Pratiche di solidarietà o mutualismo conflittuale?

Nello scorso weekend si è svolta l’iniziativa “giù la maschera”, una due giorni di presentazioni e dibattiti. Ma non è della bella e significativa iniziativa che si parlerà i queste righe, pur se in periodo di post COVID, una due giorni agostana e ben partecipata in una metropoli come Milano, merita un riconoscimento. È invece di una delle tematiche affrontate che mi preme fortemente ragionare.
Il dibattito su solidarietà, mutuo appoggio e brigate di solidarietà, ha lanciato un interrogativo che non era possibile evadere in quella sede, dal momento che dovrebbe essere un punto di riflessione più ampio, che non solo come FAI dovremmo affrontare. La seconda ondata del COVID potrebbe ripresentarsi oppure no, ma il tema della contraddizione insita nelle reti solidali, messa in luce dalla pandemia, dovrebbe tener banco come una questione di assoluta attualità.
La contraddizione sottolineata durante il dibattito, consiste nel dilemma esistente sulle pratiche di solidarietà, tra il configurarsi, malgrado tutto, come una sorta di stampella di un pubblico servizio inadatto a gestire le emergenze o creare un momento di rottura attraverso pratiche mutualiste che si debbono necessariamente delineare come conflittuali. Esiste poi un altro aspetto non di poco conto, ossia la legittimazione dell’agire, che il lockdown ha configurato come necessaria, quindi il doversi costituire come soggetto autorizzato ad agire e qui molte soggettività e individualità hanno dovuto scendere a compromessi con le più svariate associazioni di volontariato per poter operare liberamente senza incorrere in multe e denunce. Tutto ciò delinea una situazione assolutamente paradossale, che va però indagata e alla quale occorre reagire. Anche quando non dovessimo avere un nuovo lockdown, è però chiaro che si stanno spalancando le porte di una crisi socio-economica assai ardua da arginare, vista la sua sistematicità, e la sua estensione globale, le conseguenze sul piano locale si stanno già delineando, attività in chiusura, licenziamenti o ammortizzatori sociali inefficaci ed inefficienti, con un grosso impatto sul diritto all’abitare da parte di chi non ha un alloggio di proprietà o già non risiede in un alloggio popolare. Stiamo parlando di un potenziale di decine di migliaia di famiglie a rischio sfratto da qui ai prossimi mesi, nonostante il blocco delle azioni giudiziarie fino al 31 dicembre.
In questa situazione è oltremodo indiscutibile quanto sia necessario avere le idee chiare sulle strategie da adottare e sulle modalità per innescare un processo di mutualismo conflittuale, che non miri solo ed esclusivamente ad alleviare delle sofferenze o a fornire una alternativa più o meno temporanea, ma che sia una strategia di critica dinamica al reale, che nel momento in cui aggredisce una problematica sia in grado di trovare soluzioni di incompatibilità crescente con il sistema. Sistema che va ricordato ha generato il problema e non può fornire soluzioni altre da quelle che osserviamo, divario sociale, colpevolizzazione dell’indigenza, giustificazionismo rispetto alla disoccupazione in altre parole guerra ai poveri invece che soluzioni contro la povertà.
La capacità di agire all’interno di tessuti sociali complessi come quelli urbanizzati non è un semplice atto di buona volontà o di volontariato attivo, dovrebbe nascere da una strategia precisa, di utilizzazione della fase emergenziale della crisi per disarticolare, de facto, la narrazione che accompagna il sistema di governo dei territori.
Sono quindi necessarie alcune domande strategiche per snudare il problema nelle sue pieghe più recondite e si sarebbero dovute porre durante le fasi più critiche del lockdown. Ma a ben guardare, i processi e le accelerazioni indotte dalla pandemia, hanno solo innescato mega assembramenti virtuali, capaci di partorire rivendicazioni che non hanno segnato nessun punto di rottura o nessuna tendenza alla destrutturazione del sistema, che di fatto ha generato e continuerà a generare questo tipo di catastrofi. Piattaforme di rivendicazione tutto sommato sovrapponibili anche se elaborate da aree politiche apparentemente differenti, il che la dice lunga sulle differenze sostanziali che tendono a sparire quando in gioco ci sono la contrazione della capacità di soddisfacimento dei bisogni basilari da un lato e la privazione di alcune libertà fondamentali dall’altro. La schizofrenia ha avuto il sopravvento portando a situazioni grottesche. È mancato un momento di lucidità che fosse in grado di andare oltre l’isteria della fase in sé, possibilizzando nelle emergenze socio-economiche e socio-umanitarie dei momenti di conflittualità e non solo di pratiche da medagliere come purtroppo è successo durante la pandemia.
Come anarchici non possiamo appiattirci né sull’azione caritatevole né tantomeno surrogare il pubblico servizio, la via altra è il mutualismo conflittuale.
JR

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