I commenti successivi alla sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato improponibile il referendum proposto dalla CGIL per il ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, sono orientati per la maggior parte a mettere in evidenza l’asservimento della Corte alla volontà del Governo Italiano e di quello europeo, nonché agli interessi dei grandi gruppi capitalistici. Si tratta in genere di lamentele sulla svolta autoritaria che travolge i diritti dei lavoratori, stravolge la costituzione, stravolge l’indipendenza nazionale.
Significativa è la presa di posizione della rete Clash City Workers che, commentando la sentenza, afferma che la causa della sentenza è stata la paura, la paura che si è impadronita dei capitalisti all’indomani del risultato del referendum sulla modifica della costituzione, la paura di un nuovo quattro dicembre, sul terreno della giustizia sociale e della lotta. La riflessione dei CCW non riesce a vedere la contraddizione tra la pratica referendaria, alimentata dal feticismo della costituzione e della magistratura, e l’azione diretta, l’autorganizzazione del movimento operaio.
Non posso fare a meno di segnalare la riflessione di Antonio Moscato che, dopo aver adombrato le responsabilità della stessa CGIL nella bocciatura del referendum, mette in guardia verso le scorciatoie referendarie: i referendum, anche se vinti, rimangono carta straccia se manca una forza capace di non temere lo scontro, pur di imporne il rispetto. Per ricostruire questa forza, secondo Moscato, bisogna abbandonare le illusioni referendarie e ritornare alle esperienze degli albori del movimento operaio, che non godevano certo del favore delle istituzioni.
La riflessione di Antonio Moscato è particolarmente significativa perché proviene da un militante storico di quella che un tempo si chiamava Nuova Sinistra. Militante della IV internazionale e dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari, ha militato in Rifondazione Comunista con Livio Maitan, per poi uscirne e dar vita prima a Sinistra Critica e poi a Sinistra Anticapitalista. Solo due anni fa, Antonio Moscato scriveva cose ben diverse a proposito dell’avventura alle elezioni europee della lista Tsipras. Evidentemente, almeno in vecchiaia, la vecchia talpa ha imparato dai propri errori.
In realtà la questione dell’articolo 18 pone molti interrogativi, e le continue sconfitte delle forze legalitarie pongono nuovi problemi al movimento anarchico. Ogni referendum, ogni elezione ci pone di fronte alla necessità di non chiuderci in un atteggiamento dogmatico, in un astensionismo fine a sé stesso, che finisce per disprezzare quella parte delle masse che continua a recarsi alle urne. Se l’astensionismo sta crescendo, e si va trasformando in un vero movimento di massa, incrinando le granitiche certezze di marxisti navigati come Antonio Moscato, spetta agli anarchici dare a questo movimento delle prospettive di lotta concrete, affinché dalla sfiducia e dal disinganno non si passi alla rassegnazione e all’immobilismo. In altre parole, spetta in primo luogo al movimento anarchico, alla sua componente più organizzata e dotata di un vero programma politico, mostrare come sia possibile dare altre soluzioni ai problemi posti dai referendum, soluzioni in genere più efficaci, che portino le masse a fare veramente affidamento sulle proprie forze, e non su quella parodia rappresentata dall’inserimento di un pezzo di carta in un’urna. Spetta agli anarchici spingere il proletariato, le masse popolari a pretendere e imporre tutti i miglioramenti, tutte le libertà senza aspettare che vengano elargite dalle istituzioni o dal governo, anzi considerando con odio e disprezzo chiunque stia o voglia andare al governo.
Nonostante le affermazioni di tanti autorevoli commentatori, il tema dell’articolo 18 e più in generale delle libertà sindacali, assemblee, distacchi, permessi, trattenute e quant’altro, non sono considerati dalla maggioranza dei lavoratori come diritti propri, ma come diritti dell’organizzazione sindacale. Nel migliore dei casi, i lavoratori meno coscienti guardano con sufficienza il sindacato che non è in grado di difendere i propri diritti, i propri rappresentanti. Se quel sindacato non è in grado di difendere i propri diritti, sembrano dire, come può difendere i diritti degli altri, dei lavoratori? Nel peggiore dei casi, invece, vedono nei distacchi e nei permessi a disposizione degli attivisti sindacali dei privilegi per vagabondi e piantagrane.
In Italia, la grande stagione dei licenziamenti politici si è conclusa negli anni ‘80 del secolo scorso. In quel periodo, nelle grandi fabbriche, decine di avanguardie combattive, militanti rivoluzionari furono cacciati con la complicità dell’apparato della CGIL e dell’allora Partito Comunista: con la scusa del terrorismo si liberarono di pericolosi concorrenti. Oggi i pochi lavoratori combattivi si trovano sempre sotto il ricatto della CGIL. L’esperienza storica ci fa capire che quella della CGIL sull’articolo 18 è stata una sceneggiata, per distrarre l’attenzione dai continui attacchi alla rappresentanza e alle libertà sindacali di chi non è allineato. Se ci fosse ancora qualche dubbio sulla malafede, basta pensare al destino del referendum sulla buona scuola, che non ha raccolto nemmeno le firme degli iscritti a questa organizzazione.
Purtroppo c’è da dire che anche in questo campo le organizzazioni politiche e sindacali maggioritarie hanno fatto ben poco per responsabilizzare i militanti di base, per diffondere la cultura della solidarietà e un’etica di classe. Piuttosto, il tema dell’interesse si è pian piano spostato dall’interesse storico a quello immediato, dall’interesse generale a quello personale. Anche in questo campo il movimento anarchico può fare molto per spostare l’accento dall’interesse alla prospettiva della trasformazione sociale, sul terreno dell’unità e dell’autonomia di classe.
Può far molto soprattutto sul terreno dell’organizzazione operaia: è ovvio che se gli attivisti sindacali sul posto di lavoro sono solo terminali di burocrazie esterne, propagandisti di tematiche sindacali lontane dai bisogni della classe, i lavoratori non potranno appassionarsi delle loro traversie. Prima di costruire un movimento di lotta che, fra l’altro, imponga il rispetto delle libertà sindacali alla controparte, occorre rovesciare la piramide dei sindacati di Stato, occorre che i lavoratori sentano il sindacato come un proprio strumento, vedano nell’attivista sindacale il proprio delegato, e non un burattino mosso da un centro lontano dal luogo di lavoro, quando non dalla controparte stessa.
Gli anarchici sono gli unici che, nelle lotte quotidiane, anche sul posto di lavoro, portano la prospettiva della rivoluzione sociale; spetta quindi in primo luogo a loro, con l’esempio e la propaganda, con l’agitazione e l’organizzazione, superare le divisioni ideologiche e sbarazzare le organizzazioni dei lavoratori dagli imbroglioni e dai traditori.
Tiziano Antonelli