutti, possa dare il proprio contributo alla cancellazione della Torino Lyon.
Per bloccare l’ingranaggio occorre moltissima sabbia, non bastano poche manciate, non bastano le manifestazioni popolari in sostegno di chi agisce, serve l’azione diretta popolare. Occorre un confronto a tutto campo, di comitato in comitato, di paese, in paese, di quartiere in quartiere, saldando le lotte, unendo i fronti, mettendo a fianco chi non ha una casa e chi rischia di perderla per il Tav. Se il tunnel lo scaveranno dentro la montagna, l’unica alternativa è creare le condizioni perché l’intera valle si blocchi, perché ovunque vi sia una barricata, un blocco, un’azione, anche piccola, che inceppi la macchina, ma in cui ciascuno sia protagonista.
Nel 2005, in un momento aurorale si agì di slancio e si vinse subito, senza tuttavia portare a fondo la partita, consentendo così all’avversario di ri-prendere l’iniziativa. Dopo quattro anni e mezzo di occupazione militare il governo punta sulla stanchezza, sulla rassegnazione, sulla divisione.
I No Tav hanno invece dalla loro la durata, la maturità acquisita, la consapevolezza che i tanti passi percorsi sono seguiti da tanti altri su una strada tutta da lastricare.
Ingegneri di barricate e inventori di nuove strade sono chiamati ad un impegno difficile ma possibile. In fondo dipende solo da noi. Da ciascuno di noi. Senza deleghe a nessuno.
Ma. Ma.
Al corteo ci sarà uno spezzone rosso e nero aperto dallo striscione “Azione diretta autogestione”. La manifestazione partirà alle 14 da piazza Statuto.
Per info: 338 6594361