La tortura legalizzata dei lager di stato è ormai una innegabile certezza documentata da centinaia di foto, video, dossier e testimonianze, arrivate anche nelle le aule giudiziarie, a rivelare la vergogna finora tenuta nascosta.
La verità di oltre 25 anni di abusi, violenze e soprusi dietro le sbarre dei luoghi di detenzione amministrativa a danno di persone che, in gabbie nascoste nelle nostre città, vengono private della libertà personale non per un reato, ma per un illecito amministrativo che non possono non commettere: quello di non possedere un titolo di soggiorno che la legge non permette nei fatti di avere.
Questo odioso esempio di razzismo istituzionale (non esiste la detenzione amministrativa per un cittadin* italian*) è il colpo di coda dello stesso mostro che poggia la testa e le mani insanguinate sulle frontiere della Fortezza Europa, all’ingresso della quale il nostro paese svolge il suo compito infame di fido cane da guardia.
Tra i suoi frutti più amari:
– il memorandum a firma Minniti che, prorogato, finanzia a tutt’oggi i lager libici e la guardia costiera che riporta all’inferno chi ne è sfuggito;
– il trattato Italia-Tunisia a firma Lamorgese e rinnovato dalla Meloni, che dietro il paravento di scambi commerciali favorisce ogni anno la deportazione di migliaia di cittadini tunisini fuggiti dal proprio paese, in mano a un dittatore xenofobo e affamatore;
– il progressivo dilagare della detenzione amministrativa anche alle frontiere, che imprigiona e criminalizza non più solo chi è etichettato come “migrante economico” ma anche le stesse persone richiedenti asilo tutelate dalla Costituzione.
Il tutto mentre ancora più subdola e sofisticata si prepara ad essere la violenza al varco dell’UE tramite l’utilizzo di schedature preventive e scanner biometrici a rubare identità e libertà di movimento a chiunque abbia più di sei anni.
Poi, il destino di chi osa varcare la soglia, sopravvivendo alle traversate e ai “game” balcanici, invece, è lo stesso di sempre: il ricatto della clandestinità e l’invisibilità totale, sotto la minaccia costante della deportazione, che aggiunge violenza a violenza, fisica e psichica.
Nel mezzo, la minaccia della detenzione amministrativa, che istituzionalizza quella violazione sistematica dei diritti fondamentali che apre, nelle nostre città, pericolose voragini. Aree grigie in cui la legge è sospesa e tutto è permesso, creando un arretramento dei diritti che costituisce un grave precedente non solo per chi ha a cuore la solidarietà con le persone migranti, ma per tutte e tutti.
È infatti il banco di prova per l’avanzata dell’arbitrio dello stato, che brandisce la clava del binomio “sicurezza – immigrazione” a suon di decreti liberticidi in bilico sulla finzione di un’emergenza perenne e sulla prospettazione di un pericolo costante per i nostri “valori”. Questo, al fine di legittimare l’utilizzo della violenza e della repressione generalizzata, dai manganelli nelle piazze, ai piccoli e grandi soprusi quotidiani.
Ed esempio scandaloso di tale avanzata repressiva che surfa sapientemente sull’onda emotiva è stato l’osceno e paradossale spettacolo di ministri dalla faccia di tolla, che, ai piedi di un relitto ancora caldo su una costa calabra, hanno usurpato il nome dell’ennesima strage di Stato, di mare, proprio per fare delle prospettive minnitiane del 2017 concreta realtà. Con, fra l’altro, il raddoppio del numero dei CPR e l’allungamento sei volte tanto dei tempi di detenzione massima. Per poi giungere all’aberrazione del progetto di delocalizzazione in territorio albanese di questo sistema, come un qualsiasi call center, al fine di proseguire ancora più indisturbati ed impuniti nell’azione di umiliazione della dignità umana di chi ha la colpa di non avere quel pezzo di carta che non gli si vuole dare.
Ebbene, ora che gli strumenti repressivi – affinati negli anni anche da una certa sinistra, nel gioco devastante di rincorsa delle destre in nome di sicurezza, decoro e legalità – sono nelle mani di uno dei governi più fascisti dalla nostra Repubblica mettendo in pericolo chiunque, non c’è neppure più il tempo di ricercare e rimpallarsi le colpe, che restano trasversali e ben evidenti.
E’ invece il tempo di pretendere e ottenere con un vasto fronte un’inversione di rotta, la fine della violenza legalizzata, che nei centri di permanenza per il rimpatrio vede la punta dell’iceberg e l’esempio più eclatante e simbolico.
Oltretutto, i fatti ora parlano più chiaro che mai: non esiste un “caso Milano”, non esiste un “caso Ousmane Sylla”; è la stessa detenzione amministrativa ad essere voluta e concepita come luogo di tortura psicofisica e di morte, a perenne monito per i futuri ingressi, e come prova muscolare a favor di telecamera in tempo di elezioni.
E se alla favoletta del modello di CPR propugnato da alcuni “democratici” – quello in cui i diritti vengono monitorati e rispettati – non abbiamo mai creduto, non ci crederemo proprio ora che le più recenti vicende del CPR di Milano ne dimostrano l’irrealizzabilità: commissariato dalla Procura, resta il lager di sempre, ripresentando le stesse atrocità che si ripetono da decenni in tutti i CPR, in tutte le città e qualunque sia il gestore: sono proprio concepiti così.
Non possiamo quindi assistere inerti alla moltiplicazione di questi luoghi di repressione e di lenta tortura psicofisica, né tantomeno alla loro rimozione forzata dalla visuale della società civile: ne va dei diritti di tutte e di tutti.
E’ dovere ed interesse di ciascuna e ciascuno mobilitarsi perché vengano chiusi, a cominciare dal CPR di Milano, che già fu chiuso una decina di anni fa: che sia un lager non lo diciamo solo noi e le circa 1850 persone rimaste impigliate tra le sue sbarre, ma una montagna di prove inequivocabili, anche sui tavoli di diverse Procure, davanti alle quali non è più possibile fingere di non sapere.
– UN LAGER COMMISSARIATO RESTA SEMPRE UN LAGER: NON ESISTE UN MODO GIUSTO PER FARE UNA COSA INGIUSTA.
– I CPR VANNO CHIUSI TUTTI E SUBITO, COMINCIAMO DA VIA CORELLI!
– NO CPR NO LAGER DI STATO, NE’ A MILANO, NE’ ALTROVE, NE’ IN LIBIA NE’ IN ALBANIA!
Appuntamento a Milano, sabato 6 aprile 2024 ore 15
Rete No al CPR