Molti concordano sul fatto che questa svolta del secolo è segnata da una regressione del pensiero politico, nonché da un’ideologia volta al profitto, con opinioni pubbliche fortemente costrette, incorniciate, guidate, in una parola manipolate, dai media. I giornalisti di oggi sono essenzialmente solo attori che recitano il mantra del potere politico, economico e (sempre più) religioso.
Nonostante tutto ciò, alcune persone chiamano questo “la fine delle ideologie”.
Non è, al contrario, questo discorso la prova di una nuova ideologia, quella della rinuncia? In effetti, le crisi del capitalismo hanno sempre come corollario la paura della borghesia dei sussulti rivoluzionari di cui il popolo è pur sempre capace. Quindi il ceto dirigente deve giocare d’anticipo e convincere il popolo che le moderne democrazie sono un sistema insuperabile in cui le masse devono delegare tutti i loro poteri alle élites, perché le persone sono ignoranti e incapaci di gestire e amministrare autonomamente!
La “crisi” è molto ben presentata come una malattia inevitabile, una fatalità legata alla modernità, per cui i rimedi proposti dalla sinistra o dalla destra parlamentare sono gli stessi. Come per i detersivi, cambia solo la confezione. Espropriato di ogni potere, il popolo è impotente di fronte al fatto che i politici, in base al loro mandato, prendono arbitriaramente le decisioni che vogliono, pur continuando ad affermare che il potere appartiene a lui, al popolo sovrano.
Quante decisioni importanti sono prese da tecnocrati nemmeno eletti (vedi UE)? Ciò non impedisce all’oligarchia politico-finanziaria di farsi chiamare democrazia, di lusingarsi di governare in modo “democratico”, “giusto ed equo”. Resta alla gente l’onere di domandarsi il senso del “contenuto democratico” di tali decisioni ed atteggiamenti, ovviamente tutt’altro che democratici. Si pensi, come esempio lampante della negazione di una democrazia effettiva, al rifiuto del trattato costituzionale della UE da parte del popolo francese nel 2005. Sebbene rifiutato, il trattato viene correntemente applicato![1] Definire ciò che è antidemocratico porta a definire il suo contrario: domandiamoci pertanto se le persone hanno incontrato o vissuto nella storia dei periodi in cui erano in grado di misurare i benefici di un governo democratico.
Platone ai suoi tempi definiva la democrazia “il governo dell’élite con l’approvazione della folla”. Oggi, con 200 anni di cosiddette esperienze democratiche alle spalle, nell’immaginario collettivo la democrazia è ancora vista come la migliore forma di governo poiché i politici sono eletti, sebbene sempre meno approvati (vedi il crescente tasso di astensione nelle ultime elezioni).
Due secoli di abuso di potere, di promesse non mantenute, di complicità attiva con il padronato oppressivo, la repressione del movimento operaio, il controllo poliziesco dei cittadini, la distruzione delle conquiste sociali, gli scandali politico-finanziari, la morsa autoritaria dello stato sulla società non sembrano cambiare nulla: il concetto di democrazia rappresentativa sembra rimanere l’orizzonte insormontabile, un “male minore” come il sistema capitalista liberale… forse perché le democrazie rappresentative sono le forme di governo più appropriate per lo sviluppo del capitalismo!
Incredibile tuttavia che, nonostante questa “furto di democrazia” ci siano ancora uomini e donne, in una coazione a ripetere, ad andare regolarmente, al richiamo del fischietto, nella cabina del loro quartiere, per esprimere il proprio voto. La democrazia si ridurrebbe a mettere un voto in un’urna!
Come ha detto Léo Ferré, “hanno votato, e poi dopo?” Solo l’azione conta e non è forse ciò che Etienne de la Boetié chiama la “servitù volontaria”?
Questa “scelta democratica”, questa preferenza per “il meno peggio dei sistemi”, è giustificata anche così: “la democrazia è sempre preferibile alla sua controparte – con la dittatura, è chiusa ogni possibilità di di espressione di dissenso. In breve, la democrazia si ridurrebbe a parlare, a chiacchierare e a votare… per il meno canaglia, il meno compromesso dal momento che non si può fare a meno di essere rappresentati!
In effetti, contro l’arroganza del capitalismo, contro i tradimenti politici della sinistra che dovrebbe essere in teoria la forza politica a favore del popolo e dei lavoratori, di fronte all’inerzia ed anche al collaborazionismo di classe dei principali sindacati, la massa dei cittadini sente la propria impotenza, la propria incapacità di cambiare le cose. Ciò però non porta a modificare questo sistema, percepito come non democratico, il tasso di astensione crescente non significa automaticamente un aumento di presa di coscienza, o il desiderio di agire collettivamente. Quando si è abituati a essere costantemente rappresentati, è difficile agire da soli, e questo vale sia per i rappresentanti politici sia per i rappresentanti sindacali: la democrazia rappresentativa, preentata per due secoli come risultato della volontà della gente, rivela ogni giorno di più le imposture di questo sistema. L’impossibilità di cambiarlo, ecco l’ideologia dominante, il pensiero unico di oggi. Sappiamo che la cosiddetta democrazia moderna, nata dalla rivoluzione francese nel culmine dell’età dell’Illuminismo, con i suoi principi di libertà e di uguaglianza, è stata deviata dai poteri politici, dallo stato collegato per definizione alla classe dominante.
Lo stato è solo l’accaparramento, in nome di una pretesa rappresentanza del popolo, del potere politico sulla società civile, e le democrazie moderne non sono altro che contenitori vuoti di ogni contenuto! Sono bastati due secoli perché il concetto di democrazia perdesse ogni significato, mentre allo stesso tempo, paradossalmente, diventa una fede ed un orizzonte insuperabile. Oggi crediamo nella democrazia come crediamo in Dio: accettando gli errori dei suoi rappresentanti! La democrazia, una dea laica? La libertà, associata al termine democrazia, viene in definitiva ridotta all’accettazione delle garanzie concesse dallo Stato, in altre parole la libertà è inquadrata da quest’ultimo e dai suoi gendarmi! Con la scomparsa di qualsiasi forme di solidarietà sociale (la scomparsa dei servizi pubblici, la disoccupazione, la precarietà e l’impoverimento), l’individuo isolato, e spesso in contrasto con la collettività, non ha altra scelta che prendersi cura dei suoi interessi privati, lasciando ai rappresentanti del popolo la cura di occuparsi di quelli collettivi. Allo stesso tempo, però, altro paradosso, lo stesso individuo è ben cosciente che tali interessi collettivi sono lontani dall’essere sostenuti e difesi dallo Stato.
Il potere politico però produce argomenti per spiegare questi noti paradossi: la politica, con il tempo, è andata complessificandosi e questa complessità della cosa pubblica spiega i problemi incontrati, legittima le non risposte o la lentezza nella risoluzione dei problemi. A ciò si aggiunge l’altro argomento che ci spiega che dobbiamo affidare questa “cosa complicata” a specialisti, professionisti… di passaggio, non eletti dagli ignoranti, è ovvio!
Il liberalismo, il capitalismo, con la complicità degli stati, hanno completamente sovvertito la democrazia, e l’esempio dell’UE è lì per mostrare come quotidianamente venga di fatto esercitata la sovranità nazionale con la complicità degli Stati membri. Lungi dal mettere fuori gioco il potere religioso, hanno stabilito, con il sostegno di quest’ultimo, un altro potere ugualmente autoritario e dogmatico: lo Stato, il potere politico che esercita una stretta sulla società civile. La rivoluzione francese del 1789 alle sue origini ha esemplificato il confronto tra i sostenitori della democrazia diretta (espressione della volontà e della sovranità del popolo) e quelli della democrazia rappresentativa (la borghesia, i ricchi). Si sa come vincere il “gioco democratico”! Si sa anche cosa ne è stato fatto del concetto di “mandato imperativo”! Rousseau, che era ben lungi dall’essere un rivoluzionario, ha scritto: “Non appena le persone si danno dei rappresentanti, non sono più libere”. Progressivemente, la rivoluzione è stato dirottata dalla borghesia per giungere al trasferimento totale della sovranità dal popolo al potere delegato – il governo – in breve allo stato ed alla sua sacrosanta missione di reazione e di mantenimento dell’ordine dei dominanti sui dominati. Proprietà privata dei mezzi di produzione e sicurezza pubblica – altro nome per “polizia” – sono le due mammelle delle democrazie rappresentative moderne, e queste democrazie moderne appaiono al giorno d’oggi più accettabili delle dittature sanguinarie.
Cosa resta della definizione data da alcuni greci quando scrivevano “il termine democrazia contiene l’affermazione del potere sovrano del popolo con i suoi due corollari: uguaglianza e libertà”? In altre parole, senza uguaglianza tra individui, senza libertà effettivamente esercitata, non c’è democrazia, rappresentanza o altro. Visibilmente, se il termine democrazia esiste ancora, è stato svuotato del suo significato originale! Di fronte al popolo che ha sempre spaventato i ricchi, la borghesia si è data i mezzi per controllarlo: la democrazia rappresentativa è lì per inquadrare, monitorare, “dirigere e punire”, rimettere sui binari della ragion di Stato… Deve essere educativa!
Questa realtà corrisponde a un sistema politico chiamato “democrazia moderna”, assimilato al progresso, mentre, invece, genera passività ed ignoranza politica attraverso un potere tecno-burocratico, frammentato, inafferrabile, legato alla oligarchia liberale basata sulla ricerca del profitto a breve termine. In poche parole, il dominio di una minoranza sulla maggioranza! In questo sistema, che tende a diffondersi in tutto il mondo, i politici confermano solo le decisioni del potere economico, prese altrove rispetto ai parlamenti nazionali. Ovviamente il silenzio in merito di queste assemblee dimostra che questo non sembra infastidirli, d’altronde, si sa che fino a quando la zuppa è buona e le indennità ed i gettoni di presenza aumentano… È da tempo che i politici sono decisamente abituati a servire, d’altronde perché porsi problemi su se stessi quando tutto ciò sembra normale, cioè il male necessario in ogni democrazia reale!
La politica, la vita democratica, oggi non sono più di uno sport in cui le persone svolgono il ruolo di spettatori, privati del diritto di giocare, mentre dovrebbroe esserne il soggetto centrale. Gli stati totalitari sono caduti perché non hanno capito che la democrazia rappresentativa è un modo più efficace per controllare la gente senza dover troppo alzare la voce. Inoltre, in una democrazia moderna non parliamo più di lotta di classe, ma di parti sociali uguali nelle trattative. È un’illusione portata avanti da queste democrazie, in cui la legge stabilisce l’uguaglianza mentre allo stesso tempo le disuguaglianze aumentano: è la forza di queste democrazie moderne, riuscire ad impedire qualsiasi movimento sociale che possa provocare un pericolo rivoluzionario. La democrazia senza partecipazione è ciò che permette alla folla di sognare nel quadro della legge: che importa l’uomo che muore di fame fintanto che i diritti umani rimangono incisi nel marmo! Che importa lo svuotamento di ogni contenuto purché resti il principio ed ogni stato possa dichiarare il suo rispetto della legge, ignorandolo nella realtà delle sue pratiche!
Se la gente capisse che questi sono solo colossi dai piedi di argilla, queste potenze, e soprattutto lo stato, crollerebbero perché non si mantengono da sole. Ma perché ciò accada occorrerebbe smettere di sottomettersi, coinvolgersi individualmente, reinventare l’azione collettiva partendo dai bisogni di ciascuno piuttosto che lasciare agli altri, questi famosi rappresentanti, la cura di gestire le nostre vite al posto nostro. La democrazia non può che essere diretta, vissuta orizzontalmente ed ogni individuo deve essere messo in grado di badare a se stesso, reso capace di esprimere le sue esperienze, le sue scelte e la sua soggettività.
La scelta è tra due futuri possibili: essere un individuo autonomo o un soggetto sottomesso. Per questo è il momento di riscoprire il significato della rivolta contro l’ingiustizia ed agire, e ciò avverrà senza rappresentanti!
Michel D.
Monde Libertaire n. 1798, settembre 2018
traduzione a cura di Enrico Voccia
NOTE
[1] Il referendum francese sulla Costituzione Europea si svolse il 29 maggio 2005 e chiedeva se la Francia doveva ratificare la Costituzione Europea redatta dalla Convenzione Europea nel 2003. Vinse il fronte del “No” con il 55% dei votanti.