L’Inquieta Attitudine. Camillo Berneri e la Vicenda Politica dell’Anarchismo in Italia. Terzo libro: “Nei Primi Anni Venti su Rivoluzione Russa e Dintorni“. Edizioni Kronstadt (1 copia 6 euro; 5 copie 25 euro; 10 copie 40 euro) Per richiedere il libro scrivere a: sclaudio65@gmail.com.
Negli anni 1921 e 1922, l’anarchismo italiano si trova di fronte all’offensiva squadristica del fascismo, mentre sullo sfondo stanno progressivamente tramontando le grandi speranze che la rivoluzione russa aveva suscitato. Il manganello fascista e la consapevolezza del carattere sempre più dispotico del regime bolscevico determinano un significativo cambio di fase rispetto al precedente biennio rosso e rossonero, 1919-1920.[1] Camillo Berneri, ancora giovane ma non più ragazzo,[2] sta dentro questo passaggio di fase con ancora molto entusiasmo idealistico dell’età giovanile ma, anche, con quello spiccato senso critico e quella vocazione alla concretezza che caratterizzano intrinsecamente la sua personalità politica.
Egli vive in questo periodo una serie di esperienze formative, sia sul piano pratico sia su quello intellettuale: dagli importanti episodi della prima lotta antifascista nella città di Firenze, alla collaborazione sempre più importante al quotidiano anarchico Umanità Nova; dal confronto politico diretto con la guida spirituale dell’anarchismo italiano, Errico Malatesta, al rapporto intellettuale – sempre più importante – col suo professore di Università, il liberal-socialista Gaetano Salvemini. Dentro a tutti questi stimoli, importanti e formativi, un posto fondamentale lo ha però lo studio, che Berneri fa in questi primi anni venti sulla rivoluzione russa, sulle sue premesse storico-sociali, sui meccanismi della sua degenerazione autoritaria. È su questo aspetto che, prevalentemente, è concentrato questo terzo libro de L’Inquieta Attitudine.[3]
Gli scritti berneriani dei primi anni Venti si collocano in una posizione peculiare nel quadro della critica anarchica italiana al regime bolscevico. Essi si caratterizzano per uno sforzo particolarmente pronunciato a distinguere i fattori storici generali che hanno favorito l’evoluzione autoritaria della rivoluzione russa dall’impronta dispotica soggettiva data dai bolscevichi. Il punto di vista di Berneri sulle vicende russe fa centro sulla questione agrario-contadina, con un approccio scientifico fatto di cifre, dati, riferimenti a studi specifici, comparazioni, approfondimento retrospettivo di alcuni problemi economico-sociali. È un approccio questo che risulta abbastanza raro nel panorama delle correnti rivoluzionarie di quel periodo. In definitiva lo sforzo berneriano fu tutto proteso a cercare quel difficile equilibrio tra “occhio storico” e “occhio politico” sulle vicende russe,[4] che permettesse di dare solide basi alla critica anarchica del bolscevismo e di calare i principi libertari nel concreto dei processi storici.
Credo che non sia retorico affermare che la precoce critica berneriana al regime bolscevico ben regge agli urti del tempo ed alle contemporanee acquisizioni della storiografia. Oggi, la storiografia è decisamente liberata da quei soffocanti condizionamenti che hanno agito almeno fino al 1989. Oggi, non solo il blocco sovietico non esiste più, sgretolato in un soffio dalle proprie contraddizioni ma, allo stesso tempo, gli strumenti messi a disposizione dagli archivi ex-sovietici rendono più solide certe valutazioni.
Come scrive lo studioso libertario Daniele Ratti: “Solo negli ultimi decenni, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, siamo in possesso di dati, elaborazioni, che ci consentono un’analisi ponderata sulla realtà dell’URSS. La fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino ci valutazioni non più condizionate da vecchi miti, che tuttavia (…) non sono ancora sfatati. L’esperienza sovietica è la cifra esatta della distanza, talvolta incolmabile, tra storia percepita e storia concreta…”.[5]
È proprio in questo contesto che può trovare la massima valorizzazione il tentativo berneriano di leggere i grandi avvenimenti storici senza eludere la categoria storica della “necessità” ma, allo stesso tempo, senza fare della Storia la notte in cui tutti i gatti sono bigi.
Claudio Strambi
NOTE
[1] “Biennio rosso e rossonero”: espressione usata da Paul Ginzburg per indicare, nel biennio 1919-1920, un periodo caratterizzato, non solo dal protagonismo di forze rivoluzionarie interne al Partito Socialista ma anche dell’universo anarchico e sindacalista-rivoluzionario (vedi l’intervento di Paul Ginzburg in I Due Bienni Rossi del Novecento 1919-1920 e 1968-1969. Studi e Interpretazioni a Confronto, Ediesse, Roma, 2006, pag. 17). Quella stessa definizione ho personalmente adottato come sottotitolo nel Secondo Libro de L’Inquieta Attitudine”, stampato nel 2017.
[2] Berneri, nel periodo di cui stiamo parlando, ha tra i 24 e i 25 anni.
[3] Questo terzo libro comprende anche una lunga appendice che analizza gli importanti scritti di Berneri sulle lotte anticoloniali e di indipendenza nazionale nell’ambito dell’impero britannico.
[4] Espressioni usate da Berneri in “A Proposito delle Nostre Critiche al Bolscevismo”, in Umanità Nova, anno III, n. 130, 4/6/1922.
[5] Vedi Postfazione di Daniele Ratti a Emma Goldman. Un Sogno Infranto. Russia 1917, ZIC, Milano, 2017.