Sabato 23 novembre 2024, come gruppo Bakunin abbiamo partecipato alla manifestazione indetta dal movimento transfemminista Non Una di Meno contro il patriarcato e tutte le forme di oppressione che oggi segnano la vita delle donne, delle persone LGBTQIA+, migranti e delle persone con disabilità. La manifestazione si è svolta in un clima di forte mobilitazione, in un contesto politico e sociale sempre più segnato dal rafforzamento delle dinamiche di sfruttamento e oppressione.
Il filo conduttore della manifestazione è stato l’interconnessione tra patriarcato e capitalismo, due sistemi che si alimentano a vicenda nell’imporre e mantenere disuguaglianze di genere, razziali e sociali. Il patriarcato non è solo una struttura di dominio maschile, ma è strettamente legato alla logica del capitale, che sfrutta i corpi delle donne per la riproduzione sociale e per garantire il profitto. Le donne continuano a subire il doppio sfruttamento: nella sfera privata e domestica dove le si vorrebbero nel ruolo di genitore e care giver subordinato alla figura maschile, e in ambito professionale in cui si trovano troppo spesso a subire precarizzazione, gap retributivo e discriminazione di genere, soprattutto quando scelgono di diventare madri.
Siamo scesə in piazza per sottolineare come il capitalismo neoliberista, oltre a perpetuare la disuguaglianza economica, sfrutti in modo particolare le donne, soprattutto quelle più vulnerabili, come quelle con background migratorio e con disabilità.
La mercificazione del corpo femminile e la condizione di subalternità in cui le donne vengono costrette sono il cuore di un sistema che non solo perpetua il patriarcato ma lo sfrutta come risorsa.
Durante la manifestazione è stata anche denunciata l’ascesa di uno Stato sempre più neofascista e repressivo, che limita le libertà civili e impone modelli sociali oppressivi. Il governo attuale, con le sue politiche xenofobe e autoritarie, sta instaurando un clima di paura e divisione, in particolare nei confronti delle donne migranti e delle persone LGBTQIA+. La retorica neofascista si alimenta di paure sociali costruite ad arte, con la volontà di mantenere il controllo attraverso l’intimidazione, la violenza e la repressione.
Il rafforzamento dei legami tra lo Stato e la Chiesa cattolica, che si manifesta in politiche restrittive sui diritti sessuali e riproduttivi, sta erodendo i diritti delle donne, in particolare sul fronte dell’aborto. La minaccia di una sua ulteriore criminalizzazione e l’imposizione di una “via cattolica” in campo legislativo sono state al centro della protesta. È stato ribadito che ogni attacco ai diritti sessuali e riproduttivi è un attacco alla libertà di tuttə.
Il diritto all’autodeterminazione, alla libera scelta di diventare madri o di ricorrere all’interruzione di gravidanza assistita medicalmente, gratuita e in anonimato, conquistato con lotte dure e radicate nella storia del movimento femminista, è oggi sotto minaccia. La manifestazione ha messo in evidenza come la retorica cattolica, sostenuta da tutti i settori politici autoritari dell’arco costituzionale, stia cercando di delegittimare e ostacolare l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Le difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari per l’aborto, le pressioni nelle strutture pubbliche e la diffusione di false informazioni sono elementi concreti di una battaglia che, purtroppo, si ripete anche oggi.
Un tema fondamentale è stato quello dell’intersezionalità, che ha visto la partecipazione di donne e persone con background migratorio, con disabilità e di tutte quelle che si trovano ai margini della società. La lotta contro il patriarcato non può essere separata dalla lotta contro il razzismo e l’abilismo, poiché la discriminazione interseca molteplici forme di oppressione. Le donne migranti, infatti, sono spesso vittime di violenza sistematica, sia da parte delle istituzioni che della società civile, con un’aggravante: la discriminazione etnica e l’impossibilità di accedere a diritti basilari.
Le donne con disabilità sono altresì costrette a fare i conti con una società che non solo le esclude, ma le considera invisibili, marginalizzandole nelle lotte politiche e sociali. Molte persone, spesso donne anziane, vengono abbandonate nelle RSA aspettando solamente la morte in solitudine e, nelle stesse strutture, il gender gap del personale è evidente, con una percentuale altissima di donne precarie e migranti che vi lavorano, in una sorta di inquietante ruota della vita.
La solidarietà tra donne, trans e persone con disabilità è stata al centro della manifestazione, con l’esigenza di costruire una società che sia realmente inclusiva e capace di rispondere ai bisogni di tutte.
Durante il corteo, le contestazioni contro la guerra e il militarismo hanno avuto un ruolo centrale, soprattutto quando è sfilato accanto al ministero dell’economia. Lo slogan “disarmiamo il patriarcato” ha sottolineato il legame tra la violenza patriarcale e le logiche di guerra, denunciando la militarizzazione come strumento di oppressione. Il lancio di vernice e fumogeni dentro il cortile del ministero simboleggiava la contestazione per l’aumento delle spese militari a scapito di servizi fondamentali come la sanità e l’istruzione, definendo la guerra un’espressione estrema della violenza patriarcale che perpetua disuguaglianze e oppressioni su scala globale.
Il corteo ha espresso solidarietà con le donne e le soggettività libere che resistono ai conflitti in Palestina, Iran, Ucraina e altri territori, evidenziando l’impatto devastante della guerra sui corpi e sulle vite di chi subisce l’oppressione. È stata ribadita la necessità di una resistenza collettiva contro la militarizzazione dei territori, il razzismo di Stato e l’economia di guerra, per costruire un’alternativa transfemminista basata su giustizia e libertà.
Un momento significativo della giornata è stato l’omaggio alle vittime della transfobia in occasione del Transgender Day of Remembrance (TDoR). Il 20 novembre è stato il giorno in cui si è ricordato ogni anno il numero crescente di donne e uomini trans che hanno perso la vita a causa della violenza e dell’odio. La transfobia, così come il razzismo, non può essere disgiunta dalla lotta per l’emancipazione di tuttə, indipendentemente dall’identità di genere.
In un contesto di crescente intolleranza e violenza, è fondamentale che queste vittime non vengano dimenticate. La solidarietà tra le varie comunità oppresse è un aspetto imprescindibile per costruire una lotta comune contro tutte le forme di discriminazione.
La manifestazione di sabato 23 novembre ha rappresentato un’importante occasione di visibilità e di lotta collettiva, in cui le istanze delle donne, delle persone LGBTQIA+, migranti e con disabilità si sono intrecciate e unite contro il patriarcato, il capitalismo, il razzismo e la violenza. Le grida e gli slogan che hanno riempito le strade di Roma sono un richiamo alla lotta per l’emancipazione di tuttə, senza distinzioni, senza margini di esclusione. È evidente che la strada da percorrere è ancora lunga, ma le manifestazioni come quella di sabato sono un segno tangibile che la lotta contro l’oppressione e per i diritti non si ferma, e continuerà a crescere nella forza e nella determinazione.
Gruppo anarchico Mikhail Bakunin – FAI Roma & Lazio