Dieci euro al litro! Non è il prezzo di una buona bottiglia di vino ma quello di un noto erbicida, il Roundup nella formulazione “platinum”. Con cinque litri ottenete un diserbo totale su un ettaro di terreno. Da qualche anno è, forse, il più conosciuto erbicida perché la Monsanto ha brevettato la ”soia Roundup ready”, un OGM che, come caratteristica, ha proprio quella di essere resistente al potente erbicida, caratteristica che permette alla leguminosa di crescere senza essere “ostacolata” da altre specie vegetali.
Roundup è in realtà il nome commerciale, mentre il principio attivo si chiama gliphosate. Ce ne occupiamo perché in questi giorni la commissione dell’europarlamento decide se rinnovarne o meno l’autorizzazione (l’attuale scade a giugno). Le posizioni non sono omogenee anche tra gli stati membri, probabilmente arriveranno ad un compromesso: un’autorizzazione valida per 7 anni invece che 15, come di norma avviene, con l’impiego limitato all’uso professionale.
Roundup è un diserbante fogliare, sistemico, non selettivo. Fogliare, perché viene assorbito dalle parti verdi della pianta. Sistemico, poiché una volta penetrato, si muove verso i punti di attiva crescita (meristemi), causando la morte della pianta fin dalle sue radici più profonde. Non selettivo, poiché esso distrugge ogni organismo vegetale. Il principio attivo agisce su un enzima, presente solamente nel regno vegetale, bloccando la sintesi di tre amminoacidi essenziali.
Si potrebbe affrontare l’argomento da più punti di vista, voglio privilegiare quello centrato su un approccio critico che dovrebbe sempre guidarci, anche di fronte ai dati scientifici. Il sapere scientifico è dinamico, le verità di oggi saranno messe in discussione dalle scoperte di domani, ed è limitato non solo dalle capacità intellettuali umane, piuttosto che dagli strumenti tecnologici, ma anche da chi finanzia la ricerca, da chi la realizza, da chi interpreta i dati. Il beneficio del dubbio ci può aiutare a capire meglio le questioni con cui ci confrontiamo, non condizionati dalla logica del complottismo a tutti i costi, ma neppure relegati nel ruolo di massa di manovra lobotomizzata.
Nel caso gliphosate la questione è ancora più sorprendente visto che si sono espresse, giungendo a conclusioni differenti, agenzie che in teoria non dovrebbero rispondere ad altro interesse che quello del bene degli esseri umani; mi riferisco alla IARC (International Agency for Research on Cancer) e all’EFSA (European Food Safety Authority).
Il 20 marzo 2015, la IARC, emanazione del WHO (World Health Organization – Organizzazione Mondiale della Sanità), ha annunciato di aver classificato il gliphosate come “cancerogeno probabile” (*).
La classificazione “cancerogeno probabile per l’uomo” è la categoria (2A) al di sotto della quale vi sono altre tre categorie che vanno da “cancerogeno possibile” (2B), ”inclassificabile circa la cancerogenicità per l’uomo” (3), “probabilmente non cancerogeno” (4). Siamo dunque a livello di non certezza ma solo un gradino sotto la categoria (1) in cui la “cancerogenicità è certa per l’uomo”.
Questa notizia ha ovviamente scatenato le polemiche, rinfocolate dalla relazione con cui, nel novembre 2015, l’EFSA ha espresso un parere opposto. Per inciso, in un ANSA, del 15 maggio scorso, si legge che la stessa OMS insieme alla FAO, chiamate a valutare periodicamente la pericolosità dei fitofarmaci, Panel of Experts on Pesticide Residues in Food and the Environment, hanno prodotto un documento (che non ho letto) in cui si sostiene che la sostanza non sarebbe pericolosa, come si può estrapolare dall’affermazione: “È improbabile che l’assunzione di glifosato attraverso la dieta sia cancerogena per l’uomo”.
Ma ritorniamo alla divergenza nelle conclusioni tra le due agenzie al centro della discussione, com’è possibile che si giunga a sostenere ipotesi differenti partendo dall’analisi di lavori scientifici riconosciuti a livello internazionale? Sulle pagine web potete trovare decine e decine di commenti sul “perché e sul percome”, io ho deciso di citare le spiegazioni della stessa EFSA che mi paiono, a loro modo, illuminanti.
Riporto testualmente dal sito dell’EFSA (**)
Il rapporto IARC ha valutato sia il glifosato – sostanza attiva – sia i formulati a base di glifosato, raggruppandoli tutti senza tener conto della loro composizione. La valutazione UE, invece, ha considerato solo il glifosato. Gli Stati membri hanno il compito di valutare ogni prodotto fitosanitario commercializzato sui propri territori.
Questo perché l’Unione europea e IARC adottano approcci diversi alla classificazione delle sostanze chimiche. Il sistema UE valuta individualmente ogni sostanza chimica e ogni miscela commercializzata, mentre l’IARC valuta agenti generici, compresi i gruppi di sostanze chimiche correlate, e anche l’esposizione professionale o ambientale, nonché le prassi culturali o comportamentali.
Ciò è importante perché, anche se alcuni studi indicano che determinati formulati a base di glifosato potrebbero essere genotossici (cioè dannosi per il DNA), altri studi che considerano solo il principio attivo glifosato non evidenziano tale effetto. È quindi probabile che gli effetti genotossici osservati in alcuni formulati a base di glifosato siano collegati agli altri componenti o “coformulanti”. Analogamente, alcuni pesticidi a base di glifosato mostrano una tossicità superiore a quella del principio attivo, presumibilmente a causa della presenza dei coformulanti. Nella propria valutazione l’EFSA propone che la tossicità di ciascun formulato e particolarmente il suo potenziale genotossico vengano ulteriormente studiati e trattati dalle autorità degli Stati membri. Questa distinzione tra sostanza attiva e formulato a base di pesticidi spiega sostanzialmente le differenze nel modo in cui EFSA e IARC hanno soppesato i dati disponibili.
Come dire: noi (EFSA) valutiamo il principio attivo e per noi il gliphosate non determina cancerogenesi; poi sarà compito dei singoli stati membri verificare gli effetti dello stesso una volta mischiato con i coformulanti con cui viene commercializzato…. e, quindi, per la valutazione UE gli studi condotti con il glifosato erano più pertinenti degli studi condotti con formulati contenenti altri componenti.
Per fornirvi un’altra prospettiva con cui analizzare il problema, sintetizzo i risultati di un altro rapporto, quello realizzato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale): “Rapporto nazionale pesticidi nelle acque” (***). Qui troviamo risultati del monitoraggio, realizzato dalle regioni, delle acque interne superficiali e sotterranee al fine di rilevare eventuali effetti derivanti dall’uso dei pesticidi, non previsti nella fase di autorizzazione e non adeguatamente controllati nella fase di utilizzo.
Il monitoraggio dei pesticidi nelle acque è reso complesso dal grande numero di sostanze utilizzate e dall’estensione delle aree interessate. In Italia, solo in agricoltura si utilizzano circa 130.000 tonnellate l’anno di prodotti fitosanitari [ISTAT, 2014], che contengono circa 400 sostanze diverse.
Il più recente rapporto, pubblicato nel 2015, contiene i dati delle indagini svolte nel biennio 2013-2014 sulla presenza di pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee, in termini di frequenza di ritrovamento e distribuzione dei valori delle concentrazioni. Le concentrazioni misurate sono confrontate con i limiti di qualità ambientale stabiliti a livello europeo e nazionale: gli Standard di Qualità Ambientale (SQA) per le acque superficiali [Dir.2008/105/CE, D.Lgs. 152/2006], le norme di qualità ambientale per la protezione delle acque sotterranee [Dir. 2006/118/CE]. Per le acque sotterranee, i limiti sono uguali a quelli per l’acqua potabile, pari a 0,1 μg/l e 0,5 μg/l, rispettivamente per la singola sostanza e per i pesticidi totali. Per le acque superficiali, invece, sono stabiliti in base alla tossicità delle sostanze per gli organismi acquatici.
La valutazione di rischio nello schema tradizionale considera gli effetti delle singole sostanze, e non tiene conto dei possibili effetti delle miscele presenti nell’ambiente è plausibile quindi che il rischio derivante dalle sostanze chimiche sia attualmente sotto stimato. Nel biennio 2013-2014 sono stati analizzati 29.220 campioni per un totale di 1.351.718 misure analitiche, con un aumento rispettivamente del 4,3% e del 11,8% nei confronti del biennio precedente.
La copertura del territorio nazionale, tuttavia, è ancora largamente incompleta, soprattutto per quanto riguarda le regioni centro-meridionali, due regioni (Molise e Calabria) non hanno inviato nessun dato per le acque superficiali, mentre per le acque sotterranee, non si hanno i dati di cinque regioni.
Nelle acque superficiali sono stati trovati pesticidi nel 63,9% dei 1.284 punti di monitoraggio controllati (nel 2012 la percentuale era 56,9). Nelle acque sotterranee sono risultati contaminati il 31,7% dei 2.463 punti (31% nel 2012). Le concentrazioni misurate sono in genere frazioni di μg/L (parti per miliardo) valori piuttosto bassi anche se bisogna ricordare che gli effetti nocivi delle sostanze si possono manifestare anche a concentrazioni minime. Nel complesso è evidente una diffusa contaminazione sul territorio nazionale con picchi di oltre il 70% dei punti delle acque superficiali in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, con punte del 90% in Toscana e del 95% in Umbria. Nelle acque sotterrane la diffusione della contaminazione è particolarmente elevata in Lombardia 50% dei punti, in Friuli 68,6%, in Sicilia 76%.
Dove sono state effettuate le analisi sono state trovate ben 224 sostanze diverse, un numero sensibilmente più elevato degli anni precedenti (erano 175 nel 2012) dato probabilmente legato ad una maggiore efficacia complessiva delle indagini. Gli erbicidi sono ancora le sostanze più rinvenute, soprattutto a causa dell’utilizzo diretto sul suolo. Nelle acque superficiali, 274 punti di monitoraggio (21,3% del totale) hanno concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali. Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono: gliphosate e il suo metabolita AMPA, metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina e il suo principale metabolita, desetil-terbutilazina. Nelle acque sotterranee, 170 punti (6,9% del totale) hanno concentrazioni superiori ai limiti. Le sostanze più frequentemente rinvenute sopra il limite sono: bentazone, metalaxil, terbutilazina e desetil-terbutilazina, atrazina e atrazina-desetil, oxadixil, imidacloprid, oxadiazon, bromacile, 2,6-diclorobenzammide, metolaclor.
Nonostante i dati ISTAT indichino una sensibile diminuzione delle vendite di prodotti fitosanitari nel periodo 2001-2014, da 147.771 a 129.977 tonnellate/anno (-12%), nel biennio 2013-2014, ancora più che in passato, sono state trovate miscele di sostanze nelle acque. Con un numero medio di 4 sostanze e un massimo di 48 sostanze in un singolo campione. A questo proposito si deve sottolineare che la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del suo componente più tossico, pertanto l’uomo e gli altri organismi sono spesso esposti a miscele di sostanze chimiche, di cui a priori non si conosce la composizione, per cui lo schema di valutazione basato sulla singola sostanza non è adeguato. Secondo ISPRA, è necessario prendere atto di queste evidenze, confermate a livello mondiale, con un approccio più cautelativo in fase di autorizzazione. Inoltre c’è la necessità di un aggiornamento continuo per tenere conto delle sostanze nuove immesse sul mercato. Circa 100 di quelle attualmente in uso non sono incluse nei programmi di monitoraggio, molte di queste sono classificate pericolose per l’uomo e per l’ambiente.
Il monitoraggio è finalizzato al controllo della qualità delle acque da un punto di vista della protezione dell’ambiente, e non relativo allo stato di qualità delle acque destinate al consumo umano. I limiti stabiliti per le acque potabili, tuttavia, è bene ricordarlo, sono anche limiti autorizzativi per l’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, che nelle prove in campo e nelle valutazioni modellistiche non devono lasciare residui in acqua superiori ai livelli stabiliti. A livello nazionale, nelle acque superficiali nel 2014, su un totale di 1.284 punti di monitoraggio analizzati, 821 (63,9%) sono contaminati da pesticidi, 529 dei quali (41,2%) con concentrazioni superiori ai limiti dell’acqua potabile. Nelle acque sotterranee nell’anno 2014, su un totale di 2463 punti di monitoraggio, 780 (31,7%) sono contaminati, 221 dei quali (9,0%) sopra ai limiti dell’acqua potabile. In caso di contaminazione, pertanto, si rende necessario operare interventi di depurazione.
La Lombardia, con il 55,4% dei punti che superano gli SQA, ha il livello più elevato di non conformità. Va detto che le sostanze che determinano il maggior numero di casi di superamento dei limiti sono proprio il gliphosate e il suo metabolita AMPA, che sono cercati esclusivamente nella Regione e, solo dal 2014, nella Toscana; essendo l’erbicida largamente impiegato, è probabile che il suo inserimento nei programmi di monitoraggio possa determinare un sensibile aumento dei casi di non conformità nelle regioni dove ora non viene cercato.
Il gliphosate è l’erbicida più utilizzato nel mondo, le vendite medie in Italia superano le 1.000 ton/anno. È uno dei contaminanti principali delle acque, come ampiamente confermato da dati internazionali.
Il gliphosate si lega fortemente al suolo dove subisce una degradazione microbica con produzione del suo principale metabolita AMPA (acido aminometilfosfonico). L’AMPA ha un’attività biologica di potenza paragonabile a quella del composto parentale. Pertanto, nonostante la scomparsa del gliphosate, gli effetti tossici su organismi bersaglio si protraggono nel tempo. Molto polare e altamente solubile in acqua; studi di campo riportano una sua maggior persistenza rispetto al parentale, con un tempo di dimezzamento pari a 240-958 giorni in alcuni tipi di suolo. Inoltre, la sostanza risulta fortemente adsorbita al suolo e ha quindi una bassa capacità percolare. Sarebbe quindi auspicabile un approfondita valutazione dei possibili effetti dello stesso AMPA.
Esistono, inoltre, lacune conoscitive riguardo agli effetti di miscele chimiche e, conseguentemente, risulta difficile realizzare una corretta verifica tossicologica in caso di esposizione contemporanea a diverse sostanze. La determinazione sperimentale della tossicità delle miscele è, del resto, poco praticabile, in quanto non si conosce la reale composizione delle miscele presenti nei diversi distretti ambientali, formate da una moltitudine di possibili combinazioni chimiche, sia volontarie che casuali. I componenti della miscela, d’altra parte, hanno un diverso destino nei comparti ambientali, nei tessuti e negli organi che rende difficile determinare sperimentalmente gli effetti cronici.
Da quanto esposto sopra risulta chiaro come le valutazioni, anche quelle col bollino blu della scientificità, possano essere alquanto discordanti e possano rispondere in modo più o meno esauriente alle domande poste.
Tante sono le variabili: la principale rimane comunque quella secondo cui “non si trova ciò che non si cerca”. A proposito, tutto il confronto mass-mediatico si è basato sulla possibile cancerogenicità della sostanza, ma esistono molte altre patologie che potrebbero derivare dall’uso del gliphosate o degli altri pesticidi, inclusi nell’elenco della IARC (di cui non ci siamo occupati).
Allora non ci rimane alcuna certezza? No, da qualche punto fermo si può partire; esistono interessi differenti che l’attuale organizzazione socio-economica non è in grado di armonizzare.
MarTa
(*) http://www.iarc.fr/en/media-centre/iarcnews/pdf/MonographVolume112.pdf
(**) www.efsa.europa.eu/sites/default/files/corporate_publications/files/efsaexplainsglyphosate151112it.pdf
http://www.efsa.europa.eu/en/search/site/glyphosate
(***) http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/rapporto-nazionale-pesticidi-nelle-acque-2013-dati-2013-2014
http://www.roundup.it/index.php
http://www.salmone.org/