L'onda giustizialista

epaselect epa05773762 General view of Victoriei Plaza full of protesters flashing the lanterns on their cell-phones, all at the time, during a massive protest in front of government headquarters, background, in Bucharest, Romania, 05 February 2017. Following mass protests, Romania's government repelled today, during an urgency session, their controversial ordnance after on 04 February 2017 they announced the withdrawal of the disputed bill passed late 31 January as a government ordinance to pardon those sentenced to jail terms shorter than five years. EPA/DAN BALANESCU

Per sette giorni la Romania è stata attraversata da imponenti manifestazioni popolari. Ogni giorno una folla crescente, con i colori della bandiera nazionale, ha dato vita ad una protesta, che, per ampiezza, è stata paragonata con le lotte che provocarono la caduta del dittatore Nicolae Ceausescu.

I manifestanti hanno chiesto,ed ottenuto il ritiro di un decreto, che sebbene ufficialmente varato per contrastare il sovraffollamento carcerario, è stato considerato un regalo ai politici ed imprenditori accusati di corruzione. Tra loro anche politici molto vicini all’attuale coalizione di governo.

Nonostante il governo del socialdemocratico Sorin Grindeanu abbia ceduto, le proteste non sono cessate. Lunedì sera decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Bucarest e in molte altre città per chiedere le dimissioni del governo e nuove elezioni anticipate. I manifestanti, appoggiati sin dalle prime ore dal presidente della repubblica, il conservatore di destra Klaus Iohannis, non si accontentano.
Il decreto revocato per la protesta popolare depenalizzava l’abuso d’ufficio e altri reati di corruzione. Anche lunedì c’è stata una manifestazione parallela di sostenitori del governo, radunatisi sotto il palazzo presidenziale.

In Romania la questione della corruzione è molto sentita: è tra i temi di tutte le campagne elettorali.

L’attuale compagine governativa, un’alleanza tra socialdemocratici e liberali, ha ottenuto una netta maggioranza alle elezioni politiche tenutesi lo scorso dicembre, tuttavia la gran parte dei rumeni non si sente rappresentata né dal governo né dall’opposizione. Alle elezioni di dicembre ha partecipato soltanto il 40% degli aventi diritto. La maggioranza ha disertato le urne, segno di una diffusa disaffezione alle dinamiche istituzionali.

In questo movimento sono confluite anche istanze ecologiche radicali, come il movimento che lotta contro le miniere d’oro a Rosa Montana. Queste istanze ambientaliste si mescolano a potenti tensioni di carattere nazionalista e protezionista.

Negli ultimi anni, anche grazie ai massicci investimenti di numerosi imprenditori italiani, il paese ha avuto una forte crescita, che tuttavia non ha prodotto maggiore benessere, tanto che l’emigrazione è ancora molto forte.
Forte anche la tensione verso le multinazionali insediatesi nel paese, per godere del basso costo del lavoro, considerate come corpi estranei in chiave nazionalista.

Ascolta la diretta dell’info di radio Blackout con Ionut, un compagno rumeno.

http://radioblackout.org/2017/02/romania-londa-giustizialista/
Qui sotto puoi leggere l’analisi degli anarco-comunisti di Ravna.

LO STATO DI DIRITTO E LA CLASSE LAVORATRICE

(traduzione dell’articolo pubblicato in romeno – “Statul de drept si clasa muncitoare” / 05 febbraio 2017 – dall’organizzazione anarco-comunista Ravna, https://iasromania.wordpress.com/ )

La legge proibisce sia ai ricchi così come ai poveri di dormire sotto i ponti, mendicare per le strade e rubare il pane” – Anatole France.

Nelle seguenti pagine proveremo a formulare alcune idee da una prospettiva anarco-comunista – nella misura in cui è possibile farlo oggi in una maniera coerente – sulle recenti manifestazioni di piazza contro le decisioni prese dal partito che governa, decisioni viste come un attacco allo „stato di diritto”, al percorso di transizione intrapreso dalla Romania, ai „progressi” registrati negli ultimi 27 anni.

Brevemente, affermiamo che stiamo assistendo ad una guerra per il potere all’interno dello stato tra i rappresentanti della classe politica e le istituzioni di forza dello stato, e questo fatto non ha nessun interesse particolare per la classe lavoratrice e la sua emancipazione. Per come vediamo noi le cose, gli attori di queste manifestazioni di piazza sono da una parte i numerosi rappresentanti della classe media, il presidente Iohannis ed alcune istituzioni di forza (servizi segreti, il DNA – il Dipartimento Nazionale Anticorruzione, etc.) e dall’altra parte il partito socialdemocratico (PSD) e la classe politica in generale. Diciamo la classe politica in generale e non solo il PSD perché la lotta per il potere si fa in questi termini, anche se i partiti di opposizione negano questo aspetto per motivi di opportunismo elettorale. Diciamo che si tratta di un conflitto di potere tra gruppi rivali perché le modifiche legislative attuate dal PSD cerca di cancellare alcuni strumenti legali tramite cui le istituzioni repressive statali hanno manifestato nell’ultimo decennio – spesso abusando del proprio potere – il controllo sui politici.

Non neghiamo però neanche il fatto che tra i manifestanti ci possano essere anche tanti rappresentanti della classe lavoratrice, persone spossessate che non sono tra i vincitori della transizione. La spiegazione di questo fenomeno può essere il lavoro tossico dei mass-media, nonché il discorso generale pro-capitale che ha dominato la società romena negli ultimi 27 anni. Certo, tra le cause non si può ignorare la mancanza di alternative credibili capaci di sostenere la causa dei lavoratori. In questo momento numerose prese di posizione e tante azioni sono certamente contraddittorie ed è per questo motivo che non possiamo avere un approccio definitivo capace di prendere in considerazione tutti i fattori.

La classe media dei „bei giovani” (il termine viene solitamente usato nei mass media per descrivere i più giovani della classe media, quelli che guardano al futuro del proprio paese muovendolo in una direzione positiva, europea, occidentale; l’opposto di questa categoria viene di solito descritta facendo riferimento ai poveri, ai pensionati, a quelli/e che beneficiano dell’assistenza sociale: tutti quelli che sono associati al periodo “comunista” e all’elettorato del partito socialdemocratico).

La classe media è composta da quelle parti della popolazione con un livello di vita sopra la media, vivono con la speranza di raggiungere un livello simile ai corrispondenti occidentali, e in generale sottoscrivono l’immagine del progresso e della civilizzazione rappresentato dalla cultura coloniale capitalista occidentale. Anche se tanti di loro rimangono sottomessi alla schiavitù salariata – alcuni possiedono la capacità di accumulare capitale sostanziale, altri no – il loro tradimento di classe si manifesta tramite le loro aspirazioni ai ranghi della borghesia con i quali interessi questi si identificano.

La loro coscienza di classe è quella dei borghesi in divenire, oppure dei borghesi sottomessi momentaneamente a uno statuto inferiore. Un’altra importante caratteristica della classe media è il suo disdegno espresso nei confronti della classe lavoratrice e dei poveri, associandoli al “comunismo” (capitalismo di stato), alla scarsità materiale, e al motivo per cui il loro cammino verso la borghesia è così storta. Tra quelli appartenenti a questa classe, la componente più attiva è quella urbana, educata nello spirito occidentale, che vuole un paese “come all’estero” (nel linguaggio comune “un paese come all’estero”, in romeno “o tara ca afara”, esprime il modello occidentale di sviluppo politico, sociale ed economico, ndt), spesso associato alle multinazionali presenti in Romania e al complesso industriale non-governativo (le ONG) dove sono pagati oltre la media.

PSD – il partito dei penali

Il partito socialdemocratico (PSD) non è diverso, per contenuti, da altri partiti europei che rivendicano una tradizione socialdemocratica (tradizione riformista e capitalista, ma questo è un altro tema). Difficilmente si può dire per conto di PSD di essere un partito più corrotto o con contenuti profondamente diversi rispetto agli altri partiti presenti o passati. Per non parlare di PSD come di un partito neoliberale nel senso in cui un partito politico si occupa più degli interessi del capitale (estero o autoctono) che degli interessi del lavoro – il contrario non è mai esistito, le eccezioni pre-neoliberali degli stati sociali occidentali hanno avuto un altro carattere – lo presenteremo come un partito politico la cui base elettorale è stata rappresentata da una buona parte dei lavoratori e dalla parte più povera della società romena.

Erede del Fronte della Salvezza Nazionale (discendente dall’ex partito unico), anche PSD ha facilitato il processo di accumulazione primitiva iniziato dopo la caduta del ex-regime e con l’adozione dell’economia di mercato. Durante gli anni in cui PSD ha governato ci sono state tante privatizzazioni, numerosi mercati sono stati aperti agli investimenti, tanti licenziamenti e altrettanti tagli alla spesa sociale. In questo senso è difficile tracciare delle differenze chiare tra il PSD e gli altri partiti che hanno governato, essendo questa la principale linea di azione di tutti governi dopo l’89. Una linea che ha messo l’accento sugli interessi del capitale (soprattutto quello estero), ignorando completamente il fenomeno di precarizzazione della classe dei lavoratori.

Ci sono tanti fattori che possono spiegare la popolarità riscontrata dal PSD presso la classe dei lavoratori. Uno può essere la mancanza delle alternative concrete che potrebbero dare almeno l’illusione della priorità agli interessi dei lavoratori. Un altro fattore potrebbe essere legato all’organizzazione, visto che il PSD ha una buona struttura partitica nelle zone urbane più povere ed in quelle rurali. Esistono però alcune differenze – anche se non profonde – tra il PSD e gli altri partiti. Differenze che meglio si possono percepire considerando il discorso fatto del governo tecnico – che ha preceduto l’attuale governo – paragonato con il discorso fatto dal PSD (almeno per quanto riguarda quello che è stato detto durante la campagna elettorale).

Il governo tecnico, guidato da un burocrate europeo pagato estremamente bene (Dacian Ciolos, dal 2010 al 2014 è stato commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale nella commissione Barroso II, ndt), oltre all’opposizione che ha espresso sull’aumento dello stipendio minimo deciso dal governo Ponta – PSD (Victor Ponta, primo ministro tra 2012 e 2015, ndt), ha anche sostenuto che la classe dei lavoratori costa troppo e che questi ultimi dovrebbero lavorare per 2 lei (quasi 50 centesimi) al giorno, proponendo come esempio altri paesi sottosviluppati o in via di sviluppo. Dall’altra parte, i socialdemocratici hanno proposto nella precedente campagna elettorale aumenti dello stipendio e delle pensioni, nonché alcune facilità sociali – tra cui una abbastanza importante, l’introduzione di un pranzo gratuito per alcuni studenti delle medie. Nonostante queste scelte, di fatto il PSD non ha guardato gli interessi del suo elettorato maggioritario e ha cercato di vincere i voti a destra con la promessa di abbassare o cancellare alcune tasse e contributi.

Questa strategia si è dimostrata una di successo, visto che alle ultime elezioni PSD è andato oltre il suo elettorato tradizionale ed è riuscito ad attrarre alcuni segmenti urbani, educati, che prima erano inaccessibili – forse questo fenomeno si spiega anche con l’ondata della precarietà nelle fila di coloro che pensavano di essere al riparo dei capricci del capitalismo. Lontani dal rappresentare una forma locale di opposizione al regime neocoloniale che domina la popolazione, il PSD può essere invece percepito dalle istituzioni estere – che in alcuni momenti guidano de facto il paese – come meno desiderabile rispetto a un governo dichiarato di destra (o tecnico) pronto a centrare il proprio discorso sugli interessi del capitale e della classe che lo rappresenta.

Il PSD ha giocato anche la carta dell’appello nazionalista, conservatore, tradizionalista, rivolto sia a quelle parti esplicitamente reazionarie della società, sia alla classe lavoratrice ancora lontana dall’essere consapevole delle divisioni e gerarchie imposte e riprodotte al suo interno. Non sorprende l’avvicinamento del PSD ad alcune iniziative cripto-fasciste come la Coalizione per la Famiglia, oppure il discorso del leader del partito a favore di una nozione conservatrice della famiglia che esclude il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In breve, il PSD è un partito che sostiene il capitale, con forti accenti nazionalisti, conservatrici, un partito che non contesta e non esprime nessuna opposizione nei confronti delle istituzioni e delle organizzazioni che hanno facilitato la neocolonizzazione del paese (che si tratti della NATO, UE, o l’ambasciata americana – dove i politici locali sono chiamati a rispondere appena viene percepito il pericolo che la linea generale del paese si allontani dagli interessi americani; succederà mai il contrario, che l’ambasciata romena a Washington chiedi spiegazioni agli officiali statunitensi sulla linea dello stato americano?). Però, a differenza dei partiti di destra, il PSD fa a volte un discorso che si materializza in alcune politiche sociali che possono portare dei vantaggi a breve termine per la classe dei lavoratori (per esempio l’aumento dello stipendio minimo).

L’anticorruzione, Iohannis e lo stato di diritto

Il discorso ideologico dell’anticorruzione si concentra sul cammino del paese verso un’economia di mercato capitalista di tipo occidentale e gli ostacoli incontrati – e da sorpassare – durante questo processo. Cosa intendiamo per questo è che il discorso dominante ha come premessa una modalità di sviluppo caratterizzato dalla distruzione dell’infrastruttura industriale del paese, forza lavoro – qualificato ed istruito – a basso costo, attrattività del paese per investimenti esteri (mantenendo stipendi tra i più bassi in Europa), tassazione minima o inesistente per i profitti ottenuti qui e poi esportati nei paesi occidentali. Abbiamo descritto qui il tipo di capitalismo coloniale presente nel nostro paese. La corruzione viene percepita come il maggior ostacolo davanti alla realizzazione del capitalismo di tipo occidentale, cioè un capitalismo “come all’estero”. L’ideologia dell’anticorruzzione trova la maggioranza dei suoi sostenitori nella classe media, quella fetta privilegiata della popolazione, che associa il suo livello di benessere con la lotta anticorruzzione – fenomeno politico che ha messo le sue basi durante il periodo Basescu (ex-presidente della Romania per due mandati, 2004-2014 ndt).

Lo stesso periodo ha segnato la nascita di un nucleo meglio definito della classe media con l’aumento degli investimenti delle multinazionali – a partire dal 2004. Processo segnato allo stesso tempo dall’impoverimento della gran parte della popolazione, dall’emigrazione della forza di lavoro (a favore del capitale occidentale che trae vantaggi dalla forza lavoro a basso costo). Dal punto di vista ideologico, la classe media associa la brutalità del periodo di transizione (e dell’accumulo primitivo di capitale, cioè saccheggio) degli anni 90 verso l’economia capitalista alla corruzione dei regimi politici di quel periodo. Anche se tra il 96 e il 2000 il governo non è stato sotto la guida del PSD, questo partito rimane il capro espiatorio per eccellenza vista l’associazione con il vecchio regime, dunque un ostacolo per lo sviluppo capitalista. In questo modo si può capire sia perché l’associazione dell’attuale PSD con il comunismo, sia il discorso anticomunista inteso come avversione per qualsiasi ostacolo nello sviluppo capitalista. Nel discorso della classe media si prendono le distanze non solo dal PSD ma anche dal suo elettorato che spesso viene associato all’ignoranza, alla precarietà materiale, alla vulnerabilità davanti le vicissitudini del capitalismo come nemico dei valori europei (capitalisti), dello stato di diritto, della cultura occidentale.

Allora, dietro le così dette “elemosine elettorali”, il PSD non farebbe altro che nascondere il suo essere corrotto ed il proprio odio verso i valori democratici europei. Perciò reso colpevole per attentare al benessere di questi gruppi privilegiati – da una parte perché la sua presunta corruzione e incompetenza impedisce il processo di accumulazione; dall’altra perché dedica fondi alle spese sociali invece di sostenere la realizzazione dell’infrastruttura necessaria al processo di accumulazione di capitale. Il presidente Iohannis è visto invece come la quintessenza dei valori più alti della cultura e la civilizzazione occidentale. Di origini tedesche, sindaco di Sibiu, ex insegnante, proprietario di 6 case, è percepito come l’opposto del presidente PSD e del suo elettorato. Dragnea, presidente del PSD, rappresenta un personaggio provinciale, balcanico, corrotto, dispotico e incivile. Iohannis è il difensore del percorso europeo della Romania, il garante dello stato di diritto, dell’anticorruzzione, del parteneriato strategico con l’impero fascista americano. Praticamente Iohannis rappresenta il nemico di tutte le cose che potrebbero ostacolare il processo di accumulazione capitalista o gli interessi imperialisti. Certo, non vogliamo assolutamente dire che Dragnea sia un rappresentante dei lavoratori per la loro emancipazione nella lotta di classe; Dragnea rappresenta, come tutta la classe politica, gli interessi della borghesia. Era solo per dire come vengono presentate le cose dal punto di vista della classe media in piazza questi giorni.

La classe lavoratrice

A differenza di una buona parte del piccolo ed insignificante mondo della sinistra romena, noi affermiamo che la lotta anticorruzione non ha alcun interesse per la classe lavoratrice, per la sua emancipazione dallo sfruttamento capitalista e dal dominio statale. Dal momento che sotto pretesto della lotta anticorruzione si manifesta una guerra per il potere tra gruppi diversi all’interno dello stato, dal momento che indipendentemente da chi ne esce vincitore saranno rappresentati sempre gli interessi del capitale e della borghesia, dal momento che nella produzione capitalista i governi non sono altro che comitati incaricati della gestione degli affari della classe borghese, noi affermiamo che l’emancipazione della classe lavoratrice può essere realizzata solo dai lavoratori stessi. La classe lavoratrice deve sviluppare la consapevolezza delle proprie condizioni e poi organizzarsi – nei posti di lavoro o nelle sue comunità – per porre fine al dominio di una classe che doveva da tanto lasciare il palcoscenico della storia. Il così detto stato di diritto altro non è che l’espressione politica dell’ordine sociale esistente, un ordine basato sulla sofferenza, sulla disgrazia, povertà, sfruttamento, annientamento dello spirito, risentiti ogni giorno da milioni e milioni di persone in questo paese come in tutto il mondo. Per la classe lavoratrice il capitalismo rappresenta il sistema più corrotto fatto di ricatto quotidiano, sfruttamento della forza lavoro, schiavitù salariata: fenomeni le cui vittime sono i/le lavoratori/trici. La funzione storica dello stato è quella di assicurare la perpetuazione della società classista e la riproduzione del capitalismo; è quella di facilitare la possibilità di una classe di poter vivere grazie al lavoro di un’altra classe; è quella di cercare in tutti i modi possibili di soddisfare gli interessi delle élite. In questo senso l’oppressione politica dello stato deve scomparire dalla scena insieme allo sfruttamento capitalista.

Non possiamo non notare come, nella lotta tra i rappresentanti della classe politica e le istituzioni di forza dello stato, alcuni rami privilegiati della classe media si esprimono a favore delle ultime. I manifestanti non esitano ad affermare la propria simpatia e le preferenze nei confronti di alcune istituzioni completamente non democratiche, che mancano di qualsiasi forma di trasparenza, che non possono essere rese direttamente responsabili del loro operato, il DNA per esempio. Per questo motivo possiamo interpretare l’avversione per l’elettorato popolare e per i partiti politici predisposti a certe decisioni “populiste” (spese sociali, aumento degli stipendi) come un’avversione per alcuni limiti della stessa democrazia borghese, per esempio il voto popolare. Numerose sono state le voci che questi giorni hanno chiesto l’abolizione del voto della popolazione più povera, essendo questa la base dell’elettorato PSD. Dal punto di vista ideologico ci possiamo chiedere se per caso dietro queste posizioni della classe media non si nasconda di fatto la tendenza storica della fascistizzazione di questa classe, espressa tramite il profondo disprezzo verso i rappresentanti di una classe percepita come inferiore e sui quali la classe media punta lo sguardo con l’intenzione di colpire ogni qualvolta i suoi privilegi sono compromessi.

https://iasromania.wordpress.com/2017/02/06/the-rule-of-law-and-the-working-class/

(traduzione a cura di un compagno torinese)
www.anarresinfo.noblogs.org

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