Giovedì scorso poco dopo le otto del mattino un imponente apparato repressivo, tra carabinieri, polizia in assetto antisommossa e digos ha circondato la ex-caserma di via Asti 22. Sono entrati per sgomberare una parte(!) della struttura che era stata occupata in aprile da Terra del fuoco e da altre e associazioni, mentre dal primo novembre una parte della caserma era stata occupata da circa 80 persone rom rumene. Persone rimaste senza una casa in seguito alla distruzione della baraccopoli di Lungo Stura Lazio, sgomberata a tappe forzate tramite il progetto “La città possibile”, voluto e promosso da Comune di Torino e Prefettura, che hanno affidato un appalto di oltre 5 milioni di euro ad una cordata di associazioni e cooperative: Terra del Fuoco, Liberi tutti, Stranidea, Valdocco, AIZO e Croce Rossa.
Fino alle 12 e 30 nessuno ha potuto avvicinare le persone costrette a rimanere nelle loro stanze, perché le forze dell’ordine hanno impedito qualsiasi contatto con gli/le occupanti, compresa una donna colpita da malore per le intimidazioni e minacce subite dalla sua famiglia.
All’esterno, mosse dalla notizia dello sgombero, si sono radunate immediatamente molte persone solidali, singole e appartenenti a varie realtà, insieme ai familiari degli/delle occupanti che, quando è scattato lo sgombero, erano già uscite per le loro attività quotidiane e per recarsi al lavoro.
Due ragazzi, Romeo e Catalin, sono stati portati in questura “per identificazione”. La proposta di una palestra temporanea per donne e bambin* in un luogo non precisato è stata rifiutata, nessuno ha voluto essere diviso per l’ennesima volta.
Quando tutt* sono usciti dalla caserma, un corteo spontaneo è partito da via Asti ed ha attraversato le strade del centro per informare la città di questo ennesimo atto di guerra classista e razzista contro le occupazioni abitative.
Lo sgombero di questa mattina è l’ultima di una lunga serie di violenze contro chi ha occupato per necessità uno spazio vuoto e inutilizzato per far fronte ad un bisogno abitativo crescente e viene trattato ancora una volta dalle istituzioni come un problema di ordine pubblico. Nell’ultima settimana a Torino, “Città possibile”, sono avvenuti tre sgomberi: una casa occupata da sfrattati, un’altra dove per cinque anni avevano vissuto alcuni rifugiati africani, sino alle famiglie rom buttate in strada questa mattina.
A rendere ancora più pesante il clima di guerra a chi lotta per la casa e per trovare risposte urgenti a bisogni primari in questa città, è comunque un esplicito e spudorato razzismo. In un luogo occupato da sette mesi, lo sgombero scatta non appena arrivano i rom.
Mentre Fassino oggi promette a Sel che le attività di Terra del Fuoco nella ex caserma potranno proseguire, tramite riassegnazione per bando.
Il corteo della rabbia contro lo sgombero si è poi trasformato in un’assemblea permanente nel corso del pomeriggio per discutere possibili risposte politiche e soluzioni materiali per trovare un posto dove passare la notte.
La campagna elettorale, priva di contenuti su bisogni e desideri della città, scatena una violenza istituzionale esplicita verso chi è ritenuto colpevole del mero fatto di esistere e viene ancor più perseguitato se ha l’ardire di prendersi uno spazio pubblico.
Nel tardo pomeriggio apprendiamo che Catalin e Romeo, dopo l’“identificazione”, vengono portati direttamente al Cie in corso Brunelleschi, in attesa di espulsione. Rom romeni, non tedeschi o svedesi. La violenza di Stato non fa distinzioni tra corpi comunitari e non, quando in gioco ci sono la classe e la razza. La tanto sbandierata “libera circolazione” per i cittadini comunitari non vale per i rom. Già quest’inverno due abitanti di Lungo Stura Lazio erano stati rinchiusi nel CIE e deportati in Romania.
Nel corso delle numerose assemblee quotidiane occupanti e solidali hanno convenuto su alcune questioni:
- associazioni e comune hanno mostrato solo interessi economici nei nostri confronti. Non vogliamo più essere “inseriti” nei vari progetti falsamente “condivisi” che propongono soluzioni fintamente “strutturali”. Lo abbiamo capito con il progetto “La città possibile” ed oggi, con lo sgombero, lo ribadiamo: non ci stiamo più alle proposte precarie ed individualizzate che le istituzioni ci offrono poiché non siamo “oggetti per i progetti”;
- associazioni, istituzioni e media mainstream vogliono nascondere gli abusi perpetrati sulla nostra pelle e gli interessi economici che si giocano dietro alla costruzione di una “emergenza rom”; con l’occupazione di via Asti siamo stati noi per la prima volta a decidere la soluzione migliore in risposta allo sgombero senza alternative abitative di Lunga Stura Lazio, che ha rappresentato la nostra casa per quindici anni;
- la scelta di buttare in strada decine di uomini, donne e bambini perché sono rom è intrinsecamente razzista. Come altro spiegare che l’occupazione per scopi politici di via Asti durasse da sette mesi e sia stata sgomberata meno di due settimane dopo la nostra ri-occupazione per un bisogno reale? Responsabili sono tutte le istituzioni che governano questa città, le quali colpiscono chi è precario ma alza la testa ed esce dall’invisibilità per diventare soggetto ed autodeterminarsi. Continuano a colpire chi non vuole più dipendere da intermediari della carità o dell’assistenzialismo.
Chi si prende una casa e si afferma nello spazio pubblico.
Continueremo autonomamente a difendere la nostra dignità e la nostra volontà ad avere una casa come tutte le altre persone.
Chiediamo a tutt* i solidali che ci hanno sostenute/i in questi giorni di continuare a farlo.
Mercoledì sera era stato scelto un nome per la nostra nuova casa in via Asti. L’avevamo chiamata “Avion”, in romeno “aereo”, un volo di libertà.
Lo sgombero di oggi non ci ferma. Avion continuerà a volare.
Ex abitanti di Avion e solidali