In una valle del nord-ovest d’Italia è stato ideato un progetto faraonico per traforare la montagna e collegare Torino a Lione con un treno ad alta velocità. In quella valle dall’inizio dei lavori è però nata un’opposizione che prosegue ormai da anni e la premessa assomiglia molto all’incipit delle storie di Asterix e Obelix. Analogamente alla resistenza del villaggio gallico dei fumetti contro i Romani, in Val di Susa il popolo No Tav deve fronteggiare partiti, magistratura, forze dell’ordine e media.
L’11 marzo del 1995 si tenne a Firenze la prima manifestazione contro l’alta velocità, con delegazioni da tutto il paese. Come fossero Celti assediati dall’impero, tra le fila dei militanti e simpatizzanti ci sono anche bardi che cantano e urlano i loro componimenti per raccontare le mille avventure dei No Tav di tutti questi anni.
1 The Stab – NO TAV
Gli Stab si formano a Bologna sul finire degli anni ’80. Sono figli del punk 77, riprendono le sue sonorità e vi introducono nuove tematiche nei testi in italiano. Il loro rock urbano, che giunge dai quartieri della prima periferia del capoluogo emiliano, viene innestato anche da sonorità ska, reggae e folk. Su Rumore Stiv Valli scrisse che gli Stab sono “Un’esaltante scoperta per le vecchie generazioni, e una guida nel tempo per le nuove”.
Gli Stab nel 1991 partecipano alla compilation Oi! Siamo Ancora Qui!! assieme a gruppi provenienti da tutto lo Stivale. Quel disco è la miglior raccolta di quella generazione “che arrivò quando il Punk era già diventato vecchio e che diventò vecchia quando il Punk ritornò di moda”.
Nel 2016, dopo oltre 20 anni dal primo vero album “Nessun Ribelle”, danno alle stampe …Non Verremo Spazzati Via!. La registrazione rende al meglio la rabbia e la durezza delle loro canzoni, anche con chitarre pulite e poche urla il rock stradaiolo sa ancora accoltellare allo stomaco. Evocativa, oltre al titolo, è la copertina dell’album, che introduce temi e contenuti ricorrenti nei testi degli Stab, i quali anche nella loro ultima produzione non mancano.
Sopra un muro di mattoni rosso-Bologna è immortalata la scritta “rifugio”, bianca all’interno di un rettangolo nero, con una grande freccia sottostante, su cui è scritto l’indirizzo in cui si trovava. È una stencil sopravvissuta agli anni ’40: tra le viuzze del centro storico si possono ancora leggere molte scritte e indicazioni apposte durante la Seconda Guerra Mondiale. Servivano a guidare la popolazione durante i bombardamenti aerei, in particolare per indicare loro la collocazione dei rifugi e delle uscite di sicurezza. La maggior parte di questi spazi non è più accessibile né visitabile, o ha cambiato destinazione d’uso, così che per la band i pigmenti bianchi e neri che hanno resistito sui muri della città per decenni rappresentano un simbolo che indica lo spazio in cui resistere per antonomasia.
Il rifugio, inteso proprio come un luogo in cui rintanarsi durante un momento di difficoltà e di rischio per la propria incolumità ma dove si può continuare a sperare e cospirare, da cui poter saltare fuori al momento opportuno per attuare ciò che si è organizzato. Da questa semplice foto traspare l’attenzione della band per la memoria storica ma anche la volontà di attualizzarla. Dopo questa premessa le analogie tra l’attività della Resistenza ed il mondo dell’underground risultano lampanti.
Nell’album ritornano testi intelligenti e precisi che toccano molti temi: il suicidio di chi è soffocato dai debiti (“Senza Pietà”, dedicata a Giuseppe Campaniello), la trasmissione di valori alle giovani generazioni (“Per Te”) e la vacuità e spregevolezza della nostra società (“L’Uomo Uccide”) per citarne alcuni.
Tra le canzoni d’apertura vi è anche “No TAV”, un brano che sa raccontare una lotta senza pretese di oggettività. “Nelle valli la nostra storia / Nella natura la nostra vita / Non calpestare questa terra / Se non la rispetterai / Non toccare le nostre montagne / O te ne pentirai”. Le chitarre vanno spedite; immancabili i cori, che con il tambureggiare danno un’impronta ancora più tribale. “Dai nostri avi ai nostri figli / Valori scolpiti nella roccia / Intorno a noi la forza del tempo / Dentro la rabbia e l’orgoglio”. In pochi versi si possono leggere i collegamenti con antiche lotte che agitarono la Valle, da Fra Dolcino fino al triennio 1943-45. “Non ci spaventa lottare, non avrete vita facile / Non ci fermerete mai, non ci fermeremo mai”. Nel disco la bandiera “No TAV” compare tra i loghi accanto a quello dell’etichetta ed a quello antifa. “Dallo Stato accuse di terrorismo / Per fermare una lotta che fa paura / Troppo alto il consenso intorno / Troppo forti le grida di rabbia”. Il finale sembra riprendere “Come i Nostri Vecchi”, una loro canzone incentrata sulla lotta partigiana. “Apri gli occhi e non lasciarci soli / Su questa strada che non porta in nessuna città / Senti questo rumore, lo senti / Sono i nostri vecchi che si girano nelle tombe”.
2 Giada & The Barber Shop – Il Vlues della Maschera Antigas
“Il Blues della Maschera Antigas” è una canzone scritta da Giada & The Barber Shop. Una band proveniente dalla Val di Susa che propone nel proprio repertorio tanti classici del rock, blues e del country degli anni ’50 e ’60. Il loro genere ricalca quello delle versioni originali dei loro brani di riferimento.
La canzone, a detta del gruppo stesso, vuole essere un “omaggio a un capo di abbigliamento utile e trendy che non può mancare nel guardaroba del montanaro moderno”. La band infatti compone un testo ironico e leggero che si incentra sull’utilizzo del più efficace accessorio per contrastare l’effetto dei gas lacrimogeni e cs.
Il suono dell’armonica accompagna tutto il brano, ideale per ricreare un’atmosfera country blues. Giada canta versi semplici che potrebbero essere interpretati come un normale brano blues non ambientato in Val di Susa ma ossessivamente viene ribadito di indossare il dispositivo in grado di filtrare i gas che avvelenano l’aria. “Mi piace andare in giro, con la maschera antigas / mi sento troppo in tiro, con la maschera antigas / la gente tutta intorno, ha la maschera antigas”.
Quella dei Barber Shop è un’inaspettata focalizzazione su un aspetto dei mille momenti delle iniziative contro il treno ad alta velocità. Durante le mobilitazioni anti Tav, innumerevoli volte i lacrimogeni hanno coperto l’aria rendendola irrespirabile ma nessuno avrebbe pensato che quelle situazioni avrebbero potuto avere una colonna sonora ad hoc, senza alcuna nostalgia per i vecchi spicchi di limone, ormai desueti, ma pur sempre funzionanti. “C’è quello che mi spara, con la maschera antigas / c’è quello che mi filma, con la maschera antigas / la coda in ferramenta per la maschera antigas”. Il testo è chiaramente ironico fin dal titolo ma non completamente disimpegnato. Infatti i gas lacrimogeni sono considerati un’arma chimica, vietata in guerra ma il cui utilizzo è lecito per regolare situazioni di ordine pubblico interne.
“Nello zaino c’è il caschetto, gli occhialini, il fazzoletto, / qualche fetta di limone, del formaggio, del salame, / un coltello multiuso, cioccolato mezzo fuso, / acqua, birra, dei cerotti, dei biscotti tutti rotti / e i filtri di ricambio per la maschera antigas”.
Via via nel testo emergono altri elementi che caratterizzano i cortei del Movimento, sempre in relazione ai famosi gas ed alle loro ripercussioni. Dopo la strofa incentrata su chi spara i lacrimogeni, che a sua volta indossa maschere dotate di filtri, si sciorina l’elenco di tutto quello che non può mancare nello zaino di un manifestante che decide di salire in Valle.
3 Gianni Milano – Vedremo Inverni Ancora
Anche Gianni Milano ha scritto una canzone contro il progetto dell’Alta Velocità. Il titolo riprende il primo verso del brano, che si ispira alla tradizione dei canti montanari. “Vedremo inverni ancora / e il freddo che ci agghiaccia, / dicemmo no allora, / vi piaccia o non vi piaccia”.
L’autore, lavorando come insegnante, ha saputo sperimentare forme alternative ed anticonformiste di interazione con gli alunni. Aveva partecipato inoltre al nascente movimento beat collaborando con molte riviste underground, venendo infatti soprannominato “il maestro capellone”.
“Unimmo età diverse / storie figlie del mondo / son qua, non si son perse / ma scese più in profondo.” La canzone riporta molte delle istanze dei No Tav, che vanno oltre i temi ambientali e l’opposizione alle speculazioni: il senso di comunità che porta con sé un’idea di società diversa, caratterizza da sempre le lotte della Val di Susa. “La lotta che ci unisce / contro nemici infami / rinforza noi e stordisce / quest’invasori grami”. Questi versi sembrano rifarsi proprio alle storie di Asterix Contro la Tav” editate dal Movimento ed ispirate alle forti analogie con il classico fumetto francese. “Per la pace noi siamo / ma qui è la nostra terra / e indietro non andiamo”.
EN.RI-OT