Area C, ecoincentivi e PM10. Un excursus nella vicenda milanese, per decostruire le politiche urbane e comprendere come si arriva a respirare quella cosa che ci ostiniamo a chiamare aria.
Il fatto elettorale e a cascata “la nera”, gli appalti, le ricette per una cucina sana e appetitosa. Uno scambio che sia uno di contenuto, celato dietro la prima linea degli articoli con più hype mediatico, prende avvio in queste ore a Milano, sulla scorta del posizionamento dei candidati alla poltrona numero uno sul tema del pedaggio per l’accesso motorizzato al centro città.
In principio era Ecopass. Era il gennaio 2008 e per la prima volta una pollution charge, una tassa sull’inquinamento che flagellava il centro città, sbarcava a Milano sull’esempio di altre metropoli europee. Dopo tre anni di start-up come si dice a Milano, col PM10 che proprio nel 2011 toccò la cifra record di quasi 150 giorni di sforamento sul limite previsto nell’arco di un anno, il provvedimento varato dall’amministrazione dell’ex ministra Letizia Moratti fu archiviato e sostituito dalla giunta entrante. L’ipotesi di ampliamento del pedaggio alla circonvallazione era già stato archiviato nell’arco del quinquennio, mentre le polemiche divampavano nella stessa maggioranza di fronte all’esplosione delle consuete deroghe ed allo storno di parte dei fondi destinati alla mobilità dolce. Anno nuovo e nuova giunta: nel gennaio 2012 arriva “Area C”. Non si tratta solo di un upgrade, di un aggiornamento del dispositivo per il controllo dei varchi d’accesso alla cerchia dei bastioni. Area C è una congestion charge, in parole semplici la gabella non ha come scopo la sola riduzione dell’inquinamento ma la decongestione appunto del traffico urbano nel centro storico della città e a cascata, almeno nei desiderata dei suoi promotori, sul territorio limitrofo. L’istituzione della zona a traffico limitato, inizialmente concepita come ulteriore agevolazione all’ammodernamento del parco macchine, piega al pedaggio, nella versione aggiornata promossa dalla giunta Pisapia, spinta da comitati e col sostegno di un referendum cittadino, qualunque mezzo circolante all’interno del perimetro dei Bastioni.
In quattro anni di unificazione della tariffa a 5 euro, ed estensione a tutte le automobili a benzina e diesel, la misura ha triplicato gli introiti di Ecopass giungendo a 30 milioni annui di cui 6 destinati al solo funzionamenti dei varchi di controllo in ingresso ed uscita. Da un punto di vista strettamente economico, con introiti solo parzialmente destinati alla sostenibiltà della mobilità pubblica, la partita sta in piedi. Le ricadute sul traffico cittadino e nell’area dell’hinterland, i comuni di prima e seconda cintura, sono meno univoci, anche solo perché senza scambi multimodali, convenzioni per il trasporto della bicicletta o altri incentivi al cittadino, parliamo di mutazioni lente, che vanno spinte dal basso o non trovano spazio nell’agenda della politica istituzionale.
Torniamo però alla nostra Area C: abbiamo detto dei conti e del rapporto “in progress” con l’area della città metropolitana, già dilaniata dalla scomparsa delle provincie e dai consueti conflitti di competenza tra le amministrazioni locali. La domanda aperta più importante resta una sola: ad otto anni dall’accensione dei varchi, la qualità dell’aria che respiriamo trova giovamento o no? Teniamo per un attimo da parte le fisiologiche considerazioni di ordine metodologico sui tempi e le forme di un’indagine scientifica circa i risultati di questa o quella politica e che spesso richiedono anni di studi che arrivano a costruire correlazioni non necessariamente di causa-effetto.
Da un punto di vista meramente fattuale il PM10, ben più degli altri inquinanti che flagellano grandi città, piccoli borghi e industrializzate campagne, resta ben piantato oltre i limiti “di legge” di 35 giorni di sforamento annuo delle soglie. Questo ci dice poco ma abbastanza per capire che quello che s’è fatto è comunque insufifciente e sicuramente inefficace ad affrontare, prima di risolvere, due problemi: 1) come migliorare la qualità dell’aria nei luoghi di vita (casa, strade, uffici, scuole..); 2) come reinventare la mobilità urbana.
La vulgata televisiva e mediatica in genere, associa il PM10 ai motori a scoppio. E’ giusto ma c’è di più: fabbriche, centrali elettriche, riscaldamenti delle abitazioni concorrono per una quota complessivamente maggiore all’immissione in atmosfera del microparticolato. Inoltre il vorticoso ricambio del parco auto, porta nel mercato mezzi certamente meno inquinanti ma più pesanti, incrementano quella fetta di produzione del PM10 che deriva dal consumo delle parti meccaniche (freni, pneumatici) e dello stesso asfalto. In sintesi le “politiche” oggi in campo, e non mi sto riferendo alle inutilissime eppur godibili targhe alterne o presunti blocchi della circolazione, non si rivolgono organicamente a tutte le fonti del problema. In secondo luogo parlare di qualità dell’aria, e farlo a partire dal bisogno e dal desiderio di una crescente qualità della vita, significa parlare di città pubblica, di ecologia sociale (M. Bookchin), di un approccio inedito all’idea stessa di città o di “diritto alla città” per parafrase Henry Lefebvre o David Harvey.
Ne “L’elogio della biciletta”, Ivan Illich, e con questa ho finito di citare un eterogeneo accrocchio di pensatori che mi erano utili a lasciarvi scorgere le parole per cui oggi non abbiamo spazio, ci offre proprio questo: l’invito a reinventare la dimensione umana ed ecologica dei nostri tempi e spazi di vita. La sfida della pedonalizzazione, della ciclabilità, di una mobilità dolce dentro e fuori le mura, resta l’orizzonte di una mutazione genetica dell’urbano che è tutta davanti a noi e che non possiamo, con onestà, pretendere né demandare a chi ha semplicemente altri progetti per Milano, laddove al posto di Milano potete giustapporre con convenienza il vostro luogo di esistenza. Abbiamo gioco facile a decostruire la parzialità delle scelte operate in questi anni da amministrazioni attente a contemperare i tanti interessi in gioco. Il nostro ruolo è un altro: spingere un interese collettivo e non commerciale, abitativo e non turistico, di vita e non di velocità. E’ sotto questa lente, quella della riprogettazione della mobilità come perimetro di lotta complementare a quelle già dipanate sull’abitare o nei posti di formazione e lavoro, che si gioca certamente la partita della salute e della lotta ai cambiamenti climatici, ma anzitutto la partita di un quotidiano godibile e liberato da stress e autosauri.
Abo / Abuzzo 3