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Pensioni: il governo contro le donne

Pensioni: il governo contro le donne

Tra le tante contraddizioni presenti nei primi cento giorni del governo in carica, ci riferiamo soprattutto ai programmi con cui si è presentata la coalizione, ce n’è uno che in particolare riguarda le lavoratrici prossime alla pensione.

Si tratta di un governo particolarmente detestabile, soprattutto perché esprime una destra retriva, con personaggi compromessi e impresentabili, che sappiamo legata a quel filo nero che si collega agli anni più bui della nostra storia passata e alla strategia dello stragismo di un tempo non molto lontano.

Per tornare al tema introdotto, riportiamo l’inizio di un comunicato dell’USI CIT: “Nella campagna elettorale i vari rappresentanti del centro-destra, da Salvini a Berlusconi a Meloni, gareggiavano nel promettere migliori condizioni per le pensioni, contestando la legge Fornero. L’ Opzione Donna, una normativa che da circa 15 anni viene confermata dai vari governi, prevede di andare in pensione con 58 anni di età e 35 anni di contributi per le dipendenti e 59 anni per le partite IVA. E’ incredibile e vergognoso che l’attuale governo, con la Meloni tanto decantata come prima donna a ricoprire l’incarico di Primo Ministro, pur confermando l’Opzione Donna nella Finanziaria del 2023,  l’ha praticamente svuotata”. “Era l’unica misura che c’era a favore delle lavoratrici, seppure penalizzante, rinunciando fino ad un terzo della retribuzione pensionistica”. Infatti, gli assegni percepiti dalle lavoratrici che aderiscono ad Opzione Donna sono molto bassi. Nel 2022 oltre la metà delle donne che ne hanno usufruito non arriva a 500 euro. Più in generale è da considerare che le pensioni di vecchiaia medie sono a 754 euro per le donne rispetto alle 1.440 per gli uomini.

Con le limitazioni apportate dal governo attuale a Opzione Donna, per il 2023 si manterrebbero le stesse condizioni per le donne invalide al 74% o che hanno invalidi conviventi a carico. Tale misura riguarda anche le lavoratrici licenziate o coloro che rischiano di esserlo perché lavorano in aziende che hanno già aperto una piattaforma di crisi. Per altre conta il numero di figli: con un figlio si esce a 59 anni, con 2 o più figli si può uscire a 58 anni. Le rimanenti, una platea molto numerosa, perdono il diritto. L’Opzione Donna ha liquidato la pensione a 20.681 lavoratrici nel 2021 e 23.812 nel 2022. Come conseguenza delle restrizioni sarebbero escluse da questa possibilità circa 20 mila lavoratrici. E’ come se fosse abolita tale misura. Hanno fatto cassa con Opzione Donna. Per le donne licenziate a 55 anni non è prevista alcuna misura.

La giustificazione portata per i tagli eseguiti dal Ministro del Lavoro Marina Calderone, un’altra donna del governo, è che non si sono trovate le risorse, per cui sono stati stanziati solo 21 milioni di euro rispetto ai 111 stanziati dall’anno precedente, 90 milioni in meno (Meloni peggio del governo Draghi). Mentre, aggiungiamo noi, si sono trovati 900 milioni di euro per inserire nella legge Finanziaria l’emendamento “salva – calcio” a favore delle società di serie A.

In risposta a questa situazione si è costituito un Comitato soprattutto di donne, ma non solo, di diversi orientamenti politici e sindacali, ma unite dallo stesso obbiettivo: ripristinare integralmente la normativa Opzione Donna e farla diventare legge per sempre, cosa che nessuno dei governi che si sono succeduti ha avuto la volontà di fare. Nella giornata del 19 gennaio è già stata organizzata dal Comitato una mobilitazione di donne a Roma sotto il palazzo del governo dove si teneva l’incontro tra il Ministro del Lavoro e i sindacati, esponendo cartelli del tipo “Opzione Donna/ ripristinare diritti scippati” e uno striscione con “Opzione Donna diritto alla pensione derubato”. Per l’8 febbraio si svolgerà un nuovo incontro sul tema delle pensioni presso il Ministero del Lavoro ed il Comitato sta organizzando una nuova manifestazione sotto il Ministero per rivendicare il ripristino integrale della normativa.

Il comunicato di USI CIT termina precisando “E’ nostra convinzione da sempre che le mobilitazioni per essere efficaci debbono essere sostenute anche da iniziative di sciopero”.

E.M.

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