Nella tarda primavera, sull’orlo dell’estate meteorologica, ogni anno, inesorabilmente, il 2 giugno si festeggia la Repubblica: il regime politico nato dopo la Resistenza e dopo affannosi accordi tra partiti del CLN ed apparati della monarchia sabauda (con la benevola vigilanza degli angloamericani), anche grazie al noto referendum popolare. Quest’anno sono settant’anni: un bel lasso di tempo, corrispondente all’età media per riuscire a conquistare la pensione di vecchiaia tra vent’anni o anche meno.
Come per ogni 2 giugno, anche quest’anno, il governo italiano ha organizzato la sua bella parata militare e, come quasi in ognuno degli ultimi anni, alcune associazioni pacifiste, quelle perbene, quelle che vogliono sempre essere chiamate ai tavoli governativi per concertare chissà che cosa, hanno chiesto al presidente della Repubblica di annullare la parata: ciò perché, a loro dire, la nostra sarebbe una Repubblica pacifista, fondata sull’art. 11 della Costituzione.
Come ogni anno, il presidente della Repubblica, chiunque egli sia, non ha dato loro alcuna soddisfazione e nemmeno ha risposto. Perché mai dovrebbe rispondere a una richiesta di tal genere un Tizio che riveste anche la carica di comandante in capo delle forze armate? In questo il nostro presidente è poco dissimile da un re d’antico regime: se si sta al vertice di uno Stato, si comandano in qualche modo anche le sue forze armate. Certo ora in chiave piuttosto metaforica: non c’è necessità che il presidente monti a cavallo per guidare un assalto come faceva un qualsiasi principe longobardo o franco. Altrimenti, fosse ancora costretto a queste prestazioni atletiche, perché diavolo ci sarebbe stata questa splendida evoluzione storica progressiva, dal buio medioevo al luminoso secolo in cui ci troviamo a vivere (fortunati noi)?
Ma le associazioni pacifiste perbene non demordono ed insistono, anno dopo anno, ogni anno che il loro dio manda in terra prima della conflagrazione finale. Il fatto è che i pacifisti perbene si sono creati, nella loro mente, un’immagine di Repubblica fantastica ed un’interpretazione della Costituzione leggermente fantapolitica, fantagiuridica e fantafilosofica.
Il testo dell’art. 11 della Costituzione è noto a molti. Le associazioni pacifiste “con il cuore in mano” tendono ad enfatizzare il peso del suo primo pezzetto e dimenticano il secondo, quello in cui si prevede, sotto sotto (ma non troppo sotto) di mettersi nelle mani di imprecisate organizzazioni internazionali che, in nome della pace, ecco, magari possono fare anche la guerra (magari senza dirlo e definendola in altro modo). Poi non bisogna dimenticare che nella Costituzione c’è anche l’art. 52: quello del sacro dovere di difendere la Patria e del servizio militare obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge.
Sicuramente chi ritiene che la Costituzione italiana sia stata scritta per impedire di entrare in guerra contro chicchessia non ne ha letto bene il testo e non ha colto le motivazioni profonde dei Padri Costituenti. Se poi si vuole invece sottolineare la differente modalità di gestione degli affari militari e lo stacco apparentemente netto tra il periodo che ha preceduto e quello che ha seguito la prima Guerra del Golfo, bisognerebbe essere consapevoli che tale difformità operativa non sta in questioni legalistiche, nell’interpretazione della norma e nella forzatura della stessa, ma nelle diverse esigenze delle alleanze in cui è inserita l’Italia e nella trasformazione dello scenario internazionale, che ha richiesto ai Paesi europei (e quindi anche all’Italia) un maggiore attivismo armato anche a distanze notevoli dai loro confini.
Ma torniamo alla parata del 2 giugno. Quest’anno l’hanno fatta aprire da una folla di sindaci con fascia tricolore e poi, verso la chiusura, come al solito, c’erano crocirosse varie, cioè enti di diritto pubblico e anche soggetti, coinvolti nella protezione civile, provenienti magari dal cosiddetto terzo settore (al quale alcuni vorrebbero addirittura affidare la missione di salvataggio del capitalismo in crisi: ma questa è un’altra questione). Questo fritto misto che sfila a Roma significa semplicemente che tutto fa brodo: l’aspetto militare delle istituzioni si fonde con quello del buon cuore degli italiani. Tutto si tiene, in un ipotetico Stato ben ordinato: la guerra e la pace, le forze armate e le forze dei buoni samaritani. Sulla tribuna d’onore, poi, il presidente “uomoqualunque” saluta ed approva affabile, come fa anche la professoressa di mezz’età, l’ex capo scout che hanno messo inspiegabilmente a dirigere il ministero della difesa.
Dobbiamo forse provare a prendere in considerazione anche l’argomento residuale adoperato da chi pensa di essere un furbo retore che predica la pace? Prendiamolo: quanto è costata la parata? Tantissimo, al solito: qualche milionata. Allora? Tutte le attività statali costano e tutte servono e non servono. Aboliamo la parata e teniamo in piedi le forze armate che costano più di un paio di decine di miliardi ogni anno? Questo è il pensiero dei pacifisti filoistituzionali che vorrebbero razionalizzare e magari ridurre un pochino le spese militari. Per molti di loro le forze armate sono utili e devono essere guidate in modo “pacifico” (c’è l’art. 11, no?). Quando i nostri militi uccidono, devono farlo a cuor leggero, perché non c’è alternativa possibile, perché stanno difendendo l’orfano e la vedova. Ma, cari pacifisti (magari anche nonviolenti), se vi piacciono comunque le forze armate, se le forze armate con la loro bella gerarchia sono per voi necessarie, perché mai non dovrebbero sfilare qualche volta per esporsi agli applausi del buon popolo che tanto le ama? Che facciamo? Le nascondiamo da qualche parte, le nostre gloriose forze armate, quelle che partecipano anche a mirabolanti missioni umanitarie dell’ONU, e non le facciamo divertire mai un pochino, non le additiamo alla lode dei cittadini plaudenti? Sarebbe decisamente contraddittorio e non rispettoso dell’intima natura dell’essere umano (quella natura costruita in secoli e millenni di dominio gerarchico), che esige la ritualizzazione di diversi aspetti dell’interazione tra i soggetti che vivono in società.
In definitiva, diciamolo chiaramente, non è possibile immaginare uno Stato che non usi la violenza armata. Gli Stati nascono – e si consolidano nelle loro relazioni internazionali almeno a partire dalla Guerra dei Trent’anni – proprio grazie all’accentramento della forze d’azione militare, nonché degli uffici di prelievo fiscale e di amministrazione burocratica del patrimonio dei sovrani e poi della fantasmatica cosa pubblica. L’esercito, la marina e l’aeronautica militari sono componenti essenziali del dominio dello Stato sulla società, sono la figura concreta del monopolio della violenza legittima che ogni Stato pretende per sé e che è disposto a cedere, suo malgrado, solo di fronte alla pressione di una forza imperiale, che si ponga al disopra di compagini statali più deboli e subordinate.
Scateniamo pure l’inferno contro le parate che non ci piacciono, se abbiamo energie da sprecare; ma magari, qualche volta, carissimi pacifisti con accesso ai piani alti governativi e alle commissioni parlamentari, cerchiamo di indicare con precisione quali sono i problemi centrali riguardo alla presenza della violenza nel mondo: guardiamo agli Stati per quello che sono realmente, cioè dei soggetti che commettono crimini tremendi e che sono quindi più pericolosi della peggiore banda di briganti (come già ci spiegava il vecchio Tolstoj, tanto letto, tanto lodato e tanto frainteso dai più). Con questo non si vuole certo sostenere un indifferentismo assoluto. I regimi politici statali non sono tutti uguali: non si tratta di brancolare nel buio schiaffeggiando tutte le mucche parimenti grigie. Ci sono regimi dove, tanto per fare un esempio che ci interessa, i libertari riescono a sopravvivere e altri regimi in cui vengono eliminati materialmente o metaforicamente. Ciononostante, bisogna essere in ogni caso coscienti della connessione ineliminabile tra ogni Stato e le sue forze armate.
Vogliamo abolire la parata del 2 giugno? Non sopportiamo questa miseranda esibizione muscolare? Allora non indugiamo in cose inutili, operiamo da subito nella direzione giusta: facciamo quanto è possibile per contrastare l’esistenza di tutti gli eserciti e di tutti gli Stati. Ora, subito, senza compromessi dilatori.
Dom Argiropulo di Zab