Il 25 aprile anche quest’anno vedrà solo in forma ridotta le molte iniziative consuetamente organizzate dal basso per festeggiare l’insurrezione popolare che liberò tanti anni fa l’Italia dal fascismo e dalla guerra. In questi anni gli antifascisti legalitari e istituzionali hanno diffuso nei confronti del fascismo un atteggiamento di paura, non una reale opposizione.
La paura del fascismo rende un cattivo servizio all’antifascismo: gli antifascisti legalitari ed istituzionali finiscono per accettare tutte le scelte dei governi, comprese quelle liberticide, guerrafondaie, antipopolari. È la paura del fascismo che ha spinto PD e Movimento 5 Stelle ad un’alleanza che sembrava impossibile, è la paura del fascismo che ha permesso a figure discutibili come Bonacini e Giani di divenire presidenti delle rispettive Regioni, l’Emilia-Romagna e la Toscana. È ancora la paura del fascismo che ha portato la sinistra e il centro sinistra ad accettare di tutto pur di evitare le elezioni, arrivando a dar vita al governo Draghi, con una maggioranza composta anche da forze che fino ad ieri venivano additate come spauracchio per ottenere qualche voto in più.
Serve a poco poi stupirsi se i fascisti strumentalizzano il malcontento nei confronti del governo. Le stesse componenti antagoniste tengono un atteggiamento sotto tono verso Draghi e la maggioranza, illudendosi di poter ottenere una qualche forma di reddito universale con un gioco di sponda con le varie gradazioni della sinistra parlamentare e delle amministrazioni locali, per strappare qualche palliativo per le situazioni di disagio più eclatanti grazie ai fondi europei, accettando implicitamente la presidenza del consiglio dei ministri di Mario Draghi, che dell’arrivo di tali fondi è garante.
Il meccanismo è semplice: scoppia una protesta, i fascisti, anche se non presenti, la sostengono, gli organi d’informazione li presentano come gli organizzatori e i referenti politici della protesta popolare, le forze politiche della sinistra rimangono schiacciate tra il pericolo di legittimare i fascisti e l’impossibilità di dare una voce autonoma alla protesta popolare. In questo modo l’antifascismo si presenta con la militarizzazione, la disoccupazione, la miseria, tutte caratteristiche del fascismo storico che si sono abbattute su gran parte del proletariato.
È il fascismo ad essere storicamente un prodotto della paura: la monarchia, la Chiesa, le classi privilegiate hanno avuto paura di fronte al crescere del movimento rivoluzionario proletario; in particolare, il re Vittorio Emanuele III aveva un motivo personale di vendetta nei confronti dell’anarchismo. All’indomani della prima guerra mondiale, il fascismo è stato l’arma usata dalle classi privilegiate per combattere l’anarchismo in quanto manifestazione proletaria e rivoluzionaria, movimento di emancipazione umana con criteri e finalità ugualitarie e libertarie insieme, per combattere l’anarchia come vera e propria teoria della rivoluzione, una volta che i meccanismi dell’accumulazione capitalistica si erano inceppati ed i metodi dello Stato liberale erano incapaci di tenere a freno le masse rivoluzionarie.
Il fascismo non è però solo questo: è una forma nuova di Stato rispetto al precedente Stato liberale: esso si caratterizza per l’integrazione delle organizzazioni sindacali nello Stato (corporativismo); per l’intervento dello Stato nell’economia, attraverso il controllo del sistema bancario, la proprietà o comproprietà dei settori industriali più importanti, in tutto o in parte. Il fascismo si presenta anche con il coinvolgimento nella mobilitazione politica di quelle masse che il precedente modello di governo voleva tenere al di fuori del dibattito, con la politica aggressiva all’esterno, con la repressione delle opposizioni, con la sostanza razzista latente nella cultura italiana e nelle sue radici classiche. Per molti il fascismo rappresenta la forma adeguata dello Stato al capitalismo nella fase del capitalismo monopolistico di Stato e dell’imperialismo.
Se però il fascismo contiene tutti questi elementi innovativi rispetto alla forma precedente di Stato, da dove viene il carattere reazionario riconosciuto e rivendicato dallo stesso fascismo? L’ascesa della borghesia “ha spogliato delle loro sacre apparenze tutte le attività fino ad allora onorevoli e considerate con pia umiltà. Essa ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l’uomo di scienza in suoi salariati. (…) ha strappato alle relazioni familiari il loro toccante velo sentimentale per ricondurle a una pura questione di denaro.” (K. Marx-F. Engels Il manifesto del partito comunista).
In altre parole, l’avvento della borghesia ha trasformato il rapporto di subordinazione personale che legava servo e signore nel rapporto monetario che lega l’operaio al capitalista; si tratta di un mutamento di forma ma rimane immutata la sostanza del rapporto di dominio: i dominati sono costretti a lavorare per mantenere i dominatori. Quando, per la ribellione dei dominati o per le contraddizioni del sistema, il rapporto monetario diventa incapace di mantenere i dominati nello stato di soggezione e di garantire ai dominatori una fetta crescente della ricchezza sociale, il rapporto di dominio si manifesta in tutta la sua intrinseca violenza, materiale e culturale. È allora che i corifei della democrazia si appellano ai “valori tradizionali”, alle “radici culturali”, all’“interesse nazionale”, all’evoluzione ed alla selezione per giustificare la violenza scatenata contro i ceti popolari. Così anche ogni rapporto sociale, che all’interno delle società antagoniste è un rapporto di dominio, perde la maschera di libertà e uguaglianza e rivela la sua essenza violenta:la contrapposizione di genere, la contrapposizione etnica, la contrapposizione di classe, la contrapposizione fra città e campagna, rivelano il loro carattere di terreno di scontro fra dominatori e dominati.
In questo scontro, l’ideologia borghese perde la maschera rivoluzionaria con cui aveva imposto il rapporto monetario come legame della società e recupera quelle componenti ideologiche che in un modo o nell’altro giustificano la subordinazione sociale; il suprematismo, il maschilismo, il razzismo vengono nuovamente veicolati per costruire un traballante consenso sociale. Questo processo è la sostanza del fascismo; quando questo processo non può essere attuato dall’apparato statale direttamente ma le classi privilegiate sono costrette a ricorrere a milizie private, a mercenari, abbiamo il fascismo vero e proprio.
Questo 25 aprile cade in una situazione molto difficile per le classi dominanti: in tutto il mondo la lunga depressione procede fra alti e bassi e non accenna a chiudersi; i governi e le istituzioni finanziarie, nazionali e sovranazionali, sono di fronte ad un’impasse: se ad un certo punto non porranno fine al denaro facile per le imprese, l’inflazione potrebbe aumentare, il che consumerà i redditi reali e farà aumentare i costi del debito, sia pubblico sia privato. Se governi e istituzioni finanziarie agiscono per frenare l’inflazione, ciò potrebbe però provocare un crollo del mercato azionario e fallimenti aziendali.
L’unica via di uscita che hanno le istituzioni è sottrarre ricchezza ai ceti popolari e destinarne parte agli investimenti, parte ai redditi delle classi privilegiate – tutto questo mentre le classi sfruttate subiscono ancora le conseguenze della pandemia. Tutto questo si può fare solo trasformando la questione sociale in un problema di ordine pubblico, cioè aumentando la violenza delle istituzioni, aumentando il fascismo.
La strada della violenza non è tuttavia così semplice per le classi dominanti: ce ne danno un esempio gli Stati Uniti. Di fronte alla crisi dell’apparato economico e dell’apparato politico, spetta all’apparato militare farsi carico del mantenimento dell’ordinamento sociale ed economico costituito nello Stato e negli Stati Uniti le forze armate sono composte in gran parte da non bianchi. Questa è una delle ragioni che ha spinto i capi di stato maggiore dell’Unione a pronunciarsi a favore di Joe Biden alla vigilia del suo giuramento ed a negare l’appoggio delle forze armate a Donald Trump nella repressione violenta delle manifestazioni antirazziste prima, nella messa in discussione del risultato elettorale poi.
All’aspetto violento della segregazione, i vertici delle forze armate hanno preferito un approccio “morbido”, quello dell’integrazione. Le forze armate USA sono un esempio di integrazione: al loro interno le minoranze hanno spazio e alcuni loro membri possono arrivare ai gradi più elevati nella misura in cui accettano l’ideologia del “sogno americano” e se ne fanno difensori.
L’integrazione è quindi un mezzo per diffondere l’egemonia dell’ideologia delle classi dominanti fra le classi sfruttate e le minoranze. Le varie forme di “quote rosa”, “diritti civili” ecc. si muovono all’interno dell’accettazione della logica del sistema, dove c’è chi comanda e chi ubbidisce, chi sfrutta e chi è sfruttato, chi vince e chi è vinto. La logica della competitività e del merito sono alla base della lotta e, data la lotta, i più forti, i più fortunati o i più disonesti devono vincere ed opprimere i vinti, se questi non si organizzano e non contrappongono la solidarietà e il mutuo appoggio alla lotta.
Gli anni che sono passati dal 25 aprile 1945 dovrebbero averci insegnato che il fascismo non si combatte solo sul piano militare ma combattendo in modo intersezionale tutte le forme violente e conflittuali di questa società, da quelle basate sul genere, a quelle di classe, a quelle etniche. Se riusciamo a costruire relazioni libertarie e federali tra i vari movimenti di lotta, il dominio non sarà più in grado di rinchiuderci in una qualche “minoranza” e la paura cambierà di segno.
Tiziano Antonelli