Il Decreto Lavoro del “governo” Meloni sancisce:
– lo smantellamento della contrattazione collettiva e la non più necessaria mediazione sociale dei sindacati;
– la trattativa contrattuale aziendale anche tramite sigle “sindacali” gialle create per quella occasione (UGL in prima fila, una mini lobby connessa all’universo della estrema destra europea, oggi nominata interlocutrice del governo); contratti che possono essere peggiorativi delle condizioni del lavoratore, in conseguenza dell’ art. 8 del dl 148/2011;
– la contrattualizzazione individuale e discrezionale tra padrone e lavoratore, certificata da consulenti privati del lavoro;
– la totale precarizzazione per mezzo di chiamate ove il capitalista non deve dimostrare “le specifiche esigenze aziendali” causa del contratto a tempo ne la sua durata;
– il pagamento tramite voucher e la ulteriore detassazione del costo previdenziale del lavoro e dei profitti d’impresa;
– il disoccupato (18-59 anni) dovrà accettare qualsivoglia proposta di monte ore lavorative giornaliere, durata della assunzione e di salario, entro 80 km da casa o se superiore a 12 mesi entro il territorio nazionale pena la perdita del mini assegno di indennità.
È l’atto conclusivo di un percorso di smantellamento dei diritti imposti dal ciclo di lotte operaie e proletarie nate con l’autunno caldo del 1969 ed anni ‘70: dal Berlinguer dello “stringete le cinghie” all’Ichino del Jobs Act; una guerra contro gli sfruttati che ha visto le ristrutturazioni padronali della produzione affiancate dallo smantellamento dei diritti delegato alla partitica tutta con lo strumento della giurisprudenza, della Legge. È la totale precarizzazione della condizione lavorativa e di vita dei proletari in un paese ove i salari sono bloccati da trenta anni, la disoccupazione supera il 30% entro i 35 anni di età, i poveri ufficiali (ISTAT) sono almeno 25 milioni, comprendendo coloro che hanno si un lavoro ma la remunerazione non basta per i livelli minimi di sopravvivenza. Lo chiamano Liberismo, l’economia di mercato ove, non essendo più necessario il riformismo per contenere e sussumere i movimenti di lotta, ne per proteggere e promuovere lo sviluppo capitalista, si smantella ogni welfare e con esso lo stato mediatore tra le parti sociali, ogni diritto.
Tu, da capitale umano sei diventato una merce da usare e gettare nella società strutturata sulle diseguaglianze.
I “padroni al lavoro” mettono a Valore, a profitto anche tutti i servizi della cura: il sistema pensionistico (fine lavoro mai), la sanità pubblica (il diritto alla salute diventa il costo della cura), l’abitare e la città sono “pay for use” (transition town e smart cities ove la cittadinanza è a tassametro per il tempo di utilizzo, mentre tu, dalla vita precarizzata, resti nei ghetti e/o in spazi periferici distanti dalla città, nel suo territorio metropolitano).
Al contempo, onde evitare insorgenze e conflitti è necessario utilizzare campagne emozionali di massa: “le politiche di distrazione” sulla sicurezza, la immigrazione, i valori della nazione, il popolo unito, la riconduzione della condizione delle donne a fattrici domestiche (mogli e madri, angeli del focolare), l’ostracismo ad ogni diversità ed alterità biologica, culturale e sociale.
E quindi? Da libertari dobbiamo contribuire a suscitare, riportare il conflitto dentro ai luoghi di lavoro e nella metropoli: il corteo-parata nello sciopero non serve; il picchetto viene sfondato da polizia, crumiri e mercenari come avvenuto nella logistica ed alla Italpizza. Lo sciopero deve farsi dentro i luoghi del lavoro e nelle forme che più fanno male al padrone; il reddito va difeso e soprattutto ripreso promuovendo l’autoriduzione delle bollette, dei costi dell’abitare, il boicottaggio. Ma anche saldandosi con i movimenti per il clima, della Generazione Z, il post-femminismo antagonista. Mutualismo conflittuale dentro ad ogni momento della esistenza, con pratiche egualitarie ed autogestite: se non ora, quando?
Roberto Brioschi