Livorno: L’antifascismo non si processa!

Nella giornata di ieri, venerdì 4 Marzo, si è tenuta presso il Tribunale di Livorno la seconda udienza di un processo penale che coinvolge 40 persone, accusate di aver contestato Giorgia Meloni, esponente di Fratelli d’Italia, durante la giornata del 13 Febbraio 2018.
Quel giorno la piazza si riempì di numerosi abitanti della città, che senza alcuna concertazione, espressero spontaneo dissenso e sdegno per la presenza di un partito che si richiama alla dittatura fascista, che porta nel proprio simbolo ancora la fiamma tricolore che esce dalla tomba di Mussolini, un partito responsabile con gli altri che hanno governato il paese negli ultimi 30 anni dell’involuzione autoritaria della società, della precarietà, dei tagli alla spesa sociale, ai salari e alle pensioni. Chi si ritrovò in piazza quel giorno voleva dare una risposta chiara e ferma alle provocazioni di una parlamentare che aveva proprio in auei giorni rilasciato gravi dichiarazioni xenofobe dopo l’attentato razzista di Macerata ad opera di Luca Traini, un esponente dell’estrema destra marchigiana che era stato candidato per la Lega e che aveva provato a compiere una strage, sparando a sei persone nere in pieno centro, prima di arrendersi alle forze dell’ordine salutandole a braccio teso e con un tricolore stretto al collo. Pochi giorni dopo aver pubblicamente millantato che è colpa della sinistra e cercato altre simili giustificazioni per un simile attentato, Giorgia Meloni aveva scelto come teatro per la sua visita livornese Piazza Garibaldi, lo snodo più meticcio della città, un contesto non sempre pacificato, ma certo vivo, vissuto, densamente popolato e storicamente antifascista. Non sappiamo cosa si aspettasse di trovare, ma ricordiamo di averla vista attraversare la piazza sballettando, con evidente intento canzonatorio, sulle note di Bella Ciao, che qualcuno aveva fatto partire da una cassa bluetooth o forse da uno dei tanti balconi della piazza, molti dei quali adorni di striscioni di protesta. Dalla sua parte solo la sua scorta, forse un pugno di sostenitori raggranellati insieme alle città vicine e una trentina tra agenti e DIGOS.
Quello che è seguito è stato un quarto d’ora di antifascismo popolare, una risposta ad alta voce a una presenza fascista, identitaria, razzista e nazionalista che giudichiamo deleteria e nefasta e che, riteniamo, non dovrebbe trovare alcuno spazio nel dibattito politico, ma solo contestazione, almeno dalla Resistenza in poi.
A distanza di un anno e mezzo, nell’ottobre del 2019, per quel quarto d’ora sono stati notificati 40 decreti penali di condanna e 4 provvedimenti Daspo, per l’ammontare di oltre 200000 € di pena pecuniaria. Il reato principalmente contestato è Radunata Sediziosa, reato contenuto in un regio decreto del 1930 emanato in pieno regime fascista e quindi funzionale al mantenimento di un assetto autoritario che ad oggi va contro il principio fondamentale della libertà di dissenso.
Ogni aspetto di tale procedimento, dallo strumento processuale adottato al tipo di reato contestato, sono indicativi di una reiterata e nostalgica volontà politica di sopprimere l’esercizio dei diritti fondamentali, innanzitutto della libertà di manifestare, perpetrata attraverso la criminalizzazione di ogni tipo di dissenso.
Per questo le persone imputate hanno deciso di fare opposizione al decreto penale e di andare a processo, per affermare la libertà di manifestare il proprio dissenso e il proprio antifascismo.
La presenza in quella piazza, quel giorno, era necessaria e importante, e ha visto la più variegata partecipazione. L’antifascismo è anche questo: impedire la diffusione di idee e pratiche razziste, discriminatorie, portatrici di odio e violenza.

L’antifascismo non si processa!

Livorno antifascista
05/03/22

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