Spesso e volentieri e sempre più negli ultimi tempi, nei movimenti di opposizione circola la tesi per cui, all’interno dell’attuale situazione di “terza guerra mondiale a pezzi”, i movimenti di sinistra dovrebbero difendere i paesi, in senso lato, di area BRICS (Russia e Cina in particolare) contro l’imperialismo. È una posizione presente ovviamente in ciò che si definisce “rossobrunismo” ma, in realtà, largamente presente in molte aree che si rifanno al leninismo nelle sue varie forme e, sia pure, in misura minoritaria, anche al di fuori di queste aree. Proviamo a sintetizzare le argomentazioni che solitamente si pongono a favore di questa scelta di posizione, per poi analizzarne i limiti e le contraddizioni.
Innanzitutto, si dice che questi paesi o sono paesi capitalistici ma non imperialisti – sarebbe ad esempio questo il caso della Russia, paese fermo ad uno stadio arretrato dell’economia capitalistica e non a quello che sviluppa una politica di tipo imperialistico – oppure sono paesi in qualche modo socialisti e, comunque, che non sviluppano una politica imperialistica – sarebbe questo il caso della Cina. Questi paesi sono sotto attacco da parte delle potenze imperialistiche raggruppate nell’ombrello militare della NATO: non difenderli attivamente, proporre il “disfattismo rivoluzionario” universale, significa allora, di là delle intenzioni soggettive, schierarsi di fatto con l’imperialismo.
In realtà non si tratta affatto di tesi nuove: in Lenin (ma anche in Trotsky) e nei loro eredi troviamo le radici di queste tesi,[1] per cui qualunque (sottolineo il qualunque: anche i paesi a regime schiavista che esistevano all’epoca) paese arretrato che fosse in guerra contro un paese imperialista andava appoggiato a prescindere, anche se fosse stato il paese “aggressore”. L’idea generale era che qualunque sconfitta dell’imperialismo da parte di questi paesi sarebbe stata, a livello internazionale, una vittoria per la classe operaia e, dunque, che non esistesse un “terzo campo”: o si difendevano, oltre che i popoli, i governi di questi paesi o si parteggiava di fatto per l’imperialismo. Aut aut.
Cominciamo con l’analizzare il senso del termine “imperialismo” che qui viene utilizzato. La concezione leninista dell’imperialismo è una pietra miliare del pensiero marxista rivoluzionario del Novecento. Lenin la sviluppa nel suo celebre saggio L’Imperialismo, Fase Suprema del Capitalismo:[2] l’imperialismo sarebbe lo stadio finale del capitalismo, caratterizzato da concentrazioni monopolistiche della proprietà dei mezzi di produzione, centralità del capitale finanziario, investimenti diretti dei capitali verso i paesi meno sviluppati, formazione di cartelli e trust internazionali e, infine, divisione del mondo tra potenze imperialiste.
Perché questa condizione è la “fase suprema” del capitalismo? Lenin sostiene che il capitalismo, giunto a maturazione, non trova più sbocchi interni per il suo sviluppo: per continuare a generare profitti, deve espandersi all’estero, sfruttando territori e popolazioni. Questo porta a una inevitabile conflittualità tra potenze, ad uno stato di guerra permanente, con le nazioni imperialistiche all’attacco del resto del mondo.
Qui la prima contraddizione: la definizione leninista di imperialismo, nei termini che abbiamo appena ricordato, può tranquillamente adattarsi anche ai paesi di area BRICS e, particolarmente a Russia e Cina. In questi paesi, ma anche in altri paesi di quest’area, troviamo concentrazioni monopolistiche della proprietà dei mezzi di produzione, centralità del capitale finanziario, investimenti diretti dei capitali verso i paesi meno sviluppati, formazione di cartelli e trust internazionali. Infatti, negli stessi sostenitori attuali della tesi “difensiva” troviamo quasi sempre anche la tesi per cui i paesi area NATO starebbero oggi sviluppando una politica militarmente aggressiva in quanto NON sarebbero più i paesi capitalistici dominanti e cercano disperatamente, con azioni sconsiderate di forza, di recuperare il ruolo dominante perduto. Il mondo “multipolare” è divenuto dominante, di fatto, rispetto a quello che era il vecchio mondo “monopolare”. Insomma la logica campista di origine leninista dovrebbe paradossalmente spingere i suoi portatori a schierarsi con la NATO…
Passiamo ora all’idea per cui la Cina sarebbe un paese socialista o, in qualche versione trotskisteggiante, uno stato operaio burocraticamente deformato. Qui mi sembra un po’ di sparare sulla Croce Rossa, comunque vediamo quali sono i motivi per cui si afferma una cosa simile: sostanzialmente, in Cina vedremmo una notevole crescita dei salari rispetto ai paesi capitalisti dichiarati, una diminuzione netta della povertà, uno scarso numero di morti per il covid-19 grazie alla superiorità organizzativa “socialista” dello stato cinese.
Ognuna di queste affermazioni è largamente controversa ma facciamo finta che siano vere, soprattutto le prime due con cui possiamo stabilire confronti. Se questi risultati sono segno di “socialismo”, di transizione ad una società senza classi e senza Stato, allora i paesi area NATO, specialmente quelli dell’Europa del Nord, nel periodo dello Stato Sociale dei “trent’anni d’oro” cosa erano, con gli stessi parametri enormemente più elevati e superiori a quelli dell’area “socialista”, per non dire di quelli attuali? Il Comunismo Anarchico realizzato?
Queste contraddizioni della posizione “campista” mostrano la sua intrinseca debolezza. A parte questo, però, c’è una banale considerazione empirica: a differenza di quanto sembrerebbe suggerire la tesi leninista, cioè una fissità dei rapporti di forza imperialista tra le nazioni una volta giunti ad un determinato livello di sviluppo delle forze produttive, nella storia i paesi imperialisti si scambiano spesso di posto. Anzi, per essere precisi, i paesi imperialistici di oggi sono quasi sempre ex paesi dominati che hanno sconfitto militarmente i paesi imperialistici dell’epoca prendendone il posto: per restare nell’era contemporanea, il caso più eclatante è proprio quello degli Stati Uniti d’America – ma non è certo il solo.
Per esempio, prendiamo il caso di uno dei paesi in partenariato con l’area NATO: Israele. La sua nascita venne salutata e supportata dai paesi e dalle organizzazioni occidentali di stampo marxista leninista proprio nella logica campista, come fulgido esempio di un popolo senza terra che la conquistava finalmente opponendosi fieramente all’imperialismo anglosassone, un appoggio che durò fino agli anni cinquanta inoltrati, nell’assoluto disinteresse verso le sorti del popolo palestinese. Oggi, lo Stato di Israele attua una politica imperialistica impressionante e feroce, volta alla conquista del “Grande Israele” e i titoloni filosionisti ed antipalestinesi di allora degli organi della sinistra, quando tornano a galla, creano a dir poco un notevole imbarazzo.
Insomma, l’idea “campista” che qualunque sconfitta dell’imperialismo da parte di determinati paesi sarebbe a livello internazionale una vittoria per la classe operaia, non ha senso. Sarebbe come tifare per la camorra contro la mafia o viceversa. La vittoria di un campo “non imperialista” contro il campo imperialista significherebbe soltanto il cambio di chi detiene il dominio, non la scomparsa del dominio in quanto tale. Se il disfattismo rivoluzionario universale è un “tradimento”, è un tradimento dell’irrazionalità delle logiche del dominio a favore dello sviluppo di una visione e di una pratica autonoma del proletariato internazionale.
Enrico Voccia
[1] Ci limitiamo a citare LENIN, Vladimir, Il Socialismo e la Guerra, 1915, https://www.marxists.org/italiano/lenin/1915/soc-guer/index.htm
[2] LENIN, Vladimir, L’Imperialismo, Fase Suprema del Capitalismo, 1916, https://www.marxists.org/italiano/lenin/1916/imperialismo/index.htm