Alle decine di migliaia di vittime sconosciute, in carne ed ossa, uccise da un virus con la complicità di chi ha sempre preferito finanziare l’industria delle armi piuttosto che un sistema sanitario gratuito e per tutti, ne andrebbe aggiunta un’altra non umana ma probabilmente più famosa. Proviamo a raccontare, per sommi capi, la storia di questa “vittima”, che alla sua nascita sembrava destinata a un grande avvenire ma che, dopo una breve e travagliata esistenza, rischia di essere completamente dimenticata.
L’idea di usare gli onnipresenti cellulari per fare qualsiasi cosa non è certo nuova e, con il passare del tempo, si sono andate ad aggiungere alla funzione originaria altre molteplici caratteristiche che spesso fanno dimenticare a cosa serviva il telefono quando è stato inventato. Per questo nessuno si è meravigliato quando, immediatamente dopo l’inizio dell’epidemia, i mezzi di comunicazione di massa hanno iniziato a tessere le lodi di quei paesi dove si raccontava fossero stati usati con successo dei programmi installati sui telefonini (le famigerate “App”) per tenere sotto controllo l’andamento del contagio e dei contagiati.
Anche in Italia quasi subito sono comparse le prime applicazioni, soprattutto create da piccole aziende, che si proponevano come un aiuto al tracciamento del virus. Dopo una prima falsa partenza, col tempo passato a discutere su quale software usare, il 16 aprile scorso il Commissario straordinario per l’emergenza annunciava che sarebbe stata adottato “Immuni”, un programma sviluppato da una azienda privata e messo a disposizione gratuita di tutti. Superato lo scoglio dei problemi legati alla riservatezza dei dati, il 25 maggio il “codice sorgente” veniva rilasciato pubblicamente su una delle piattaforme usate dai programmatori di “software aperto”.[1] La sperimentazione di questo strumento viene fatta all’inizio di giugno in quattro regioni ed il suo rilascio ufficiale avviene a metà dello stesso mese. Da quel momento il programma è scaricabile dai siti dei due maggiori (per non dire unici) proprietari dei Sistemi Operativi che fanno funzionare la quasi totalità dei cellulari. Gli esperti ritenevano che, per avere risultati significativamente utili, l’applicazione doveva essere installata sui telefonini da almeno il 60% della popolazione.[2]
Tutto bene? Non proprio, visto che il primo intoppo viene fuori a proposito di alcune delle immagini usate per pubblicizzare il programma: il disegno di una famiglia con la donna che ha in braccio la prole e l’uomo che sta al computer (probabilmente in “lavoro agile”), insomma il peggio del peggio degli stereotipi. L’incidente viene risolto in tempo record semplicemente invertendo le situazioni: adesso è la donna al computer mentre l’uomo ha in braccio la prole. A dimostrazione che l’aspetto pubblicitario era tra quelli più importanti sta il fatto che altri problemi, immediatamente evidenti e altrettanto bisognosi di una rapida soluzione, restano invece irrisolti.
Per usare il programma occorre avere un telefono abbastanza nuovo e sul quale sia installato un Sistema Operativo aggiornato. Non è possibile scaricare “Immuni”[3] se non dai siti di Apple e Google e quindi i dati personali di chi l’ha installata non sono in mano alle autorità italiane ma a due superpotenze commerciali multinazionali, alla faccia della riservatezza. La promessa iniziale di rendere il software utilizzabile anche da chi usa altri Sistemi Operativi, “un problema che dovrebbe essere risolto a breve”,[4] non è stata fino a oggi mantenuta. Infine, il Ministero della Salute, proprio alla vigilia del rilascio, indica senza mezzi termini i limiti di quella soluzione: “Nell’ambito del contact tracing, l’utilizzo di tecnologie come le applicazioni mobili (“apps”) offre numerose possibilità, sebbene il metodo tradizionale rimanga quello principale per la ricerca e la gestione dei contatti. Le applicazioni mobili possono integrare e supportare questo processo, ma in nessun caso possono essere l’unico strumento utilizzato.”[5]
La risposta dei destinatari finali non è entusiastica: fino al 21 novembre scorso “Immuni” era stata scaricata 9.859.005 volte[6] ma non è possibile sapere[7] quante di queste persone l’hanno attivata, quante invece l’hanno installata e poi rimossa o quante la tengono semplicemente “spenta”.
Lo scoglio più grande, ben noto fin dall’inizio [8], è però che dietro alla più sofisticata delle tecnologie deve esserci anche un supporto che molto spesso necessita del lavoro di persone reali. Infatti il protocollo prevede che, una volta che sia stata accertata la positività al tampone di una persona, il personale sanitario debba chiederle se ha installata l’applicazione e se vuole fornire il suo codice in modo da attivare gli avvisi indirizzati a tutti i cellulari di chi è entrato in contatto con lei. Senza questo passaggio essenziale avere scaricato “Immuni” sul telefonino è praticamente inutile.
Qualcosa però non funziona se, a poco più di una settimana dalla diffusione del software, già si parla di “flop”,[9] una velocità di obsolescenza decisamente sorprendente anche per un prodotto digitale; il pessimismo continua per settimane,[10] accompagnato anche da alcuni problemi tecnici che continueranno ad affliggere il programma ancora a settembre.[11]
Ad ottobre, con i primi segnali della ripartenza del contagio, qualcuno si ricorda dell’esistenza e delle condizioni in cui versa l’applicazione tanto pubblicizzata e propone addirittura di “rianimarla”,[12] mentre altri scoprono cose che si sapevano anche sei mesi prima, cioè che per averla sul telefonino è necessario possedere gli ultimi modelli ma, cosa ancora più grave, che qualcosa non funziona se si vogliono seguire le indicazioni previste dal protocollo.[13]
A metà dello scorso mese finalmente tutti si accorgono della principale ragione di questo fallimento, insomma che il funzionamento di tutta la procedura si blocca quando gli operatori sanitari dimenticano di chiedere ai positivi se hanno installato l’applicazione, di chiedergli il codice, di inserirlo nel sistema.[14] Fatto che diventa ancora più evidente dopo che alcuni giornalisti scoprono “che l’inserimento dei codici lo scorso 13 ottobre non era ancora operativo in Veneto e utenti di Liguria, Lombardia e altre Regioni avevano raccontato di non aver trovato interlocutori in grado di caricare il codice”.[15] Una prima toppa viene messa solo con l’ennesimo DPCM, quello del 18 ottobre, che prescrive: “al fine di rendere più efficace il contact tracing attraverso l’utilizzo dell’App Immuni, è fatto obbligo all’operatore sanitario del Dipartimento di prevenzione della azienda sanitaria locale, accedendo al sistema centrale di Immuni, di caricare il codice chiave in presenza di un caso di positività”.[16]
In altre parole il Governo ci ha messo quattro mesi e decine di migliaia di morti per provare a far funzionare non una applicazione[17] ma la procedura ad essa collegata. Qualcuno potrebbe credere che alla fine ci sia riuscito: la risposta è no. Questa triste storia riserva ancora qualche sorpresa, non l’annuncio che l’applicazione è interoperabile e condivisa con alcuni paesi europei (Irlanda, Spagna, Germania, Danimarca, Latvia) e neanche la scoperta dell’ennesimo problema tecnico ma il primo Decreto “Ristori”, cioè il DL 28/10/2020, n.137 che all’art.20 prevede l’“Istituzione del servizio nazionale di risposta telefonica per la sorveglianza sanitaria”.[18] Il problema è che, per come è organizzata la macchina sanitaria, il sistema non potrà funzionare, come sentenzia un noto quotidiano nazionale, con un titolo che ha molto dell’epitaffio: “È nato con tre errori. Il nuovo call center non salverà Immuni”.[19] Un fallimento annunciato fin dall’inizio.
Per non sprecare altro spazio evitiamo di citare anche solo una delle innumerevoli iniziative pubblicitarie del Governo e dei suoi sostenitori che in cinque mesi hanno continuato a promuovere, a tutti i livelli ed in ogni contesto, qualcosa che era partito come uno strumento propagandistico, che non funzionava[20] e che si è infine trasformato nel classico boomerang.
Per il momento la breve e triste vita di “Immuni” finisce qui ma nessuno può escludere un seguito…
Pepsy
Riferimenti
[1] Il “codice sorgente” è l’insieme delle istruzioni che compongono un programma per computer. Di solito i codici sorgente dei programmi più famosi, quelli che hanno fatto la fortuna di molti multimiliardari, non sono pubblici e sono coperti dalle leggi sul diritto di autore. Il “software aperto” al contrario mette a disposizione di tutti il “codice sorgente” dei programmi in modo che chiunque abbia la capacità di leggerli possa capire cosa fanno.
[2] Vedi, ad esempio “L’app Immuni al via”, Il Sole 24 ore, 02/06/2020 e “Immuni è arrivata”, La Repubblica, 02/06/2020.
[3] In realtà, con qualche “trucco” sarebbe anche possibile aggirare questo problema ma questa non è una operazione alla portata di tutti.
[4] Vedi “App Immuni al via in quattro regioni”, La Repubblica, 08/06/2020.
[5] Circolare del Ministero della Sanità n.18584 del 29/05/2020, pag. 7.
[6] Dati dal sito ufficiale di “Immuni” https://www.immuni.italia.it/dashboard.html
[7] In realtà lo sanno le citate multinazionali che distribuiscono l’applicazione tramite i loro servizi.
[8] Vedi, ad esempio “L’App Immuni debutta in quattro regioni. Inutile senza medici”, La Stampa, 09/06/2020.
[9] Vedi ad esempio “Test sierologici e Immuni. Il doppio flop della fase 3”, Il Messaggero, 22/06/2020 e “Difetti tecnici e dubbi sulla privacy. Le app contro il Covid sono un flop”, La Repubblica, 25/06/2020.
[10] Vedi ad esempio “Il flop dell’App Immuni spaventa i virologi”, La Stampa, 22/07/2020.
[11] Vedi ad esempio “Immuni spunta la prima falla”, Il Giornale, 14/09/2020.
[12] Vedi “”Operazione Immuni: la App è da rianimare”, Il Fatto Quotidiano, 04/10/2020.
[13] Vedi “Se usare Immuni è quasi impossibile”, La Stampa, 06/10/2020.
[14] Vedi “Le bugie dei contagiati e le amnesie delle Asl, così Immuni va al minimo”, La Repubblica, 11/10/2020.
[15] Vedi “L’app Immuni è obbligatoria per le Asl (e Conte pensa di imporla anche ai cittadini)”, https://www.corriere.it/tecnologia/20_ottobre_19/immuni-obbligatoria-le-asl-conte-pensa-imporla-anche-cittadini-84e12c30-11d5-11eb-9ff9-df76cb96fbac.shtml
[16] Applicazione che, almeno dal punto di vista tecnico, funziona non peggio di altre.
[17] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/10/18/20A05727/sg
[19] Vedi “È nato con tre errori. Il nuovo call center non salverà Immuni”, La Repubblica, 01/11/2020.
[20] Ancora ad ottobre, quando era ormai evidente a tutti il fallimento, la Ministra dell’Innovazione, intervenendo all’Internet Festival si dichiarava “molto fiera” di “Immuni” e della sua interconnessione con la macchina della Pubblica Amministrazione. Vedi https://www.lastampa.it/tecnologia/news/2020/10/11/news/l-app-immuni-su-uno-smartphone-ogni-cinque-1.39406175i