In molti hanno notato il carattere paradossale delle tesi dei sostenitori dell’euro. Accusare coloro che propugnano un’uscita dall’euro di irresponsabilità, poiché ciò causerebbe un’iper-inflazione, equivale ad ammettere che con la moneta unica si è trascinato il Paese in un’avventura senza ritorno. È come se si dicesse: la prova della tua irresponsabilità sta nel fatto che io sono stato molto più irresponsabile di te. Sarebbe uno di quei casi in cui il mentire sarebbe meno grave del dire la verità.
Se uno dei maggiori problemi causati dall’euro è il surplus commerciale tedesco, il problema del surplus italiano delle menzogne non è da meno. È interessante notare che non ci si è mai dovuti confrontare con una difesa “laica” e realistica dell’euro, con qualcuno che ci dicesse: l’euro non l’abbiamo voluto noi Italiani, lo hanno imposto Francia e Germania con l’avallo e suggello della NATO, che vedeva nell’euro un modo per compattare l’Europa continentale contro la Russia; per un po’ ci siamo illusi che almeno ci saremmo potuti comprare il petrolio in euro, ma poi gli USA non lo hanno consentito; l’euro finirà se e quando quelli che l’hanno deciso, la Francia o la Germania o la NATO, o tutte e tre, penseranno che è il caso di chiudere; l’Italia, vaso di terracotta costretto a viaggiare tra vasi di ferro, deve adattarsi al diktat dei più forti e fare di volta in volta necessità virtù.
Si potrebbe obiettare che una classe dirigente non potrebbe mai fare una tale ammissione di debolezza, ma non sarebbe vero, poiché è la stessa classe dirigente che si nasconde continuamente dietro il volere dell’Europa ogni qualvolta deve imporre dei sacrifici.
Ma il punto è un altro e cioè che la nostra classe dirigente (sia politica, sia imprenditoriale, sia finanziaria) non ha fatto di necessità virtù, bensì ha scorto entusiasticamente nella deflazione/disoccupazione generata dall’euro l’occasione per nuovi business a basso rischio ed alto profitto.
Proprio venti anni fa il governo Prodi varava la Legge 196/1997, più nota come “Pacchetto Treu”. Fu la prima grande legge sulla precarizzazione ed il fatto notevole era che le nuove norme abrogassero una legge del 1960 che considerava reato ogni intermediazione parassitaria del lavoro. Nascevano così le agenzie di lavoro “interinale”, cioè il caporalato legalizzato. All’inizio l’elenco delle agenzie di lavoro interinale stava in una paginetta, poi il business è esploso a livelli stratosferici, con somma soddisfazione anche delle imprese che, grazie all’interinale, risparmiano sui costi di gestione del personale.
Una notizia di agenzia della ADN-Kronos del 1997 ci consegnava una dichiarazione surreale di Fausto Bertinotti, allora segretario di Rifondazione Comunista. Bertinotti assicurava che tutti i suoi parlamentari avrebbero votato il Pacchetto Treu (e in effetti così fu), che lo stesso “Pacchetto” doveva essere considerato un successo dell’azione sul governo di Rifondazione Comunista a favore del lavoro (sic!); ma poi lo stesso Bertinotti confessava di non aver letto il testo della legge (doppio sic!).
Prendere per i fondelli Bertinotti è sin troppo facile ed è anche diventato uno sport nazionale, ma forse è ingeneroso non rilevare che il personaggio è stato effettivamente rappresentativo di un clima culturale affermatosi nella sinistra, anche estrema, degli anni ’90. In quel periodo infatti si era imposta una visione edulcorata del capitalismo e persino sulle riviste “rivoluzionarie” dell’epoca era spesso impossibile distinguere tra l’analisi del capitalismo e la sua apologia.
L’interinale è un tipico business della povertà, uno di quelli in cui i poveri sono costretti a versare l’elemosina ai ricchi. Come altri business ai danni dei poveri, l’interinale può facilmente camuffarsi come soccorso ai poveri, quindi è compatibile con i “valori della sinistra”. La Lega delle Cooperative “rosse” infatti si gettò nel business dotandosi di una propria agenzia di lavoro interinale, “Obiettivo Lavoro” SPA, quella da cui proviene il ministro Poletti. Oggi il termine cacofonico e vagamente osceno di “interinale”, è stato sostituito con quello più asettico di “somministrazione” del lavoro, ma l’oscenità rimane. Dopo un periodo di trionfi “Obiettivo Lavoro” è andata in affanno e di recente è stata acquisita ad un prezzo stracciato (cento milioni di euro) da una multinazionale olandese, Randstad, che è il secondo operatore mondiale nel business dell’intermediazione del lavoro .
Il problema è che il business dell’interinale è diventato multinazionale ed il pesce grosso mangia il più piccolo. Il tempo ha quindi ridimensionato gli entusiasmi della Lega delle Cooperative e di altri sostenitori dell’euro.
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