Awawe è un collettivo politico, composto da donne migranti latinoamericane, attivo a Trieste da qualche anno. Tra i loro attuali progetti, la raccolta e diffusione di una serie di interviste a cantanti e musiciste femministe. [NdC]
In America Latina si trovano 14 dei 25 paesi con più alto numero di femminicidi per abitanti al mondo: un continente dove il maschilismo e il post colonialismo opprimono costantemente le donne e le persone che si identificano con le diverse categorie LGBTIA+. Per denunciare la violenza di genere subita costantemente e la re-vittimizzazione sociale, giudiziaria e statale, il 3 giugno 2015, 300.000 persone hanno manifestato di fronte al Congresso argentino, al grido di “Ni una menos”. Le loro voci hanno avuto eco in tutto il mondo, dando vita a un movimento senza confini. Non Una di Meno è soltanto una delle tante realtà in America Latina che lottano insieme contro il femminicidio e contro il machismo, una violenza palpabile in ogni aspetto della società.
Nell’ultimo decennio il femminismo latinoamericano è cresciuto e maturato, all’insegna di una sorellanza che vede le artiste, soprattutto musiciste, tra le portatrici di questo messaggio. Abbiamo sentito il bisogno, da donne migranti latinoamericane, di capire meglio quali siano le lotte e le armi che utilizzano: abbiamo dato il via alla creazione di una serie di podcast, intervistando cantanti, musiciste, donne latinoamericane che si occupano di arte in un senso più ampio e che lo fanno a partire da una prospettiva femminista.
Molte di queste cantanti godono di un certo successo, non solo nel continente ma anche in Europa, particolarmente in Spagna e in Italia, diventando in alcuni casi delle referenti musicali per i movimenti femministi e per coloro che più in generale si ritrovano nei messaggi veicolati.
Se parliamo di America Latina, musica e femminismo ci troviamo davanti ad una situazione molto eterogenea, dovuta alle particolarità di ogni luogo: per i contesti politici e sociali in cui queste donne sono cresciute e vivono, per le diverse declinazioni e tematiche della lotta femminista, per i generi musicali che possono influenzare la loro arte; in questa complessità ogni singola donna che abbiamo intervistato veicola in modo unico tutto questo attraverso il proprio talento. Presentiamo qui le prime due interviste.
Natalia Norte
In Cile le proteste, iniziate nell’ottobre 2018 e tuttora in corso, hanno messo in discussione il sistema politico, economico, sociale e culturale del paese. In questo momento storico, il movimento femminista gioca un ruolo chiave: si unisce a gran voce alle rivendicazioni, diventando a volte anche capofila e portando visibilità internazionale alle proteste; pensiamo per esempio all’eco mondiale che ha avuto il flash mob del collettivo “Las Tesis”, che dimostra bene come arte, musica femminista, politica e rivendicazione di diritti siano strettamente intrecciate in una ricerca che, prima di tutto, vuole rompere con la cultura patriarcale purtroppo molto radicata.
Natalia Norte è cantante, autrice, ballerina; nasce e vive attualmente nella città di Iquique nel nord del Cile e fa parte di questo coro di donne ormai inarrestabile. “L’arte è protesta (…) è un atto dimostrativo anche il solo fatto di essere in piedi in una manifestazione (…) c’è arte, c’è vita, è tutto collegato. Se vedi le manifestazioni, tutto è arte, sei lì che alzi la voce, che canti, che balli, che fai rete con altri per strada. Senza arte non si può vivere, senza musica io non riesco a vivere. Il tutto è al 100% politico.”
Natalia ci ha parlato delle difficoltà che trovano le artiste femministe nell’industria musicale, composta principalmente da uomini. Molto spesso sono i maschi ad occupare posizioni fondamentali, nel creare e mantenere alleanze, nelle scelte creative, nell’amministrazione e direzione degli investimenti per esempio, aspetti chiave nell’industria musicale. Natalia è testimone delle barriere che possono essere poste di fronte ai corpi e ai messaggi delle donne cantanti.
A questa disuguaglianza di fondo, comune a molti altri ambiti della vita delle donne cilene, lei reagisce facendo della sua musica uno strumento di cambiamento. Per Natalia alla base dell’agire vi sono l’educazione, la costruzione di alleanze e del senso di collettività e la possibilità di “aprire la strada”, elementi necessari di un percorso coerente.
Nel suo discorso sostiene di avere parzialmente “il terreno preparato” grazie alla rigenerazione continua nel movimento femminista: siamo passato, presente e futuro, un’unica onda che nasce dall’eredità delle donne che hanno fatto la storia, si carica e assume nuovi significati nel presente, lasciando il segno su chi verrà.
Nel 2018 si tiene la prima edizione del “Ruidosa Festival”, un festival di musica al femminile creato e organizzato principalmente da donne, che si è svolto tra Santiago de Chile e Valparaiso; come racconta Natalia, che è stata tra le protagoniste, si è trattato di un occasione di scambio, confronto, arte e resistenza da una prospettiva multidisciplinare e femminista. Un femminismo che inizia dal raccontare storie, le proprie storie, che poi si scoprono essere quelle di tante altre donne.
Mare Advertencia Lirika
Rapper femminista di Oaxaca, Mare Advertencia Lirika ci ha fatto conoscere uno spaccato del suo mondo, complesso, ricco: trasporta nella sua musica la consapevolezza di conoscere se stessa e la società che la circonda, resistendo ed evolvendosi, in un’opera di costante denuncia.
Mare nasce a Oaxaca, uno stato del sud del Messico, nelle cui fertili valli fiorirono gli Zapotechi, antica civiltà precolombiana. “Nominarmi zapoteca, donna, migrante, femminista, è anche un po’ la faccia con la quale affronto il mondo, mi riconosco in queste oppressioni”.
I popoli originari di Abya Yala subiscono da sempre: a partire dall’arrivo degli Spagnoli ebbe inizio il loro annientamento; il saccheggio delle terre ricche di risorse naturali fu ed è ancora sinonimo di arricchimento, la loro visione del cosmo fu ed è ancora derisa e in nome della “civiltà” vennero imposte una nuova lingua e una nuova religione.
Oggi la violenza è perpetrata dallo Stato messicano stesso, che riconosce l’autodeterminazione dei popoli originari solo sulla carta mentre, nel quotidiano, il retaggio coloniale la fa da padrone. La società post-coloniale rinnega ancora una volta le proprie radici, non facendo tesoro dell’esperienza dei popoli originari e di chi resiste pagando con la propria vita per salvaguardare cosmovisione e terre dagli interessi del capitalismo estrattivista. Un ulteriore problema è rappresentato dalla guerra militarizzata contro i cartelli della droga, iniziata nel 2006 dall’allora presidente Felipe Calderon: una guerra che ha portato ancora più morte, “victimas colaterales”, tra persone appartenenti alle popolazioni originarie, che abitano nelle periferie, in quartieri abbandonati dallo Stato e dove la responsabilità di quelle morti non viene ufficialmente riconosciuta.
Mare è testimone della violenza strutturale nel suo paese, dove i sistemi economici, politici, medici e legali perpetuano le disuguaglianze e la violenza a più livelli, sia del singolo individuo che della comunità, come le disuguaglianze esistenti tra donne, dissidenze sessuali ed uomini davanti alla giustizia: fattori come origine etnica, genere, sessualità, abilità/disabilità, classe sociale, fede, sono tutti interconnessi e plasmano le nostre vite “collocandoci” in contesti specifici all’interno della società.
Mare diventa portavoce del dolore, della rabbia ma anche della gioia del suo popolo e lo fa attraverso la sua musica, riconoscendo così il suo privilegio. Ritrova nelle donne della sua famiglia l’impronta delle scelte fatte da sua nonna la quale, con un vissuto di violenza alle spalle, è la prima ad uscire fuori da quel cerchio e di conseguenza ha aperto la strada a nuove scelte e possibilità per i figli a venire; così è stato per la mamma di Mare e per Mare stessa.
Le prime forme di creatività nascono nella scuola pubblica che Mare frequenta, una scuola dove il magisterio disidente – Maestros de la Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación, la corrente dissidente del Sindacato Nazionale degli insegnanti statali fortemente radicata a Oaxaca, da voce alle problematiche del settore.
In questo contesto Mare trova degli spazi di dialogo e di dibattito: la narrazione ufficiale della storia viene scardinata e l’incontro con la poesia di protesta la aiuterà a capire che la realtà e la violenza che la circondava potevano essere contestate.
Generare nuovi spazi all’interno dell’ambiente artistico di Oaxaca non è stato facile per Mare; voler fare musica rap e nominarsi zapoteca significava doversi liberare da etichette caricaturali e folcloristiche. All’inizio della sua carriera musicale trova nella comunità hip hop il supporto per creare degli spazi indipendenti ma la svolta per la sua musica arriverà dopo la rivolta sociale del 2006, iniziata a sostegno al magisterio disidente dopo uno sgombero, quando il potere e gli apparati che lo detenevano furono messi in discussione: il governo, i partiti politici favorevoli al governo ma anche quelli di opposizione, mass media, polizia, tutto quanto.
Mare ci racconta delle sparizioni forzate operate dalle forze dell’ordine, come il caso degli studenti della scuola rurale di Ayotzinapa nel 2014, dei leader delle popolazioni originarie che lottano per salvaguardare la loro terra e vengono uccisi, della repressione da parte della polizia verso il magisterio disidente, delle vittime collaterali, dei femminicidi.
Stando a “A donde van los desaparecidos?”, organo indipendente di ricerca giornalistica, oggi in Messico 19 persone al giorno sono vittime di sparizioni forzate: si stima che siano 82.000 le persone scomparse e più di 2000 le fosse comuni sparse in tutto il territorio messicano.
Mare ha partecipato al progetto “Narrativas y Memorias de la desaparicion forzada en Mexico” con il pezzo “Se Busca”, composto per l’occasione. Il progetto mira a sovvertire i discorsi ufficiali, evitando di criminalizzare e di ri-vittimizzare le persone scomparse. Ne fanno parte collettivi che spaziano dall’arte performativa, al teatro, alla grafica.
Il podcast Puentes Errantes, continua il suo percorso di narrazione delle lotte femministe, sia a livello individuale sia collettivo. Abbiamo avuto recentemente la possibilità di parlare con tre musiciste argentine: Cecilia Epherra, Sol Donati e Julia Isgro, che hanno avuto ruoli importanti nella lotta femminista e non solo (Sol è anche un’attivista dei diritti del popolo Mapuche). Erano in piazza nel 2015 con Ni Una Menos. Cecilia, essendo anche un’insegnante. ha toccato con mano i limiti all’implementazione della legge sull’obbligatorietà dell’educazione sessuale integrale nelle scuole pubbliche e private, promulgata nel 2006. Ci raccontano anche di come nel 2019 in Argentina sia stata decretata per legge la partecipazione minima di un 30% di donne e persone LGBTIA+ nei festival musicali. E poi la marea verde argentina, quella che con grande forza ha portato avanti una delle lotte più importanti in termini di diritti delle donne: la legge per l’interruzione volontaria e gratuita della gravidanza. Dopo una lunga battaglia, il 29 dicembre del 2020 si è ottenuta l’approvazione da parte di un senato cattolico e conservatore. Cecilia, Sol e Julia erano lì, col loro pañuelo verde al collo, pronte per difendere i diritti di tutte.
Donne inarrestabili che speriamo di continuare a conoscere e raccontare, che con la loro forza, plasmata nella loro arte alzano la voce per le loro sorelle.
Gruppo Awawe