Migrazioni e memorandum

Nel mondo, in questo momento storico, ci sono più di cinquanta conflitti in corso. Si tratta del numero più alto dalla fine della seconda guerra mondiale. Purtroppo – ma è anche fisiologico che sia così – l’attenzione dell’opinione pubblica non è equamente distribuita tra tutte le guerre che devastano più di novanta paesi su tutto il pianeta. Per molte ragioni, alcuni conflitti sono presi in considerazione più di altri e, inevitabilmente, le mobilitazioni per contrastarli o anche, più semplicemente, le iniziative di solidarietà in favore delle popolazioni colpite si svolgono seguendo una specie di agenda politica nella quale si rischia di perdere interi pezzi di conoscenza e consapevolezza.

Oltre a questo, c’è una guerra globale che è sottesa a tutti i conflitti ma della quale si parla sempre fino a un certo punto e sempre sulla scia – spesso emotiva – di eventi eclatanti. Si tratta della guerra all’immigrazione, dispiegata con gli strumenti normativi e repressivi che ben conosciamo e che continua a mietere vittime lungo tutte le frontiere.

Rimanendo dalle nostre parti, dall’inizio dell’anno fino al 25 di ottobre, secondo l’ultimo aggiornamento dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), almeno 472 persone sono morte e 479 risultano disperse sulla rotta del Mediterraneo centrale. Si tratta sempre di cifre che vanno intese per difetto perché è impossibile avere certezza di tutti i viaggi migratori o di quante persone si mettano in cammino in un determinato lasso di tempo.

Venerdì 17 ottobre l’ennesimo naufragio avvenuto non lontano da Lampedusa, in zona Sar maltese, è costato la vita a diversi bambini e a una donna incinta. Secondo le testimonianze di chi era bordo, venti persone sono complessivamente disperse.

I superstiti hanno raccontato di essere partiti in trentacinque da Al Khums, in Libia, su un’imbarcazione in vetroresina che poi si è capovolta dopo due giorni di navigazione.

Lo scorso 27 ottobre almeno quattro persone sono morte dopo che un natante è affondato al largo della costa sud-occidentale di Lesbo, in Grecia. Sette sopravvissuti, tutti cittadini sudanesi (a proposito di guerre dimenticate), sono stati tratti in salvo.

Il giorno seguente diciotto immigrati sono morti al largo delle coste di Sabrata, nella Libia occidentale.

È una contabilità deprimente ma necessaria per comprendere l’enorme gravità di quanto accade, purché si tenga a mente che dietro a queste fredde cifre ci sono sempre persone con le loro storie, speranze, progetti di vita stroncati per sempre.

All’indomani del naufragio di Sabrata, l’organizzazione Refugees in Libya ha denunciato «l’ennesima tragedia nel Mediterraneo» chiedendo un intervento immediato delle autorità europee per garantire vie di salvezza sicure per i rifugiati.

«La strada verso la cosiddetta sicurezza in Europa – prosegue l’organizzazione – continua a uccidere perché l’Europa si rifiuta di garantire percorsi sicuri, perché l’Europa continua a stringere la sua presa sulla pelle dei vulnerabili, perché l’Europa continua a finanziare milizie e mani violente che commettono crimini contro l’umanità in Libia e Tunisia. E prima o poi l’Europa dovrà rispondere delle sue azioni».

Proprio Refugees in Libya, insieme ad altre associazioni e Ong, ha manifestato il mese scorso a Roma per chiedere al governo di non rinnovare il memorandum tra Italia e Libia siglato nel 2017. L’accordo, in assenza di revoche o richieste di modifiche pervenute da uno dei due paesi, si rinnova automaticamente ogni tre anni.

L’Italia aveva tempo fino al 2 novembre per bloccare il memorandum ma, ovviamente, il governo Meloni ha lasciato correre ignorando anche un paio di mozioni con cui le opposizioni chiedevano di non rinnovare o, almeno, modificare questo accordo criminale. Ciò significa che il 2 febbraio del prossimo anno il memorandum Italia-Libia verrà automaticamente prorogato per altri tre anni.

Come già spiegato su queste pagine si tratta di un vero e proprio patto scellerato con cui l’Italia sostiene i delinquenti della cosiddetta guardia costiera libica per il controllo delle frontiere.

A causa di questo accordo migliaia di persone vengono detenute arbitrariamente e si calcola che oltre 158.000 immigrati siano stati respinti in Libia dove torture, violenze, e riduzione in schiavitù sono documentate da Nazioni Unite, Corte penale internazionale e organizzazioni indipendenti come Human Rights Watch e Amnesty International.

Le Nazioni Unite, tramite una inchiesta sul campo del marzo 2023, ha accertato che in Libia sono stati commessi crimini contro l’umanità e ha chiesto la cessazione di ogni forma di supporto al paese nordafricano. Persino la Corte di cassazione italiana e la Corte europea dei diritti umani hanno stabilito che la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco delle persone soccorse.

Eppure, soltanto quest’anno, sempre secondo i dati riportati dall’Oim, i migranti intercettati in mare e riportati nei centri di detenzione libici sono stati 22.509.

Nonostante tutto questo, quindi, la collaborazione tra Italia e Libia continua e continuerà. È evidente che il governo fascista che sta opprimendo il nostro paese non ha alcuna intenzione di mettere mano all’accordo. D’altra parte, qualunque contestazione alla disumanità del memorandum o alla criminalità dei partner libici non rappresenta di certo un problema per chi ha garantito un rimpatrio sicuro con tanto di volo di stato a un soggetto come il generale Almasri, accusato dalla Corte dell’Aia di crimini di guerra e contro l’umanità.

Non bisogna dimenticare però, e giova sempre ribadirlo, che questo accordo fu sottoscritto da un esecutivo di centrosinistra, guidato all’epoca da Paolo Gentiloni (con Marco Minniti al Viminale) così come sempre da quell’area politica sono state prodotte – nel corso del tempo – un’infinità di altre porcherie in materia di immigrazione.

L’accanimento burocratico e repressivo contro gli ultimi, contro chi non ha i documenti, contro chi è costretto a fuggire (anche) dai conflitti armati, rappresenta di per sé il compendio di tutte le guerre. Si tratta dell’aggressione, classista e razzista allo stesso tempo, con cui le classi dominanti dichiarano guerra all’umanità.

Alberto La Via

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