La notizia per cui la Cassazione ha annullato per irregolarità formali alcune decine di migliaia di firme ai quattro quesiti referendari contro la “Buona Scuola”, facendo sì che per poche migliaia di firme non si raggiungessero le cinquecentomila necessarie, ha certo lasciato l’amaro in bocca ai lavoratori della Scuola che avevano tentato questa strada per opporsi alla legge 107. La domanda che serpeggia è: ed ora che fare?
In effetti, quello che si sarebbe dovuto fare 1. se si fossero raggiunte le cinquecentomila firme; 2. se la Corte Costituzionale avesse dichiarato l’ammissibilità dei quesiti; 3. se si fosse riusciti a portare al voto referendario almeno il mitico 50% più uno degli elettori; 4; se lo si fosse vinto; 5; se cosa molto più probabile delle precedenti, il governo – referendum sull’acqua docet – se ne fosse altamente fregato ed avesse continuato imperterrito per la sua strada.
Quello che si sarebbe dovuto fare, insomma, è una cosa vecchia, per niente facile, ma ineludibile: non ci sono “vie rege” per uscire dalle politiche di macelleria sociale degli ultimi decenni, c’è solo quello che hanno fatto con successo i lavoratori per tutto il XIX e buona parte del XX secolo: organizzarsi per la resistenza ed il contrattacco. Per il mondo della scuola, questo significa la cucitura di una rete di contatti, di là dell’appartenenza o meno sindacale, sia all’interno dei docenti “resistenti”, sia all’esterno, aprendosi alle altre realtà lavorative, per aprire una stagione di lotte davvero incisiva.
Siamo tutti sotto attacco da tempo: il governo attacca una categoria alla volta, la criminalizza, fa passare sulla pelle dei lavoratori le sue politiche di macelleria sociale, per poi passare alla successiva. Ricucire questi rapporti è difficile, ma non c’è altra strada: siamo tutti sotto attacco e tutti insieme dobbiamo reagire.
Enrico Voccia