Non ci sono governi amici

Per venerdì prossimo CUB, SI Cobas, SGB ed USI-CIT hanno indetto lo sciopero generale di 24 ore, una mobilitazione proclamata ai tempi del governo Conte-Di Maio-Salvini e che hanno mantenuto per una serie di obiettivi considerati sempre validi anche nell’epoca del nuovo governo trasformista guidato dall’ormai onnipresente camale(C)onte.

Manifestazioni si terranno a Milano, Torino, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e Catania per dare visibilità ad uno sciopero la cui riuscita ci darà il polso della situazione attuale nel quale si trova sia il sindacalismo conflittuale sia il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori.

È indubbio che le motivazioni addotte nei confronti del padronato e del governo mantengono tutta la loro validità, incentrate come sono sulla richiesta di forti aumenti salariali, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, la liquidazione della Fornero per andare in pensione a 60 anni o con 35 anni di contributi, la cancellazione dei Decreti sicurezza 1 e 2, l’abolizione del Jobs Act e del lavoro precario, la libertà per le organizzazioni sindacali presenti nei luoghi di sfruttamento di operare sullo stesso piano senza privilegi, la libera pratica dello sciopero svincolato dai cappi legislativi, la regolarizzazione di tutti gli immigrati e la parità di diritti per tutti i residenti sulla penisola, il ritiro delle truppe italiane stanziate all’estero ed il taglio delle spese militari, la detassazione dei redditi bassi, la sicurezza sul lavoro, la sanità e la scuola pubblica, la difesa dell’ambiente e la riconversione ecologica dell’economia.

Insomma un ampio ventaglio di rivendicazioni avanzate al tempo dei giallo-verdi e riproposte nell’epoca dei giallo-rosa pallido: non ci sono governi amici per chi è sottoposto al regime del lavoro salariato.

Non c’è dubbio che principale preoccupazione del sindacalismo conflittuale sia quello di mettere al centro dello sciopero la difesa delle condizioni materiali di vita delle lavoratrici e dei lavoratori, oggi particolarmente sottoposti ad un attacco continuo alle protezioni sociali, conquistate con dure lotte, e ad una progressiva erosione del reddito.

La necessità di una risposta si fa poi più forte nel momento che ci si misura con le nuove e più pesanti misure repressive comprese nei Decreti Sicurezza varati dai giallo-verdi, decreti che rappresentano un preciso attacco rivolto non solo contro gli immigrati ma contro quanti lottano, oggi e nel futuro. Il governo “Conte-Movimento 5 Stelle–PD– LEU” pensa infatti solo a piccoli ritocchi, mantenendo inalterata la loro impostazione. A quanti se ne stupiscono ricordiamo che con queste violente misure repressive si aggrava semplicemente ciò che è stato legiferato dai precedenti governi, quelli di centro sinistra targati P.D., che nel campo del lavoro si sono contraddistinti colpendo, di concerto con CGIL CISL UIL, il diritto di sciopero ed i diritti sindacali, perfezionando poi con il Job Act la loro demolizione. Per non parlare della riduzione dei servizi sociali, dalla sanità alla scuola, sottoposte in modo continuativo a ristrutturazioni e tagli.

Lo sciopero del 25 ottobre è un’aperta manifestazione della volontà di non lasciare alla destra il ruolo di principale oppositore del nuovo governo. Per essere maggiormente efficace deve dimostrare di essere capace di coinvolgere le tante lotte che agitano il paese a partire dalle centinaia di aziende in crisi, ai movimenti NO TAV e NO TAP, contro le Grandi Opere inutili e dannose, ai NO MUOS e ad A FORAS, contro il militarismo e la guerra, ai comitati di lotta per la casa, per la salvaguardia dei territori contro gli inquinamenti e le devastazioni, per le libertà civili, per la piena parità di genere. La costruzione di una grande forza collettiva è indispensabile non solo per l’oggi ma soprattutto per il domani, quando lo scontro interimperialistico si farà più duro e devastante, quando la robotizzazione del lavoro provocherà il surplus di manodopera. È urgente sviluppare sinergie tra i vari soggetti in movimento, è urgente costruire organismi di lotta trasversali, è urgente far crescere l’iniziativa dal basso.

Inoltre, a fronte dei processi migratori in atto, è indubbio che occorre rivendicare e affermare che “il proletariato non ha nazione”, operando di conseguenza contro lo sfruttamento intensivo, il caporalato, il lavoro nero, le intollerabili morti sul lavoro.

In un mondo dove esiste una sostanziale libera circolazione di capitali e di merci, sia pure mitigata dalla insorgente politica dei dazi, dove fabbriche e aziende possono essere spostate a piacimento mettendo lavoratrici e lavoratori sulla strada, dove le grandi coltivazioni a monocultura e l’acquisizione di terre mettono sul lastrico i contadini, dove i cambiamenti climatici e le guerre alimentate dagli appetiti imperialistici mettono in fuga intere popolazioni, dobbiamo rivendicare con forza la libera circolazione di ognuno senza condizioni per permettere a quant* sono sottopost* a queste privazioni di muoversi liberamente attraverso i confini, impegnandosi affinché le frontiere siano definitivamente abbattute con gli Stati che le hanno generate.

L’alternativa al sistema è possibile e può venire solo dalla società, dai lavoratori e dalle lavoratrici e non dallo Stato. Unendosi tra sfruttati e oppressi, mettendo in luce il proprio protagonismo, con il metodo della discussione e della decisione per consenso, superando la vecchia pratica basata su maggioranze e minoranze, praticando l’autogestione nei momenti di vita sottratti al potere, praticando solidarietà, antiautoritarismo, antirazzismo ed antisessismo, si potranno costruire movimenti di lotta non pilotabili da nessuno e così riprendere gli spazi di libertà sottrattici e far si che anche la prospettiva di un mondo di libere ed eguali diventi cosa concreta.

Massimo Varengo

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