“Razionalità” o rivolta

Si sta concludendo il percorso che porterà all’approvazione della legge di Bilancio 2020, e di gran parte delle misure connesse.
In queste settimane si è parlato di tante cose, di evasione fiscale, del meccanismo europeo di stabilità, delle procedure di approvazione del bilancio; allo stesso modo nello stesso tempo misure propagandate come grandi novità sono state cassate, poi reintrodotte e infine “modulate”. L’unica cosa su cui non si discute è il taglio del cuneo fiscale, sulla cui attuazione convergono evidentemente maggioranza ed opposizione.
Ma vediamo in dettaglio che cosa ci ha riservato il teatrino parlamentare in queste settimane.

L’evasione fiscale
L’evasione fiscale è uno degli argomenti su cui maggioranza e opposizione hanno insistito, al punto che ne ha parlato lo stesso presidente della repubblica, Sergio Mattarella, in occasione di un incontro con gli studenti di alcune scuole secondarie di secondo grado. Mattarella si è spinto ad affermare che se l’evasione scomparisse, “le possibilità di aumentare pensioni, di aumentare stipendi, di abbassare le tasse per chi le paga, e così via, sarebbero di molto aumentate”.
Quello che il presidente non dice, è non potrebbe dire se non negando il suo ruolo, è che la tassazione sui consumi, l’IVA, incide pesantemente sulla possibilità di entrare in possesso dei beni e servizi necessari da parte delle classi sfruttate. Se quindi la riduzione dell’evasione fiscale può mettere maggiori risorse a disposizione degli stipendi e delle pensioni dei dipendenti pubblici, questo avviene a scapito dei consumi dell’insieme del proletariato. La dinamica del reddito proletario è determinata da una parte, dal miglioramento del tenore di vita delle classi popolari e, dall’altro, dai rapporti di forza tra classe operaia e capitalisti. Un miglioramento del tenore di vita delle classi popolari è quindi inseparabile dalla crescita della combattività e dell’autonomia del movimento operaio, che con la questione dell’evasione fiscale c’entra come i cavoli a merenda.
In particolare Mattarella dovrebbe sapere che la lotta all’evasione mostra una crescita negli ultimi anni fino ad arrivare a quasi venti miliardi di euro per l’ultimo anno disponibile. Agli studenti andrebbe detto che il dissesto della scuola, come degli altri servizi pubblici che gravano sull’erario, non è causato dalla crescita dell’evasione, ma dalla crescita delle spese militari e dai contributi al Meccanismo Europeo di Stabilità, che da solo assorbe circa 20 miliardi di euro ogni anno. Dal presidente della repubblica infine non ci si poteva aspettare una presa di posizione nei confronti dei grandi evasori fiscali: si fa un gran parlare del salumiere o dell’idraulico, del dentista o del professore, ma neanche una parola viene spesa nei confronti della Chiesa e della NATO.

Il MES
In un articolo pubblicato sul Manifesto, Marco Bersani illustra il Meccanismo Europeo di Stabilità e spiega la polemica surreale delle ultime settimane. Il MES entra in vigore nel 2012, dopo una lunga trattativa, ed è l’evoluzione di precedenti strumenti messi in campo dai governi per tutelare l’unione monetaria dai contraccolpi della crisi finanziaria del 2008. Bersani non dice che la ratifica del trattato da parte dell’Italia fu una delle cause che portarono alla congiura di palazzo che rovesciò l’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi. Nonostante ciò, tutte le forze politiche hanno condiviso la scelta del meccanismo, anche quelle che oggi si scandalizzano.
Il MES è già scattato in soccorso di stati in difficoltà: Irlanda, Portogallo, Cipro e Grecia sono già stati oggetto della cura MES, il governi che hanno chiesto il suo aiuto hanno dovuto sottoscrivere un memorandum, in cui si impegna a realizzare riforme che riducano il costo del lavoro (cioè i salari), tagliano la spesa pubblica e privatizzino la produzione e i servizi. La riforma del meccanismo in discussione ne accentua il carattere di istituzione privata, riducendo la discrezione degli organismi politici, ed estendendo il campo d’azione al settore bancario.
La polemica sul MES che si è sviluppata in Italia in queste settimane non mette in discussione l’impianto del meccanismo. Punta a sfruttare l’odio popolare nei confronti di un’Europa finanziaria e autoritaria per vantaggi politici immediati, nei rapporti tra maggioranza e opposizione e all’interno dei partiti, nei confronti delle frazioni più antieuropeiste.
Quello che Bersani non dice è che il MES stesso genera deficit e debito, imponendo ai paesi membri un contributo annuale che per l’Italia si aggira sui 20 miliardi di euro. D’altra parte l’alternativa all’austerità non è una politica di investimenti, che siano verdi o meno: aumentare la quota del reddito nazionale agli investimenti si può fare solo riducendo la quota destinata ai consumi; finanziare questa operazione a debito significa solo rinviare e diluire nel tempo il taglio dei consumi. Austerità e investimenti sono due facce della stessa medaglia, il rilancio dell’accumulazione capitalistica.

La sessione di bilancio
La sessione di bilancio un esempio di applicazione della teoria della scelta pubblica. La limitazione della sessione di bilancio ad un solo ramo del parlamento (quest’anno tocca al senato) è un altro passaggio del processo che porta ad una maggiore indipendenza dei governi nelle scelte economiche e finanziarie. L’ideologia, la teoria della scelta pubblica, che giustifica questo processo parte dalla crisi finanziaria degli stati e ne dà una lettura sintomatica: poiché le scelte dei vari attori coinvolti (elettori, eletti, burocrati) sono legate a passioni ed interessi personali, è necessario che la razionalità del sistema si imponga a priori (costituzionalismo fiscale, fiscal compact) e che sia il governo a dettare le linee della pianificazione economica e finanziaria, linee alle quali gli organismi rappresentativi si devono adeguare. Corollario di questo processo è la formazione soliste di candidati bloccate, e nelle quali le possibilità di scelta da parte dell’elettorato è ridotta a zero.
Ci troviamo di fronte ad un meccanismo autoritario che stravolge i presupposti del liberalismo, che trovava proprio nel controllo dei governi da parte dei rappresentanti del popolo la propria ragion d’essere, e negli scontri sul bilancio statale l’occasione per porre limiti crescenti al potere dei regimi assolutista. I presupposti e i metodi di indagine della teoria della scelta pubblica portano a nascondere le cause profonde della crisi finanziaria degli stati contemporanei. Questa crisi è causata in primo luogo dalle spese per le guerre e gli armamenti, finanziate sempre a debito, e dall’iniquità del sistema fiscale, che pesa molto di più sui ceti popolari che sulle classi privilegiate. La razionalità a cui fanno riferimento gli ideologi non è altro che l’accumulazione capitalistica. L’economia politica ne dà una sistemazione scientifica, e per questo è stata definita la religione della società borghese. Di fronte a questa razionalità le aspirazioni ad una società più giusta e più libera, quindi più razionale, non possono che essere annoverate tra le “passioni”; allo stesso modo le aspirazioni dei miliardi di salariati che compongono la maggioranza della popolazione mondiale non possono che essere rappresentate come “interessi individuali”, a fronte della logica del sistema, che esprime gli interessi individuali di una minoranza privilegiata sempre più ristretta.

Tiziano Antonelli

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