Partiamo dal presupposto che lavorare per vivere è un oltraggio alla dignità della persona. Consideriamolo come un principio indiscutibile. Questo insulto si rende ancora più evidente quando timbriamo il cartellino non avendo facoltà e diritto di decidere di cosa e di come produrre. Su questo concetto si fonda la democrazia borghese e la società capitalista. Nostro compito e dovere morale è trovare delle strategie per ribaltare questo sistema e neutralizzare questa forma contemporanea di schiavitù. Nella società moderna ogni essere umano, dal momento in cui mette piede al mondo dovrebbe avere alcuni diritti universali che dovrebbero essere inalienabili: tra di questi il diritto alla salute e all’istruzione.
A quarant’anni dalla Riforma sanitaria 833/78, il profilo del SSN attualmente risulta essere fortemente in crisi di identità e sempre più condizionato da lobby affaristiche interessate ad una sua modifica istituzionale. Una modifica che parte dalla sua dimensione universalistica, considerata sempre meno compatibile con il profitto. Spinte, queste, le quali hanno già prodotto cambiamenti rilevanti e profondi nel funzionamento e nell’articolazione di questa istituzione, che trovano alimento ciclicamente soprattutto durante i periodi di crisi economica. La privatizzazione di ampi settori sanitari, inserita in una logica di progressivo abbandono dello Stato del suo ruolo di garante della protezione sociale collettiva, risulta sempre più evidente e voluta carente nella sua programmazione dei servizi offerti al cittadino. Il taglio progressivo del SSN, la riduzione sistematica di risorse umane e tecnologiche, dovuti ai tagli sul Fondo Sanitario, sta determinando un’implosione generalizzata dei servizi che si traduce di conseguenza in riduzione della possibilità di accesso alle cure per un numero sempre maggiore dei cittadini.
Quello cui stiamo assistendo, infatti, è un processo degenerato nel corso del tempo e che oggi si palesa in tutta la sua mostruosità: la conversione della salute in merce. Il business della salute è un affare di enorme livello. La modalità incestuosa del privato convenzionato, dove troppo spesso il pubblico stanzia risorse ed il privato trae profitti, ha mostrato il suo vero obiettivo finendo per essere occasione di lucro sul bene comune salute. Noi dobbiamo pensare ad un sistema diverso, dove tutto il privato convenzionato sia riconvertito e gestito direttamente, in maniera trasparente dal SSN, senza finanziare con soldi pubblici imprenditori e chiesa.
Clientelismo, corruzione e incompetenza hanno favorito l’esplosione di una crisi del sistema che non è più sopportabile. È necessario ripensare il servizio a partire dalle competenze e dai bisogni del territorio, mettendo insieme i saperi di chi lavora e le esigenze dei cittadini. La lotta delle lavoratrici e dei lavoratori del San Raffaele di Milano, per esempio, non fu solo la lotta per 244 posti di lavoro, ma è stata la battaglia dei cittadini contro la cancellazione del diritto alla salute, dei comitati per la difesa del bene pubblico, della politica che sa reagire ai vari Governi che ci vorrebbero tutti “garantiti” dalle assicurazioni.
Abbiamo sempre sostenuto che la salute non può essere un affare ed una merce: pertanto neanche le nostre coscienze possono essere mercanzie al servizio dello Stato, delle industrie farmaceutiche e del resto dell’apparato sanitario dominante. Quanto emerse dal convegno di Varsavia organizzato dalla Rete Europea Contro la Privatizzazione della Sanità nell’ottobre del 2013 ci dette un chiaro segnale di come fosse già stato preoccupante il livello di emergenza per la sanità in Europa. Le politiche di austerità attuate in maniera congiunta in tutti i paesi aderenti all’Unione Europea stavano portando ad una recessione generale con conseguenze di una gravità senza precedenti.
Il documento, scaturito dal convegno e condiviso da tutti i partecipanti, riaffermava un chiaro rifiuto dell’austerità sempre più forte e ben spesso irrevocabile. Riaffermava un netto rifiuto della privatizzazione e della mercificazione della sanità, della tassazione e del saccheggio della protezione sociale a causa delle multinazionali. Il nostro dissenso non era ed è solo per il recupero di un luogo di lavoro o di un ospedale privatizzato: crediamo sia necessaria un’altra idea di salute, un altro modello che apra la via allo sviluppo di un sistema di salute al margine del modello egemonico.
Questo è ciò che ogni cittadino dovrebbe perseguire: ambire ad un percorso che vada in tutt’altra direzione e che stia in relazione alla necessità di rompere definitivamente con il sistema statale classico e privato il quale ha drammaticamente fallito. Un sistema che non poteva altro che fallire in quanto non stava al servizio dei bisogni dei cittadini bensì all’interno di una logica disumana che mercifica il diritto alla salute.
Noi crediamo e vogliamo una sanità che sia in grado di valorizzare ed intervenire concretamente e dove poter praticare un’idea differente del diritto alla salute, coniugando un’attività concreta di intervento nel territorio con una battaglia politica più generale di trasformazione sociale. Un qualcosa di realmente consistente in cui l’attività svolge anche un ruolo di comunicazione e non di pura osservazione. Un tentativo di unire un concetto di cura e di prevenzione con la denuncia degli abusi di una sanità permeata di profitti, sempre più inaccessibili per i poveri, sempre più a misura di ricchi e assicurazioni private.
Il sistema sanitario non deve essere soltanto una risposta a dei problemi che hanno a che fare unicamente con le cure mediche o per riempire il vuoto lasciato dallo Stato. Le trasformazioni subite negli ultimi anni dal sistema sanitario hanno generato un servizio pubblico che, per far quadrare i conti, risponde alle logiche gestionali prima che alla domanda di salute. Per tutte queste ragioni noi siamo contrari e ci opporremo con ogni mezzo a questa riorganizzazione.
Il quadro appena descritto per quanto terribile non deve produrre rassegnazione. Oggi più che mai, occorre avere le idee chiare contro cosa e chi bisogna rivolgere la nostra attenzione. C’è l’esigenza urgente di ritrovare uno spirito di lotta, rendersi conto che le ingiustizie che vediamo tutti i giorni nei nostri luoghi di lavoro hanno una origine comune nei processi di mercificazione della salute. Processi che includono forme di sfruttamento selvaggio dei lavoratori soprattutto nei settori dell’assistenza.
Per opporsi non bastano le forme di resistenza e di ribellione individuale. Occorre dispiegare una rete di alleanze dove trovino spazio anche coloro che questa sanità la subiscono. Non è più tempo di inseguire la difesa dei piccoli interessi di lavoratori che si sentono più tutelati di altri. Si accetta di essere passivamente complici di chi sta distruggendo lo strumento base della solidarietà quando, invece, esiste la possibilità di opporsi in modo intelligente ma determinato. La carenza di sanità nel territorio, intesa come la garanzia di un servizio funzionante per i cittadini, se non viene offerta una cura adeguata alla popolazione produrrà inevitabilmente malessere ed uno stato di salute fortemente a rischio. I cittadini non devono e non possono più permettersi di delegare la propria salute alle istituzioni.
Detto e premesso questo, un dato di fatto allarmante è che sia nelle aziende sanitarie pubbliche sia nelle strutture private ci sono moltissimi lavoratori ed operatori sanitari i quali stanno vivendo una fortissima situazione di disagio emotivo e di stress, con effetti devastanti che vanno a compromettere dannosamente sulla propria salute e sui rapporti personali e relazionali. Le aziende ne sono perfettamente a conoscenza e del tutto consapevoli, in quanto i fattori stressogeni di varia natura di cui soffrono molti lavoratori sono provocati proprio dalle loro stesse politiche aziendali.
Le condizioni di lavoro e delle relazioni professionali e relazionali divengono sempre più scadenti e difficili in nome del profitto. Negli ospedali i piani di lavoro, i turni di guardia e di reperibilità sono oramai coperti con crescenti difficoltà e, una volta occupate le varie caselle, si incrociano le dita sperando che nessuno si ammali buttando all’aria il complicato puzzle che bisogna comporre ogni mese. Per gli operatori questo significa milioni di ore di straordinario non pagate, numero di turni notturni e festivi pro-capite in insopportabile crescita, fine settimana quasi sempre occupati tra guardie e reperibilità, difficoltà a poter godere perfino delle ferie maturate.
Oggi la sostenibilità organizzativa ed economica degli ospedali italiani si fonda su condizioni di sfruttamento dei professionisti, inconciliabilità tra lavoro e vita familiare e sociale, burnout e malattie stress correlate. Un degrado delle condizioni di lavoro ed una riduzione sempre più crescente dei diritti e delle tutele dei lavoratori che sono garantite da contratto, dando vita a modelli di produzione industriale impropri per un ospedale, dove non si avvitano bulloni ma si assistono persone.
Stiamo assistendo ad un intensificarsi di episodi gravissimi che vanno pesantemente a ledere la dignità ed i diritti fondamentali dei lavoratori. Stiamo parlando di quei lavoratori che quotidianamente svolgono il proprio compito onestamente nonostante le difficoltà legate ai continui tagli ed alla perenne mancanza di personale che producono turni massacranti. Le direzioni aziendali avrebbero il dovere morale e l’obbligo per ciò che rappresentano di iniziare a prendere in seria considerazione tutti quegli aspetti collegati direttamente ai rapporti dipendente/superiore, nonché di tutelare e garantire rispetto per ogni dipendente al di la del proprio profilo professionale.
La microrepressione che si vive costantemente nel luogo di lavoro è un fattore devastante. Di la delle lotte portate avanti in questi anni con tenacia, occorre essere convinti che il problema della sanità attualmente non possa più essere solo un problema dei lavoratori. L’annientamento della sanità pubblica oggi sta diventando un problema sociale, in quanto è in atto il tentativo di cancellare un diritto conquistato dai lavoratori con anni di lotte.
Ci sono momenti in cui diventa necessario alzare il tiro. Non è più tollerabile subire passivamente le volontà di uomini e donne dispotici che si arrogano il diritto di decidere sulle nostre vite. Qualche anno fa lottavamo per migliorare le condizioni di lavoro, oggi per ironia della sorte lottiamo per mantenere viva la condizione di sfruttati. Lottiamo per non perdere condizioni di lavoro che nel frattempo sono peggiorate.
L’autorganizzazione della forza lavoro è divenuta ormai più che necessaria, è l’unico percorso che permette ai lavoratori di decidere del proprio futuro. Durante il corso della propria vita ogni essere umano si trova costretto a vivere in molte gabbie, inconsapevolmente oppure no. La più pericolosa è il lavoro salariato: una nuova forma di schiavitù moderna dove uomini o donne violenti si arrogano il diritto di decidere sulla tua vita. La drammaticità della situazione sanitaria attuale va di pari passo con la necessità urgente di iniziare a costruire un serio percorso comune di lotta unitario al di la delle differenze che possono contraddistinguerci.
Corrado Lusi