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Polonia, Bielorussia, Lituania: una crisi alle frontiere infernale

Polonia, Bielorussia, Lituania: una crisi alle frontiere infernale

Pubblichiamo la traduzione di un articolo pubblicato sul sito Freedomnews che descrive l’allucinante situazione dei e delle migranti intrappolati fra i confini di Polonia, Lituania e Bielorussia.

Su questa situazione avevamo già pubblicato un appello della rete No Borders Team al cui interno sono attivi compagn* della Federazione Anarchica Polacca.

La redazione web

Mondo, 4 gennaio

A novembre, Ruhi Loren Akhtar (Fondatrice e Ceo di Refugee Biriyani & Bananas) ha viaggiato ai confini di Polonia, Lituania e Bielorussia per valutare la situazione, far crescere la consapevolezza e fornire aiuto umanitario, dove possibile, alle persone coinvolte e dislocate lì. Questo è il suo report su cosa ha trovato (pubblicato per la prima volta da Are You Syrious: un blog che dovresti definitivamente seguire).

Quella che abbiamo trovato è una zona di crisi alle frontiere come nessun’altra. Sembrava uno scenario di guerra, con carri armanti, checkpoint, e professionisti militari ovunque ci girassimo in Polonia. Era stata istituita una zona rossa di emergenza nel punto ove i confini tra Lituania, Polonia e Bielorussia si uniscono, il che significava che volontari, aiuti umanitari, media e giornalisti non potevano entrare.

Sapevamo che le persone stavano venendo usate come armi in una guerra ibrida orchestrata dalle autorità bielorusse e venivano spinte verso la Lituania e la Polonia.

Dal canto loro, le autorità lituane e polacche stavano respingendo le persone.

È difficile dire quante persone siano coinvolte, ma i report suggeriscono siano più di 3000.

La zona rossa con divieto di ingresso fa sì che nessuno riesca a valutare pienamente l’entità di questa crisi, tanto meno essere un testimone o documentare le violazioni contro gli esseri umani che avvengono lì. Tutto ciò che avevamo erano i report da persone che erano bloccate lì e ciò che stavano riportando alle organizzazioni e che stavano postando sui social media.

Questo è un resoconto del tempo che abbiamo passato come volontari con una piccola ONG in Lituania per portare assistenza umanitaria alle persone che sono scappate dalla zona rossa e sono rimaste bloccate nella foresta. La linea di assistenza era gestita 24 ore su 24 da volontari. Non abbiamo potuto fornire aiuto per la maggior parte delle chiamate di soccorso perché venivano da persone ancora bloccate in Bielorussia o nella zona rossa.

C’erano chiamate di soccorso per ogni cosa, da persone che avevano bisogno di cibo ed acqua, vestiti asciutti e medicine, fino a persone ferite e che necessitavano di un riparo.

La cosa più difficile di tutte erano le chiamate di qualcuno che ci informava che un amico o un familiare era disperso da giorni e chiedeva se potessimo aiutare a ritrovarlo.

La realtà era che non eravamo in grado di farlo.

Una mattina abbiamo ricevuto una chiamata di soccorso da quattro uomini siriani che erano riusciti ad uscire dalla zona rossa ed erano entrati nella foresta lituana. Tra di loro c’era un ragazzo di sedici anni. C’erano state delle forti nevicate e la temperatura era scesa di molto al di sotto dello zero.

Ci hanno chiesto di raggiungerli velocemente perché avevano molto freddo.

Abbiamo preparato uno zaino di emergenza con cibo, acqua, coperte termiche di emergenza, sacchi a pelo adeguati per le bassissime temperature, fornelli da campeggio, gas, fiammiferi, indumenti termici, cappelli, sciarpe, guanti, un thermos con te caldo, medicazioni ed antisettici

Lorenzo Leonardi (Refugee Biriyani & Bananas Project Manager) è stata la prima persona ad arrivare sul posto:

Le foreste sono letali. Scure. Fredde. Accidentate, fangose, con il terreno bagnato.

È difficile attraversarle o sopravvivere persino per un campeggiatore esperto, figuriamoci per persone che sono state rimbalzate tra vari paesi, picchiate dalle autorità, senza beni di prima necessità, con i cani che li inseguono, indeboliti nel corpo, nella mente e nel sistema immunitario.

Lorenzo ha riportato che inizialmente le persone avevano paura di uscire allo scoperto e si nascondevano dietro gli alberi, finché lui non li ha rassicurati che non c’era la polizia. Ha alzato le mani mentre loro si avvicinavano ed un uomo è andato ad abbracciarlo. I suoi amici si sono uniti in quello che è diventato un abbraccio di gruppo. L’uomo ha iniziato a piangere.

Ne avevano passate tante.

Uno degli uomini era anziano e soffriva di dolori lancinanti alla schiena. Eppure non ha voluto chiamare per i servizi medici. È risaputo che le persone sono state respinte dopo essere state in ospedale.

Stavano tremando dal freddo. I loro piedi erano estremamente macerati per il fatto di essere stati bagnati a lungo. Il team ha lasciato i set di emergenza e le provviste ed ha offerto delle parole di conforto. Sapere di doverli lasciare nella foresta a dormire quella notte ci ha spezzato il cuore.

In ogni caso, non potevamo fare niente più che fornire assistenza umanitaria, in quanto qualunque altra cosa sarebbe stata etichettata come illegale – c’è stata una criminalizzazione crescente dei volontari-. Siamo tornati indietro il giorno dopo e gli uomini se ne erano andati. Abbiamo recuperato le risorse che potevamo per la prossima chiamata di soccorso.

Dopo abbiamo saputo che – dopo tutto quello che avevano passato – quando questo gruppo era riuscito a passare il confine dalla Lituania alla Polonia, era stato fermato dall’autorità e rimandato indietro in Bielorussia! Migliaia di persone hanno vissuto esperienze simili.

Sappiamo che ci sono state persone morte di freddo.

Sappiamo di una bambina, di quattro anni, che è sparita nella foresta polacca dopo essere stata separata dalla sua famiglia che è stata rimandata indietro in Bielorussia. Pensate davvero che una bambina di quattro anni possa sopravvivere da sola in una foresta ghiacciata?

Posso dire che questa crisi nella zona di frontiera non ha paragoni con le altre in cui ho fatto volontariato. Non era come il vecchio campo di Idomeni nel nord della Grecia al confine con la Macedonia, dove potevo vedere migliaia di persone nelle tende. Non era come le “Baracche di Belgrado” in Serbia, dove più di un migliaio di persone hanno occupato uno squallido magazzino abbandonato.

Qui le persone sono state rese invisibili, come se fossero fantasmi di un altro mondo.

Ma sappiamo che sono ancora lì, e possiamo ancora sentire i loro pianti silenziosi.

Ogni giorno le persone muoiono o sono disperse in questa crisi infernale alle frontiere.

Esortiamo tutta Europa ad istituire corridoi umanitari per queste persone.

Questa cosa non riguarda il diritto di ricevere asilo, che comunque meritano, o di un programma di rilocazione e di un paese che li ospiti. In questo momento, si tratta di salvare vite.

di Ruhi Loren Akhtar (Founder & CEO of Refugee Biriyani & Bananas)

Traduzione a cura di Demenza Hc

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