Ricordando Aurora Failla

Il 6 aprile u.s., all’età di 73 anni (era nata a Siracusa il 3 dicembre 1951) ci ha lasciato Aurora Failla, figlia di Alfonso Failla e Amelia (Eufemia) Pastorello. Assieme a sua sorella gemella Gemma è cresciuta in una famiglia anarchica e antifascista, in un ambiente che nel corso dei decenni ha accolto e intrecciato rapporti con numerosi compagni provenienti dai luoghi più disparati di mezzo mondo per incontrare suo padre. Noto per la sua militanza anarchica, è stato perseguitato dal fascismo subendo anni di carcere e confino politico; riorganizzatore nel 1945, assieme ad altri compagni della sua generazione, del movimento anarchico italiano e attivo nella costituzione della Federazione Anarchica Italiana.

Sin da bambina Aurora ha conosciuto il mondo anarchico, quello della diaspora e quello delle nuove generazioni post liberazione dal fascismo, ascoltando storie di migranti, di esuli, di battaglie per la libertà e la solidarietà, raccogliendo e conservando nel suo cuore un patrimonio immenso di conoscenza.

Ricordava spesso, con gioia e commozione, la sua esperienza da bambina nella Colonia Maria Luisa Berneri a Ronchi di Massa, un luogo aperto e libero che accoglieva in estate bambini e bambine fra i sei e i dodici anni provenienti da tutta Italia e dall’estero figli di anarchici poveri: lì ha imparato il concetto di libertà e di solidarietà, l’integrazione tra i partecipanti, lo scambio di conoscenze, lo stesso piano di rapporti tra adulti e ragazzi. La Colonia è stata il frutto di una raccolta fondi tra anarchici di tutto il mondo, una esperienza unica durata fino alla metà degli anni Sessanta.

Aurora, giovanissima sedicenne, inizia la sua attività libertaria a Carrara, inizialmente nel gruppo FAGI (la Federazione anarchica giovanile italiana) e poi nella FAI. Nel 1971, in occasione del X congresso della Federazione, conosce Paolo Finzi, che sarà poi il suo compagno per una vita. Con Paolo Finzi, a Milano, fa parte della redazione di A-Rivista anarchica e del gruppo Bandiera Nera, saranno Paolo e Aurora a gestire la rivista per diversi decenni, fino alla chiusura dell’iniziativa a seguito della tragica morte di Paolo nel 2020. Di lei ricordiamo anche le molte iniziative, assieme a Paolo, di solidarietà concreta verso gli ultimi, verso i carcerati e un lungo rapporto umano col popolo Rom.

Negli ultimi tempi gli eventi patiti hanno contribuito a peggiorare la sua malattia ponendo fine alle sofferenze, ma tutti la ricordiamo come è sempre stata: scherzosa, allegra e sempre sorridente nelle più svariate iniziative politiche ed in ogni Primo Maggio nella sede di Viale Monza a Milano.

Franco Schirone

 

Ancora un ricordo di Aurora

Paolo Finzi e la sua compagna Aurora Failla sono stati due amici fraterni, persone importanti per me e per la mia famiglia. Faccio ancora fatica, a quasi cinque anni di distanza, a diluire il dolore per la scomparsa così triste e sconvolgente di Paolo che all’improvviso mi giunge via whatsapp la notizia che anche Aurora se n’è andata. Avevo saputo che le sue condizioni si erano aggravate già da giorni.
Ho conosciuto Aurora a una riunione della redazione di A/Rivista Anarchica, dicembre 1983, poco prima di Natale. Qualche settimana prima era arrivata a casa mia una lettera di Paolo: aveva letto delle cose scritte da me su Rockerilla, allora la rivista musicale più diffusa ed influente. Quello che scrivevo lo aveva incuriosito, e mi invitava a Milano perché voleva conoscermi. Io ero solo un fanzinaro che ascoltava preferibilmente anarcopunk, uno che frequentava dalla nascita periferie ed emarginazione. Compravo abbastanza regolarmente la A/Rivista già da qualche anno, la vedevo in vetrina quando a Venezia sulla strada verso l’università passavo davanti a Utopia2, libreria anarchica per me diventata presto un riparo dal resto del mondo e una fonte di notizie e informazioni importantissima. Tanti punk e parecchi dei miei compagni invece non la leggevano perché non gliene fregava niente: dai punk più intransigenti era addirittura considerata “un organo di propaganda degli anarchici tradizionalisti”, frase che non sono davvero mai riuscito a tradurre in un qualchecosa a me comprensibile. A me la A/Rivista piaceva: pubblicava sì ogni tanto delle cose impenetrabili, ma per il resto era chiara e diretta, mi faceva riflettere e spesso ne traevo ispirazione. Mi chiedevano di collaborare? Proprio a me? Si stava avverando un sogno.

Prendo il treno e mi presento puntuale per una riunione di redazione in via Rovetta: sapevo per esperienza diretta che gli sbandati come me erano generalmente malvisti e i loro ragionamenti sgraditi, così decido di sedermi in fondo e osservare in silenzio cosa succede a quella riunione. L’assemblea prosegue per un paio d’ore senza attriti: c’è chi propone un articolo, chi segnala un libro, chi si offre di intervistare qualcuno, c’è anche chi non è d’accordo col tono e col contenuto di una lettera arrivata in redazione e vorrebbe replicare. Insomma, in quella stanza si respirava quel misto curioso di informalità e di agitazione tipico delle nostre assemblee fanzinare sotterranee, solo che qui si discuteva di cose concrete e si trovavano delle soluzioni quando noi spesso ci si accontentava di galleggiare e di tenere i problemi, quelli veri, alla larga. A un certo punto decidono di interrompere la riunione per andare a mangiare alla trattoria che c’è al piano di sotto. Mentre si alzano per rimettere a posto le sedie, una compagna sbotta: “Ma quello stronzo di Marco Pandin, aveva detto che sarebbe venuto e invece ci ha tirato un bidone!”. Alzo la mano e mi presento: “Eccomi, sono io lo stronzo”. Quella compagna era Aurora. Ci abbracciamo subito, lei molto sorridente e affettuosa ma che comunque continua a rimproverarmi tutto il giorno per quel mio silenzio.

A tavola, e poi ancora nel pomeriggio di nuovo in sede, parliamo a lungo con lei e Paolo e gli altri, e gli spiego il mio sogno: avrei voluto accendere una qualche curiosità reciproca, provare a far incontrare chi suona e chi ragiona, e magari far collidere la musica e le idee. Alla riunione oltre a Paolo ed Aurora c’erano Franco Pasello, Luciano Lanza, Fausta Bizzozzero, Maria Teresa Romiti ed altre ed altri di cui onestamente non ricordo il nome. Compagne e compagni anarchici tutti più vecchi di me che con i miei giri fatti di sbando ed emarginazione non avevano nulla a che fare, ma che si mostravano curiosi di me in una maniera che mi metteva a mio agio, aperti ai miei ragionamenti bislacchi e contorti, rispettosi del mio modo di leggere le cose senza avere quel minimo sindacale di infarinatura storica, del mio sbattermi fra dischi, fanzine, chitarre e periferie. Erano tutti più cauti nei confronti del mondo e con esperienze dirette di repressione ben più consistenti della mia e di quella dei miei amici: noi avevamo una storia breve di concerti, raduni e sassaiole, loro invece un’esperienza pesante di perquisizioni pretestuose basate sul nulla e minacce di questura, quando non fossero accuse infamanti per attentati mai commessi.
Ho imparato molto presto ad amare quelle compagne e quei compagni. Ho collaborato costantemente con la A/Rivista Anarchica da allora fino all’ultima uscita dell’estate 2020 – 37 anni. C’ero anch’io a Napoli al concerto di Fabrizio de Andrè a sostegno di A/Rivista Anarchica e Umanità Nova e, anche se di striscio e solo per due giorni, al Convegno Internazionale di Venezia. Ho partecipato a tanti incontri, iniziative, dibattiti, concerti, cene collettive e feste. Ho manifestato con l’A cerchiata addosso ogni volta che ho potuto e, senza che nessuno vedesse, mi sono disperato quando non potevo esserci.
Il rapporto di collaborazione con la A/Rivista Anarchica si è molto presto trasformato in un’amicizia profonda e sincera. Paolo e Aurora sono presto venuti a conoscere i miei genitori, sono venuti spesso a casa mia e mi hanno spesso ospitato a casa loro. In una parola, mi sono sempre stati vicini, oltre che tanta musica nella mia vita ho avuto tanti e tanti casini. Paolo sempre così solido e riflessivo, riusciva a mettere pace in mezzo alle mie onde più alte. Aurora sempre affettuosa, morbida e materna: quante volte mi ha sfamato, e quante volte l’ho accompagnata a fare la spesa e le ho portato le borse. Quante volte ha lasciato perdere i suoi solitari e sospeso i suoi lavori di casa per darmi attenzione e suggerimenti, senza mai giudicare né pretendere niente in contraccambio. Quante volte abbiamo riso insieme delle cose più buffe e di quelle più stupide, fino alle lacrime.
La scomparsa di Paolo, la chiusura della A/Rivista e l’aggravarsi improvviso della sua salute ci hanno allontanato. Quando sono andato a trovarla l’anno scorso, mi ha sorpreso e commosso che mi abbia riconosciuto subito, lei travolta da quella malattia spietata che le riempiva la memoria di buchi, e si sia messa a ridere ricordando proprio quel nostro primo incontro in redazione avvenuto oltre quarant’anni fa. E ricordasse chiaramente quel giovinastro stronzo che sembrava avesse tirato un bidone a lei, a Paolo e a tutti gli altri, e invece no.

Marco Pandin

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