L’altra notte, fra Natale e Santo Stefano, gli autogestiti del (C)SOA sono tornati a manifestare la loro viva presenza per le strade di Lugano, occupando temporaneamente e dimostrativamente gli spazi dello stabile ex-Caritas, da tempo lasciato vuoto dalla proprietà, la Fondazione Vanoni; quella stessa proprietà che il 30 maggio del ‘21 aveva denunciato (o era stata indotta a denunciare, chissà) l’occupazione della sede dismessa dell’ex-Istituto Vanoni da parte dei “molinari” con le conseguenze che tutti ancora ben ricordiamo.
Ora un altro luogo spoglio e fatiscente, per una notte, ha ospitato un evento festoso, con tanto di fuochi artificiali, frequentato da oltre 300 persone; naturalmente è subito ripartito il mantra dei moniti indignati, delle evocazioni della legalità calpestata, della proprietà privata non rispettata e chi più ne ha più ne metta.
Dal canto loro, gli autogestiti hanno diffuso un comunicato in cui, non senza ironia, rispondono al sindaco Foletti e alla sua nota esternazione “Chi vuol fare l’antagonista si arrangi!”, con la chiara affermazione “Altrimenti ci arrangiamo”. Perché, come affermano, “siamo ancora convint* che questa sia l’unica pratica credibile in grado di opporsi al desolante scenario di una città e di un cantone intolleranti ed elitari, in cui qualsiasi possibilità di autogestione dal basso continua ad essere controllata, cooptata e repressa.”
E ancora: “Lo abbiamo fatto e continueremo a farlo, con buona pace di chi ha riempito lo spazio mediatico con dichiarazioni faziose sull’estinzione del Molino e dell’autogestione. Continueremo a riprenderci gli spazi, gli edifici e i luoghi lasciati a deperire dalla speculazione edilizia di una città che pensa di affidarsi alla finanziarizzazione smart del bitcoin e della securizzazione preventiva.”
Sui modi in cui, ancora una volta, i media e i social riportano i fatti in questione non c’è ormai più da meravigliarsi: basterà andare, per esempio, al sito de “La Regione” e vedere quale immagine è stata scelta per darne conto (qualche coccio di piastrella), oppure si vada a leggere i ruggiti dei leoni da tastiera nello spazio dei commenti proposto, come d’abitudine, dal portale tio.
Insomma, qualsiasi cosa nasca spontaneamente, o organizzata “dal basso”, senza formulari, autorizzazioni, omologazioni, controlli dell’autorità, viene immediatamente etichettata negativamente, come bastasse una “santa reprimenda” a mettere tutto al proprio posto, pulito e in ordine.
Ma così non è, e fatalmente continuerà a non essere, piaccia o non piaccia. Anzi, la situazione, in questo modo non può che aggravarsi perché trattandosi di una questione sociale profonda e complessa, riflette i tempi che stiamo attraversando e che non sono certo tali da indurre all’ottimismo, a tutti i livelli. Dopo due anni di pandemia con la loro scia di disagi vissuti in particolare dalle fasce più giovani, siamo ora in pieno dentro una profonda crisi economica, che impoverisce chi già lo è, che aumenta a dismisura le differenze fra chi ha molto e chi ha poco (o nulla).
In questo contesto il mondo “giovanile” (lo chiamo così sapendo di generalizzare forse eccessivamente) si trova totalmente disorientato, senza punti di riferimento, né che voglia provare a dar vita a modalità politiche “alternative” (come l’autogestione) o, come suo pieno diritto, elaborare forme di “contestazione” dell’esistente (sul piano, ad esempio, della battaglia ambientale) né che semplicemente cerchi “spazi aggregativi” in cui poter vivere le proprie esperienze condividendole liberamente in un contesto non irrigimentato o preliminarmente delimitato da regole di “buon comportamento”. A maggior ragione quando a dettare queste presunte “regole” vi è un apparato di autorità (politica o poliziesca) che non ha francamente da insegnare granché né ai giovani né agli adulti.
Il fatto è che manca totalmente una volontà, non solo a livello cittadino ma ancor più a livello cantonale, di mettere in campo mezzi e forze esistenti per avviare e promuovere una riflessione profonda che consideri proprio la “condizione giovanile”come una realtà sociale fortemente diversificata; che tratti il disagio e gli smarrimenti come fattori da interpretare e non da giudicare, che non affastelli in sommarie categorizzazioni situazioni diverse, tutte meritevoli del massimo rispetto, anche nelle divergenze. Perché non provare a pensare, per una volta, che la “condizione giovanile” potrebbe essere trattata anche come una “risorsa”?
Spregio, bassa ironia, dileggio, verso chi non si allinea portano solo ad una società frantumata, incapace di crescere e progettare un futuro. Questo concerne non solo lo specifico capitolo del rapporto fra autorità e autogestione, ma anche, appunto, tutte quelle forme di aggregazione spontanea che sono un bisogno, non un trastullo da reprimere. Se i “famigerati” rave si organizzano segretamente e nascostamente in mezzo a boschi a mille metri, nel massimo del disagio ma a “distanza di sicurezza” per non allarmare apparati di controllo, una ragione ci sarà pure, e non ha a che vedere con la rozzamente evocata depravazione della gioventù.
Non si può pensare di perseguire un’idea di futuro fatto di ordine, silenzio e pulizia (o polizia). Da un tale disegno non può che nascere una società che francamente ha ben poco di democratico. Siamo ancora in tempo, forse, per pensarci.
Bruno Brughera