Mercoledì 10 giugno il Senato ha approvato l’introduzione del reato di omicidio stradale nel Codice Penale. Dalla Lega ai 5 Stelle, passando per il PD (che della legge sull’omicidio stradale è stato il principale sponsor con Matteo Renzi che ha sostenuto la campagna per la sua introduzione sin dai tempi in cui era ancora sindaco di Firenze), quasi i gruppi parlamentari hanno sostenuto la nuova legge ed i voti a favore sono stati 163, gli astenuti 65 e i contrari due. Nel tripudio generale dei media di regime e nel totale silenzio delle voci critiche (con l’unica eccezione dello storico garantista Luigi Manconi), la legge ora aspetta solo di tornare alla Camera per l’approvazione definitiva che potrebbe avvenire già nelle prossime settimane. Con l’introduzione dei reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali, è prevista la revoca della patente per un periodo dai 15 ai 30 anni e la reclusione da otto a dodici anni per omicidio colposo commesso da un conducente in stato di ebbrezza alcolica, con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro o sotto l’effetto di droghe. In caso di concorso di colpa la pena è diminuita fino alla metà. In caso di morte di più persone la pena viene triplicata, anche se non può superare i diciotto anni. In caso di fuga la pena viene aumentata da un terzo alla metà. Chi, invece, provoca lesioni personali per guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di droghe viene punito con la reclusione da due a quattro anni.
L’approvazione del reato di omicidio è l’ennesimo effetto della War On Drugs all’italiana, fatta di leggi sempre più severe e sempre più irrazionali. Era il 2008 e si era appena insediato l’ultimo Governo Berlusconi, quando lo Zar Antidroga Carlo Giovanardi, subito dopo che Tremonti aveva creativamente tagliato del 90% le spese per la manutenzione delle piste ciclabili e delle strisce pedonali, aveva annunciato che sulle strade stava avvenendo una vera e propria strage ad opera di ubriachi e di drogati che da soli avevano provocato più di metà dei morti negli incidenti automobilistici. In realtà, i dati di Giovanardi erano smentiti dalla stessa Polizia Stradale che nel suo Annuario 2007 aveva attribuito la causa di incidenti gravi all’uso di alcool o di sostanze proibite a meno del 4% dei casi, indicando invece nell’eccesso di velocità, nelle dimensioni dei veicoli coinvolti e nei problemi di manutenzione delle strade le cause più frequenti degli scontri mortali. Rapidamente si arriva, però, a nuove norme che prevedono, tra l’altro, il ritiro della patente per lunghi periodi (anche fino a 2 anni) e addirittura il carcere e la confisca del mezzo per chi venga sorpreso alla guida con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o “sotto l’effetto di sostanze stupefacenti”. I controlli alla ricerca di sostanze stupefacenti vengono effettuati, peraltro, tramite l’analisi di urine o di sangue, utili più a fornire un giudizio sulle abitudini dell’automobilista più che a constatare il suo stato psicofisico al momento della guida, visto che i residui di THC (il principio attivo della cannabis) possono essere rintracciabili anche per 30-60 giorni. Questi tipi di test hanno quindi comportato il ritiro della patente a centinaia di persone che avevano assunto cannabis anche diversi giorni prima di mettersi al volante. Nel frattempo è continuata la campagna contro l’alcool e la droga al volante fino ad arrivare all’approvazione della legge sull’omicidio stradale. Tanto per chiarire che l’obiettivo della nuova legge è punire e colpire i cattivi drogati e ubriachi, in Senato è stata addirittura eliminata la parte che puniva da sette a dieci anni anche chi provoca la morte di una persona “a seguito di manovra di inversione del senso di marcia, di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua” oppure “passando con il rosso o circolando contromano”, mentre è stata mantenuta la pena tra i sette e i dieci anni di carcere se l’omicidio colposo stradale viene commesso da un conducente di un mezzo a motore che procede «in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita». In sostanza, quindi, chi facesse un morto guidando a 150 l’ora per le strade cittadine rischierà meno di chi, coinvolto in un incidente mortale, dovesse risultare positivo ai test per aver fumato una canna due settimane prima e ancora meno rischierà chi il morto lo farà andando contromano a 90 all’ora o passando col rosso a tutta dritta , visto che per questi casi valgono ancora le norme del Codice Penale per l’omicidio colposo “commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale con pena di reclusione da due a sette anni”. Da Giovanardi, in poi, infatti, per il Codice Stradale italiano il “fumatore” è comunque colpevole, indipendentemente dalle circostanze dell’incidente ed è facile immaginare purtroppo che nei tribunali, anche se dovesse risultare che non ha responsabilità nell’accaduto, non riuscirà ad evitare il “concorso di colpa” (che prevede comunque pene da 4 a 6 anni).
Il reato di omicidio stradale è evidentemente un’aberrazione giuridica che punisce le abitudini delle persone molto più dei comportamenti pericolosi, invertendo tutti quelli che dovrebbero essere (per chi alle leggi ci crede) i principi del diritto. I sostenitori del proibizionismo sulle strade dicono che i controlli antidroga ed antialcool hanno portato ad una diminuzioni. In effetti, però, è tutta da dimostrare che la cannabis (la sostanza per cui in Italia vengono ritirate più dell’80% delle patenti) abbia degli effetti negativi alla guida: solo due mesi fa l’unione delle compagnie assicurative del Colorado (lo stato USA che per primo ha legalizzato la marijuana “ricreativa” dopo un referendum) ha deciso di non chiedere ai consumatori polizze maggiorate, dopo aver constatato che tutte le ricerche effettuate “dal vivo” con persone alla guida su strada, da quelle svolte nel 1971 dal dipartimento della motorizzazione dello Stato di Washington a quelle effettuate dalle università israeliane pochi anni fa, hanno dimostrato che l’unico effetto della ganja alla guida è quello di far diminuire la velocità. Inoltre, è da almeno un quarto di secolo che stanno diminuendo le vittime degli incidenti: i morti sono passati dai 6.621 dell`anno 1990 ai 3.385 del 2013 e questo è avvenuto per effetto dei limiti di velocità per le autostrade e le strade extraurbane introdotti nei primi anni ’90 dall’allora Ministro Ferri, per l’uso di caschi e cinture, per i miglioramenti tecnici che ci sono stati sia per le strade che per le macchine e, negli ultimi anni, per la diminuzione delle automobili in circolazione dovuto all’effetto combinato della crisi economica e della crescita della coscienza ambientale che hanno spinto molte persone ad utilizzare mezzi meno costosi e più ecologici (tant’è che negli ultimi anni è diminuito il numero degli automobilisti uccisi, ma è aumentato quello di pedoni e ciclisti).
In realtà, nelle campagne del proibizionismo stradale, oltre all’eterna necessità di offrire qualche capro espiatori al malcontento, si muovono interessi molto corposi. Come ha scritto un paio d’anni la rivista “internazionale di critica della società automobilistica” Carbusters, “i media sovrastimano l’influenza dell’alcool e delle droghe negli incidenti stradali. Tutti gli studi dicono che i fattori che provocano più spesso gli incidenti sono la velocità e lo stato delle strade. Fin quando ci saranno in circolazione automobili sempre più grosse e sempre più veloci su strade maltenute, non ci sarà mai sicurezza per chi viaggia a piedi, in bici ed anche in auto. Le case automobilistiche però non ne vogliono sapere dei limiti di velocità, secondo loro fanno vendere meno macchine e così finanziano le campagne contro l’alcool e la droga per chi guida. Da parte loro, i governi non hanno voglia di spendere i soldi per le strade e, anche se ci sono ricerche che dicono che con una segnaletica, un’illuminazione e un manto stradale migliori potrebbe diminuire del 25% il numero degli incidenti, preferiscono fare leggi con pene esemplari per gli ubriachi e i drogati alla guida”. In Italia a sostenere le ragioni del proibizionismo stradale che, fin dai tempi delle rivelazioni di Giovanardi, hanno iniziato a corrispondere premi diminuiti ai loro assistiti anche se risultavano senza responsabilità negli incidenti e più di recente hanno iniziato a mettere nei contratti delle clausole piccole piccole che stabiliscono che non viene corrisposto alcun indenizzo a chi dovesse risultare positivo ai test per alcool e droghe, anche se dovesse senza nessuna responsabilità. Proprio la Fondazione ANIA (acronimo che sta per Associazione Nazionale Imprese Assicuratrici) ha messo a disposizione delle volanti della Polizia Stradale 1800 strumentazioni per il prelievo della saliva con cui dal 29 maggio scorso i nuovi controlli stradali antidroga tramite il test della saliva in 19 città campione (Roma, Napoli, Bologna, Novara, Bergamo, Brescia, Padova, Verona, Trieste, Savona, Forlì e Cesena, Ancona, Ascoli Piceno, Perugia, Pescara, Teramo, Bari, Messina, Cagliari). Con il nuovo test della saliva aumenteranno i controlli, visto che saranno più facili da fare. Secondo gli esperti, nella saliva il THC rimane rintracciabile per un massimo di 14 ore, ma la media non supera le 6/7 ore, la cocaina invece è rintracciabile fino a 24 ore, oppiacei e anfetamine fino a 72 ore, mentre per l’mdma non si trovano informazioni attendibili al riguardo. Anche per quanto riguarda i test della saliva, fortunatamente, come rivela un articolo dell’edizione on line della rivista Dolcevita, “esistono dei metodi per accorciare i tempi di positività ai controlli. Secondo uno studio pubblicato dall’Università di Catania potrebbe bastare mangiare alcuni cracker, in questo caso infatti: “La presenza di cannabinoidi è stata accertata solo nel primo prelievo salivare effettuato un’ora dopo il fumo dello spinello. Le concentrazioni erano tuttavia molto basse e già alla seconda ora il test dava esito negativo”. E’ sempre bello sapere che possono esistere dei sotterfugi con si può forse sfuggire a queste trappole chimiche che in un minuto possono rovinare la vista di una persona ed è bene socializzarli. E’ evidente, però, che è sempre più necessario organizzarsi per combattere questa autentica persecuzione degli stili di vita della persone che si chiama Guerra Alla Droga.
robertino