Una valutazione delle attuali misure del governo per quel che riguarda la scuola non può che prendere le mosse da due dati di realtà. Innanzitutto nel contesto italiano le risorse destinate alla formazione sono una quota del prodotto nazionale lordo decisamente più modesta rispetto a paesi di analoga rilevanza economica e negli ultimi decenni, vi è stata una riduzione di questa stessa quota. Siamo, insomma, in presenza di un capitalismo nazionale che non investe in ricerca e formazione e si tratta di questione ampiamente trattata sulle pagine di Umanità Nova che mi limito a ricordare. Inoltre l’epidemia da Covid è stata affrontata, per quel che riguarda la scuola, non agendo sulle ragioni strutturali del mediocre funzionamento della scuola stessa e del suo essere un luogo che favorisce la diffusione dell’epidemia ma con misure emergenziali sovente contraddittorie e, in ogni caso, assolutamente inadeguate. Per evitare equivoci, quanto affermo si riferisce al funzionamento della scuola nell’ambito delle attuali relazioni produttive e sociali senza nemmeno prendere, in questo scritto, in esame la possibilità di un superamento, che pure ritengo desiderabile e necessario, di queste stesse relazioni.
Se torniamo con la memoria alla prima metà del 2020 colpisce un fatto: le scuole vengono chiuse mentre è forte la pressione perché l’attività produttiva vada avanti il più possibile con l’effetto che si sviluppano, da una parte, mobilitazioni delle lavoratrici e dei lavoratori contro i rischi determinati dal dover lavorare senza adeguate protezioni in azienda e sui mezzi di trasporto e, dall’altra, mobilitazioni di studenti e genitori contro la chiusura della scuola. Su La Repubblica, il 12 marzo 2020 si può leggere “Emergenza coronavirus, la rabbia nelle fabbriche aperte. Scioperi spontanei: ‘Non siamo carne da macello’. Si moltiplicano proteste e scioperi per la sicurezza. Da ogni parte del Paese, intanto, arrivano segnalazioni di lavoratori che lamentano scarsa attenzione da parte dei datori e che di conseguenza incrociano le braccia. Alla Ast di Terni sono state indette otto ore di sciopero, a partire dalle 6 di domani, per ogni turno di lavoro per i diretti e per l’indotto, fino al terzo turno del 13 marzo compreso: la mossa delle Rsu e delle segreterie territoriali di Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Ugl e Usb, in segno di protesta per la mancata adozione da parte dell’azienda di misure ritenute ‘idonee’ per il contenimento del coronavirus. Alla Fincantieri di Marghera i sindacati confermano la protesta dettata dall’emergenza sicurezza. ‘Impossibile rispettare le regole – dicono all’Ansa tre carpentieri in sub appalto – non si può fare questo lavoro stando a distanza di un metro l’uno dall’altro sarebbe meglio chiudere tutto. Questo virus è un casino e non ci sentiamo protetti’.” Ciò mentre nella scuola si sviluppava una mobilitazione di genitori e studenti CONTRO la chiusura.
Mentre, insomma, è evidente che vi è una forte pressione padronale perché le attività produttive proseguano, mentre il blocco del commercio è parziale visto che restano aperti i supermercati, la scuola è considerata meno strettamente necessaria. Un anno dopo su Pressenza 14 marzo 2021 leggiamo nell’articolo “Torino: partecipata manifestazione di Priorità alla Scuola in p.zza Castello”: “La DAD non può assolutamente sostituire la didattica in presenza né è sufficiente; a dimostrarlo ci sono i dati sull’aumento dei disturbi psichiatrici nei ragazzi sotto i diciotto anni, le previsioni preoccupanti sui numeri della dispersione scolastica. C’è poi l’odiosa tendenza della didattica a distanza a danneggiare ulteriormente i ceti più poveri ed emarginati; se già i banchi non erano tutti uguali prima della pandemia, perché gli studenti di certi quartieri di Torino hanno un sesto delle probabilità di arrivare ad un diploma degli studenti dei quartieri migliori, le case sono ancora più diseguali per svariate ragioni, ad esempio la mancanza di dispositivi digitali, le connessioni insufficienti, la carenza di spazi fisici adeguati alle lezioni a distanza e di conoscenza per gestire le lezioni.”
Lo scontro fra fautori della chiusura della scuola durante l’epidemia, soprattutto lavoratrici e lavoratori ma non solo, e fautori delle scuole aperte è decisamente vivace con, di regola, i media schierati a sostegno della seconda componente. Nei fatti questa batracomiomachia è assolutamente funzionale al distrarre l’attenzione dalla necessità di agire sulla struttura della scuola: mancanza di personale, affollamento delle classi, trasporti pubblici con la conseguenza che ci si limita a misure emergenziali come l’assunzione dei cosiddetti precari Covid e che si arriva al 2022 sostanzialmente nella medesima situazione di due anni prima.
Che la situazione sia fuori controllo è reso evidente da un appello che non arriva da docenti, personale ATA, genitori, studenti ma proprio dallo stesso apparato che gestisce le scuole. All’inizio di gennaio circola infatti una lettera firmata da un numero rilevantissimo di dirigenti scolastici – e quando si ribella la guardia pretoriana vuole proprio dire che il limite è stato superato – e della quale vale la pena di rileggere alcuni brani:
“Noi dirigenti scolastici lanciamo un appello urgente per la ripresa delle lezioni a distanza per due settimane. Da due anni lavoriamo incessantemente per garantire un servizio scolastico gravemente provato dalla pandemia. Lo facciamo, insieme ai nostri collaboratori, alle segreterie, ai docenti, al personale ATA, spesso sopperendo alla mancanza delle più basilari condizioni strutturali e organizzative.
In un momento nel quale è necessaria almeno la minima sorveglianza delle classi (per non parlare della didattica, che risulterà in molti casi interrotta), non sapremo, privi di personale, come accogliere e vigilare su bambini e ragazzi. Altrettanta preoccupazione grava sulle probabili assenze del personale ATA. Ci troveremo nell’impossibilità di aprire i piccoli plessi e garantire la sicurezza e la vigilanza. Aggiungiamo, ma è cosa nota, che l’andamento del contagio con la nuova variante del virus colpisce come mai prima le fasce più giovani della popolazione, anche con conseguenze gravi, e che il distanziamento è una misura sulla carta, stanti le reali condizioni delle aule e la concentrazione degli studenti nelle sedi. Sappiamo che il virus si trasmette per aerosol e che l’ambiente classe è una condizione favorevolissima al contagio. A differenza delle precedenti ondate, già prima della sospensione natalizia abbiamo assistito ad un’elevata incidenza di contagi all’interno delle classi (alunni e docenti, anche se vaccinati).
A pochi giorni dall’inizio delle lezioni dopo la pausa natalizia, durante la quale non ci siamo mai fermati, stiamo assistendo con preoccupazione crescente all’escalation di assenze. Abbiamo personale sospeso perché non in regola con la vaccinazione obbligatoria e, ogni giorno di più, personale positivo al Covid, che non potrà prestare servizio e nemmeno potrà avere, nell’immediato, un sostituto. Si parla di numeri altissimi, mai visti prima. Ci rendiamo conto che sottovalutare la prevedibile ed enorme mancanza di personale determinerà insolubili problemi.”
Insomma, ciò che è evidente è il fatto che in questi due anni il governo si è mosso sulla base di un’invariante – il taglio delle risorse della formazione – e dell’invenzione di soluzioni abborracciate e contraddittorie. D’altro canto alle difficoltà precedenti si sono aggiunti sia i malati Covid sia la scelta di sospendere dal lavoro, imponendo decisioni gravissime quali il non riconoscimento dell’assegno alimentare usualmente previsto in questi casi ai sospesi in quanto non vaccinati.
Eppure il governo “tira dritto”, l’importante è aprire le scuole, dimostrare che problemi non ve ne sono o che, se ve ne sono, provvederà il Governo dei migliori e, con ardita elasticità, pochi giorni dopo decide che il Covid a scuola non è poi un gran problema. A questo punto sarebbe lecito domandarsi quali siano state le ragioni di un’inusitata durezza contro i non vaccinati se poi si è deciso che un positivo asintomatico al Covid può andare a scuola.
A questo proposito ritengo valga la pena di leggere parte di un comunicato stampa della CUB Scuola Università Ricerca a firma del Coordinatore Nazionale Natale Alfonso: “Corsi e… Correva l’anno 1986 quando le autorità sanitarie si accorsero che l’intera pianura padana beveva acqua all’erbicida. Non si pensi che i tecnici di allora non avessero lanciato svariati allarmi e infatti la legge prevedeva limiti severi, dettati dal principio di precauzione e dai dati scientifici, per i principali erbicidi allora in uso: atrazina, molinate e bentazone. Ma osservare le leggi avrebbe comportato che il governo attuasse azioni positive per cambiare seriamente la situazione.
Come si dice adesso il governo era chiamato ad agire in modo proattivo ma, evidentemente, era più facile e meno costoso fingere di occuparsene: fu così che per oltre due anni quel governo prorogò l’inosservanza dei limiti e infine, con un agile colpo di penna, l’allora ministro della salute, proattivamente, spostò alcune virgole e aggiustò qualche decimale moltiplicando per 10 il limite tollerato di atrazina, per 40 quello del molinate e per 165 quello del bentazone!
Così, per decreto, l’acqua che usciva dai rubinetti tornò potabile pur tra molte proteste e con strascichi legali che infine portarono alla proibizione dell’uso di atrazina nei campi.
… ricorsi. Quel ministro era destinato a fare scuola. Infatti il suo attuale collega che si occupa dell’istruzione – stanco di ripetere ai quattro venti che le scuole sono luoghi sicuri e di essere contraddetto da insegnanti, studenti, genitori e perfino dai presidi – ne ha seguito l’esempio e, noncurante del rischio di contagio, in linea con il nulla fatto fin qui in materia di sicurezza e prevenzione nelle scuole, ha prodotto il suo agile tratto di penna e ha deciso che chi è positivo al Covid ma non presenta sintomi potrà comunque recarsi a scuola. Ha poi deciso che in ogni classe vi potranno essere fino a 4 persone positive, prima di attivare qualunque misura di profilassi.
Da quale calcolo cabalistico sia uscito il numero 4 è un mistero che, speriamo, il CTS si degnerà di sciogliere: perché non 3 o 5 o anche l’intera classe? Questa nuova norma poi, in barba ai principi generali del diritto, agisce retroattivamente e così, magicamente, migliaia di classi in DAD e di persone in quarantena tornano da oggi in presenza, con l’effetto di far circolare ragazzi positivi al Covid in fasce d’età non vaccinabili o con percentuali di vaccinati bassissime. Poco importa che ciò significhi impedire ogni possibile azione di sorveglianza e tracciamento (screening & tracing) che, d’altra parte, in questi due anni non è mai stata realizzata…”.
In, provvisoria, sintesi, nel caso della scuola ma non solo, è evidente che la gestione dell’epidemia appare non come una lucida e coerente strategia ma come la risultante di pressioni contraddittorie fra gruppi di potere ed interessi: quello di far funzionare la produzione ad ogni costo, quello di soddisfare gli interessi delle imprese che producono vaccini, ecc., quelli delle diverse frazioni del ceto politico in senso lato con l’effetto che le scelte variano a seconda della contingenza oltre a quanto determina la situazione sanitaria ed anzi, sembrerebbe, a prescinderne.
Uno stato confusionale che può essere, anzi sicuramente è, funzionale a chi esercita il potere ma che d’altra parte ne determina una delegittimazione che può essere foriera dello sviluppo di un’opposizione sociale all’altezza della situazione.
Cosimo Scarinzi